Olimpiadi invernali al tempo del cambiamento climatico: a Pechino2022, oltre il 90% della neve era di origine artificiale
Il clima sta cambiando e in montagna lo sta facendo più che altrove. I nuovi impianti costruiti per le competizioni olimpiche sono destinati a trasformarsi in cattedrali nel deserto e non soltanto perché non sostenibili dal punto di vista economico, ma anche da quello ambientale e climatico. Le condizioni climatiche del futuro saranno presto incompatibili con molte delle discipline olimpiche invernali
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Immaginate un mucchietto di neve. La sopravvivenza di questo mucchietto di neve immaginario è questione di frazioni di grado centigrado. Se la temperatura è negativa, anche di una frazione di grado, allora è salvo. Se però la colonnina supera la fatidica soglia, ecco che tutto cambia. Il mucchietto è spacciato. Siamo alle prese con la profonda non linearità dei passaggi di stato.
Non riflettiamo abbastanza sull’eccezionalità dell’acqua e dei suoi passaggi di stato. Vapore, acqua liquida, ghiaccio e neve. Non c’è altra sostanza che con tale dinamicità passa da una forma all’altra. In un tipico paesaggio invernale le tre fasi possono tranquillamente coesistere. Si tratta di qualcosa di unico.
E cosa c’entra questa magia della molecola d’acqua con le olimpiadi invernali e con il cambiamento climatico? Tutto e niente.
Senza neve non esisterebbero gli sport invernali e quindi le Olimpiadi. Per parlare di Olimpiadi dobbiamo considerare le caratteristiche uniche dell’acqua e i suoi passaggi di stato. O meglio, sarebbe saggio farlo. Parlare di Olimpiadi invernali senza conoscere a fondo la neve, la sua distribuzione sulle montagne e soprattutto il suo futuro, potrebbe essere una scelta poco saggia.
C’è poi un discorso più complesso che ha a che fare con la fragilità dei territori montani che si trovano alla frontiera tra il mondo bianco - dove la neve è una presenza stagionale fissa - e quello bruno, che nella stagione fresca lascia spazio a piante spoglie e pascoli bruciati dal freddo solo occasionalmente imbiancati. Su quella fascia altimetrica che separa questi due mondi che si sta giocando una partita molto importante. E il motivo è proprio la non linearità della trasformazione da neve ad acqua liquida.
Una montagna coperta da neve è un altro mondo rispetto al medesimo territorio privato del manto bianco. Quando la neve è deposta al suolo tutto cambia. Gli scambi di energia, i flussi di calore, la protezione della vegetazione, la frequentazione della fauna, il trasporto dell’umidità. E allo stesso modo quando la copertura nevosa inizia a scarseggiare dove invece era solita perdurare, ecco che altri cambiamenti, di senso opposto, avvengono.
Le regioni montuose stanno reagendo in modo vistoso al riscaldamento globale. Sulle montagne la temperatura sale di più e più velocemente rispetto alla media planetaria. Parte rilevante di questa anomalia è proprio legata alla crescente scarsità di neve nei territori montani. E dove si fa più sentire questo cambiamento? Proprio alle quote dove la temperatura media dei mesi invernali si aggira intorno agli 0 °C. In alta quota le temperature medie sono talmente rigide da far sì che un aumento della temperatura possa non essere così impattante sugli equilibri stagionali che governano il manto nevoso. Più in basso è vero il contrario. Qui anche un “piccolo riscaldamento” incide profondamente sulle precipitazioni nevose.
E cosa succede quando un territorio prima coperto dalla neve si trova sprovvisto del manto bianco? Entrano in gioco diversi processi non lineari, ancora loro. Il primo fra tutti riguarda gli scambi di energia. Grazie al colore bianco, la copertura nevosa garantisce la riflessione di buona parte della radiazione solare incidente. La neve fresca riflette oltre l’80% della luce in arrivo dal sole. Un terreno privo di neve riflette invece meno del 25% della radiazione. Questo significa che quella fascia di montagna dove la neve fa sempre più fatica a essere deposta e conservata assorbe durante l’inverno una quantità rilevante di energia solare in più rispetto al passato. Questa energia, inutile dirlo, si traduce in calore e aumento della temperatura. Meno neve, più caldo, meno neve: un cane che si morde la coda.
Dall’epoca preindustriale (1850-1900), la temperatura media planetaria è aumentata di circa 1.5 °C a causa del cambiamento della composizione atmosferica operata dalla specie umana attraverso l’utilizzo dei combustibili fossili. Sulle Alpi l’aumento della temperatura ha già superato i 2 °C e anche la velocità con cui la colonnina di mercurio sale è maggiore rispetto alla media planetaria. A livello globale la temperatura negli ultimi decenni è salita di 0.2 °C ogni 10 anni. Sulle Alpi il tasso di riscaldamento è di 0.5 °C ogni 10 anni. E gli aumenti più forti si osservano proprio in quelle regioni di transizione che si trovano vicino alla quota limite delle precipitazioni nevose.
