Un intreccio millenario di fili setosi attorno un albero dai frutti (anzi infruttescenze) dolcissimi
Alberi dimenticati #04 / ForestPaola ci svela i segreti di una specie arborea che ha fatto la storia della tessitura, ma che dagli anni '30 del Novecento è caduta in disuso
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Il condominio dove ho vissuto i miei primi vent'anni di vita era circondato da un bel giardino: all’epoca mi sembrava gigantesco, pieno di pertugi e strane piante.
Con gli amici dell’infanzia e dell’adolescenza uno dei giochi preferiti era ovviamente nascondino: e quale posto migliore poteva trovare la sottoscritta? Ebbene sì, un albero, un bellissimo gelso della varietà a rami pendenti. Immaginatevi la goduria di entrare sotto una cupola di foglie e restare nascosta gustandosi i frutti dolcissimi di questa pianta! Talvolta la fase dell’attesa si protraeva maggiormente proprio perché ero troppo intenta a mangiare... e venivo beccata con le mani nel sacco, o meglio, sul frutto!
Il gelso, dovete sapere, è un albero proveniente dall’Asia, importato ormai da secoli in Italia con due specie principali, il gelso nero (Morus nigra) e il gelso bianco (Morus alba), quest’ultimo soprattutto per la produzione della seta.
Ma attenzione... non cadete nell'errore dei nostri antenati: non è l'albero in sé a creare i fili setosi, ma dei suoi particolari ospiti.
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In Cina la coltivazione di questi alberi, secondo uno scritto di Confucio, era già nota 2.500 anni prima della nascita di Cristo. E qui in Europa per 3.000 anni si pensò che la seta fosse prodotta direttamente dall’albero, senza il prezioso aiuto del baco da seta, una specie di falena chiamata scientificamente Bombyx mori . Pensate che i Greci e i Romani, che adoravano questo tessuto, erano disposti a pagarlo a peso d’oro!
L’introduzione della coltivazione del Filugello (altro nome del baco da seta) avvenne grazie a due monaci dell’ordine di S. Basilio che, ritornando da un periodo missionario in India e Cina nel 551 d.C., raccontarono all’Imperatore Giustiniano come realmente veniva prodotta la seta; in un successivo viaggio riportarono alcuni bozzoli di bachi nascosti nei loro bastoni da viaggio, dalla Cina fino a Bisanzio. Carpito il segreto, la coltivazione di questi alberi iniziò a diffondersi, in particolare quella del gelso bianco.
Ma come si riconosce il gelso?
Eccovi un piccolo vademecum, se non l’avete mai incontrato. Innanzitutto è un albero (e queste son certezze, nella rubrica “alberi dimenticati”) che può raggiungere anche i venti metri di altezza; più facilmente però lo troverete di altezza contenuta, proprio per la pratica di coltivazione, con un bel tronco dalla corteccia fessurata color marrone scuro e una chioma con rami densi. Le foglie hanno il margine dentato, ma mentre nel gelso bianco la forma è tendenzialmente ovale (però qualche volta trilobata!) e la superficie lucida, nel gelso nero la forma è cuoriforme, con la pagina inferiore delle foglie pelosa.
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Ah, ovviamente i botanici ci hanno fatto uno scherzetto anche in questo genere di piante perché il colore bianco e nero non dipende dal frutto, bensì dalla colorazione delle gemme; e se vi dicessi in più che... il frutto non è un vero frutto? Si tratta infatti di un’infruttescenza, detta botanicamente sorosio, composta da un vero frutto (nucula) avvolta da un rivestimento polposo. Pur avendo uno strano nome... ma quanto buono eh? Lo sanno bene in Sicilia, dove si produce la meravigliosa granita al gelso.
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Ma perché, se ha tutte queste belle caratteristiche, si tratta di un albero “dimenticato”?
Se fino alla rivoluzione industriale la bachicoltura, e di conseguenza la coltivazione del gelso, conobbe una grandissima diffusione, a partire dagli anni '30 del Novecento si ridusse notevolmente fino a scomparire; le cause sono legate alla crescente produzione di fibre sintetiche, alla continua perdita di prodotto per malattie degli alberi oppure dei bachi e alla diminuzione delle pratiche agricole, visto che la coltivazione del baco da seta era pressoché demandata ai contadini, in particolare alle donne e ai bambini.
E quindi di così tanta storia millenaria non restano che sporadici individui o brevi filari che talvolta riusciamo a scorgere nelle nebbie della campagna, muti testimoni del passato.
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Dottoressa forestale libera professionista e Accompagnatrice di territorio del Trentino.
Nata a Firenze, vive in Trentino nella piccola Valle dei Mòcheni. Qui si occupa di boschi 365 giorni all'anno, per questo tutti ormai la chiamano solo "Forest".
Racconta la sua vita nella media montagna, il suo duplice lavoro di dottoressa forestale e di divulgatrice ambientale, il tutto sempre con un sorriso.