È come se ogni anno sparisse l'acqua di 109 milioni di piscine olimpioniche. La grande fusione dei ghiacciai
C’è un suono inconfondibile che accompagna chi cammina vicino a un ghiacciaio: l’acqua che scorre, goccia dopo goccia, fessura dopo fessura. Per secoli i ghiacciai hanno scandito il ritmo delle alte quote, regolando il ciclo dell’acqua e plasmando i paesaggi. La forma che danno oggi alle terre alte, con le loro acque di fusione, però è diversa e preoccupante. A darcene ulteriore prova è uno studio pubblicato pochi giorni fa su Nature, che offre la più completa fotografia della situazione attuale
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di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
C’è un suono inconfondibile che accompagna chi cammina vicino a un ghiacciaio: l’acqua che scorre, goccia dopo goccia, fessura dopo fessura. Per secoli i ghiacciai hanno scandito il ritmo delle alte quote, regolando il ciclo dell’acqua e plasmando i paesaggi. La forma che danno oggi alle terre alte, con le loro acque di fusione, però è diversa e preoccupante. A darcene ulteriore prova è uno studio pubblicato pochi giorni fa su Nature, che offre la più completa fotografia della situazione attuale.
Il verdetto è chiaro: tra il 2000 e il 2023, i ghiacciai del pianeta hanno perso in media 273 miliardi di tonnellate di massa ogni anno: come se ogni anno sparisse l’intera quantità di acqua contenuta in circa 109 milioni di piscine olimpioniche. Una quantità impressionante, che supera persino il ritmo di fusione della calotta della Groenlandia e dell’Antartide.
Ciò che preoccupa gli scienziati è la velocità con cui il fenomeno sta peggiorando. Negli ultimi dieci anni, la perdita di ghiaccio è aumentata del 36%, e il 2023 è stato l’anno peggiore mai registrato, con un record di oltre 500 miliardi di tonnellate di ghiaccio scomparso in dodici mesi. In altre parole, il pianeta sta perdendo i suoi ghiacciai a un ritmo sempre più rapido, e le montagne di tutto il mondo ne portano le cicatrici.
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Non tutti i ghiacciai si stanno ritirando allo stesso modo. Ci sono luoghi dove la fusione è più intensa e le montagne stanno cambiando volto in modo drammatico. In Alaska, per esempio, i ghiacciai rappresentano il 22% della perdita globale: qui il caldo ha trasformato intere vallate, lasciando dietro di sé lingue di terra scura dove un tempo scorreva il ghiaccio. Nell’Artico canadese la situazione è altrettanto critica, con una riduzione del 20% della massa totale. Anche le Ande meridionali e i ghiacciai periferici della Groenlandia stanno vivendo un declino inarrestabile.
Ma il dato più impressionante riguarda le regioni dove i ghiacciai erano già piccoli e fragili. In Europa centrale, per esempio, la perdita ha raggiunto il 39%: un destino simile lo stanno vivendo i ghiacciai del Caucaso, della Nuova Zelanda e delle Montagne Rocciose. In questi luoghi, il ritiro del ghiaccio non è solo una questione di numeri, ma un cambiamento che si può osservare a occhio nudo. I sentieri che un tempo portavano a imponenti fronti glaciali oggi si concludono su laghi di recente formazione, specchi d’acqua che testimoniano la trasformazione del paesaggio.
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Raccontare la storia dei ghiacciai significa anche misurare con precisione ogni cambiamento. Per farlo, i ricercatori hanno usato una combinazione di strumenti e tecnologie: alcune misurazioni vengono fatte direttamente sul campo, con tecnici che perforano il ghiaccio e piantano pali di riferimento; altre provengono dai satelliti, che sorvolano il pianeta e registrano ogni variazione nell’altezza delle superfici glaciali. Le immagini satellitari permettono di confrontare i rilievi nel tempo, mentre la gravimetria – una tecnica basata sulle variazioni della forza di gravità – consente di calcolare con esattezza quanta massa viene persa. È grazie a questa fusione di dati che oggi abbiamo un quadro chiaro della situazione globale, una mappa dettagliata della trasformazione che sta avvenendo davanti ai nostri occhi.
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Un elemento particolarmente preoccupante che emerge dallo studio è quello relativo al confronto con le previsioni fatte negli anni precedenti. Infatti, il ritmo della perdita di ghiaccio osservato negli ultimi due decenni supera le previsioni fatte dall’Ipcc (il Pannello Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici) nei suoi rapporti più recenti. Secondo le stime dell’Ipcc, entro il 2040 i ghiacciai avrebbero dovuto perdere una quantità di massa equivalente a un innalzamento del livello del mare di 40 millimetri. Tuttavia, i dati reali mostrano che siamo già molto vicini a questa soglia, con un contributo di 18 millimetri raggiunto nel 2023. Questo significa che le stime più conservative potrebbero essere superate con ampio anticipo, e che la realtà si sta muovendo più velocemente degli scenari modellati dagli scienziati fino a pochi anni fa.
Inoltre, dallo studio emerge una forte discrepanza tra le diverse regioni del mondo. Mentre alcune aree, come l’Artico canadese, seguono i modelli previsti, altre, e in particolare le Ande e la Nuova Zelanda, stanno perdendo ghiaccio a un ritmo molto più rapido di quanto stimato. Questo indica che alcuni fattori, come le dinamiche locali del clima e le interazioni tra ghiacciai e oceani, potrebbero non essere stati pienamente considerati nei modelli precedenti. La conseguenza è che la perdita di ghiaccio potrebbe accelerare ancora di più nel prossimo futuro, rendendo ancora più incerto l’equilibrio idrico globale.
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Per chi frequenta molto la montagna, il cambiamento è evidente: dove un tempo si sciava fino a primavera inoltrata, oggi la stagione si accorcia sempre più. I rifugi che una volta erano affacciati su imponenti ghiacciai ora guardano vallate spoglie. Ma le conseguenze non riguardano solo il paesaggio. Il ritiro dei ghiacciai aumenta il rischio di frane e valanghe, rende instabili le pareti montuose e modifica i cicli dell’acqua. Intere comunità dipendono dai ghiacciai per l’approvvigionamento idrico e, in molte regioni del mondo, la fusione precoce significa siccità nei mesi più caldi.
Le fotografie usate in questo articolo sono immagini storiche del Ghiacciaio Columbia scattate negli anni '60 del 1900. Sono di dominio pubblico e la fonte è Wikimedia commons.