Molte delle località e degli impianti che hanno ospitato, e ospiteranno, le edizioni invernali dei Giochi olimpici si trovano proprio sulla fascia altimetrica climaticamente più vulnerabile. Non è un caso. I Giochi olimpici invernali sono sempre stati organizzati presso prestigiose stazioni, il cui sviluppo risale all’inizio del Ventesimo secolo o addirittura a quello precedente, quando la neve era abbondante e sicura anche a quote medio-basse. Dobbiamo poi considerare che, in modo a prima vista paradossale, la quota media delle località scelte per le Olimpiadi invernali, invece di aumentare, nel tempo è diminuita.
Olimpiadi sempre più grandi e complesse hanno richiesto di scegliere località sempre più facilmente raggiungibili e vicine ai centri di comunicazione intercontinentale. Durante le prime edizioni dei giochi invernali, disputati tra il 1924 e il 1956, la quota media delle sedi olimpiche è stata 946 metri sul livello del mare; tra il 1988 e il 2022 la quota si è abbassata di oltre 500 metri, fermandosi a soli 432 metri s.l.m.
E così, se da una parte le Olimpiadi si sono spostate a quote via via più basse, allo stesso tempo la neve ha iniziato a scarseggiare sempre di più a causa del cambiamento climatico: un cocktail pericoloso. Sulle Alpi, dal 1970 a oggi, la quantità di neve caduta tra 1000 e 1500 metri di quota è diminuita del 45%. Spostandosi alla fascia altimetrica superiore (1500-2000 metri), dove si trova la maggior parte degli impianti per gli sport invernali, la contrazione del manto nevoso è circa del 35%. E se questi dati sembrano preoccupanti, le stime per il futuro non sono da meno. Si prevede che trovare una copertura nevosa continua sulle Alpi sopra i 1600 metri per almeno 30 giorni diventerà estremamente raro.
Nel corso dei decenni le Olimpiadi invernali si sono già trovate costrette a fare i conti con queste trasformazioni. Se fino agli anni Sessanta la stragrande maggioranza delle competizioni si è tenuta all’aperto, sfruttando neve e ghiaccio naturali, ormai molte discipline si disputano in impianti al chiuso dotati di refrigerazione artificiale, oppure facendo un sempre più largo impiego della neve artificiale. Alle ultime Olimpiadi disputate, quelle di Pechino 2022, oltre il 90 % della neve utilizzata per le competizioni era di origine artificiale.
D’altronde, se la media delle temperature diurne di febbraio (il periodo in cui si tengono i giochi) delle località scelte per le competizioni era di 0.4 °C tra gli anni Venti e Cinquanta, dal 2000 al 2014 questo valore è schizzato a 6.3 °C, portando con sé enormi problemi di gestione. Non dimentichiamo poi che, se da un lato prettamente tecnico, la neve artificiale permette di sopperire alla scarsità di neve naturale, dal lato ambientale ed economico l’impiego di questa pratica implica costi molto più alti.
La combinazione dei risultati dei modelli meteo-climatici con le caratteristiche geografiche delle stazioni olimpiche invernali rivela un quadro ancor meno rassicurante per il futuro delle prossime edizioni. Se le emissioni di anidride carbonica continueranno a seguire la traiettoria attuale, entro la fine del secolo solamente una località olimpica tra le ventuno che hanno finora ospitato i giochi rimarrà adatta, dal punto di vista climatico, per ospitare le gare.
Non è importante rivelare quale sia la fortunata località (non Cortina purtroppo). Il nocciolo della questione è un altro: qual è il senso di investire grandi capitali ambientali ed economici per le future Olimpiadi invernali quando il quadro climatico del futuro è quello delineato? Il clima sta cambiando, e in montagna lo sta facendo più che altrove. I nuovi impianti costruiti per le competizioni olimpiche sono destinati a trasformarsi in cattedrali nel deserto e non soltanto perché non sostenibili dal punto di vista economico, ma anche da quello ambientale e climatico. Le condizioni climatiche del futuro saranno presto incompatibili con molte delle discipline olimpiche invernali.
Nessuno dice che trovare una soluzione a questi enormi cambiamenti sarà facile; fare finta che non stia accadendo nulla non è però certamente una soluzione.
Questo articolo è tratto da un capitolo de "Scivolone Olimpico", il libro targato L'AltraMontagna che parla delle Olimpiadi di Cortina del 2026 e della costruzione della pista da bob.