La “rivoluzione” con l’avallo del re: le prime tragiche ore di Mussolini presidente, fra violenze e una parata “riparatoria”
Ottenuto dal re l’affidamento dell’incarico di formare un governo, Mussolini assicurò la smobilitazione delle camicie nere in cambio di una sfilata per le vie di Roma. La marcia sulla capitale si concludeva così in una farsa, mentre verissime erano le violenze rovesciate sugli antifascisti nella capitale come in molte altre città del Regno. Ecco il nuovo episodio di “Cos’era il fascismo”
“Che cosa fu la marcia su Roma? Una semplice crisi di governo, un normale cambiamento di ministeri? No. Fu qualche cosa di più. Fu una insurrezione? Sì. Durata, con varie alternative, circa due anni. Sboccò questa insurrezione in una rivoluzione? No. Premesso che una rivoluzione si ha quando si cambia con la forza non solo il sistema di governo, ma la forma istituzionale dello Stato, bisogna riconoscere che da questo punto di vista il fascismo non fece nell’ottobre 1922 una rivoluzione. C’era una monarchia prima, e una monarchia rimase dopo” (Benito Mussolini in un articolo scritto in forma anonima per Il Corriere della Sera, giugno-luglio 1944)
TRENTO. Ottenuto dal re Vittorio Emanuele III l’incarico di dar vita a un nuovo esecutivo (QUI l'articolo), il capo del Partito nazionale fascista Benito Mussolini assicurò la smobilitazione delle squadre solo in caso di entrata a Roma. Fu così che il giorno 31, partiti da piazza del Popolo, migliaia di camicie nere marciarono per le vie della città, salutati dal balcone del Quirinale dal monarca come dal “duca della vittoria” Armando Diaz.
Nelle ore precedenti, stanchi e impazienti i fascisti in marcia sulla capitale avevano cominciato ad affluirvi a piedi, in treno e in camion. In massa le camicie nere entrarono in città, accampandosi e concentrandosi in alcuni punti, da piazza del Popolo a Villa Borghese, dal Pincio al Lungotevere dei Prati di Castello. Omaggiati il re come il Milite Ignoto, i fascisti, ottenuta la sfilata “trionfale”, obbedivano solo allora all’ordine di smobilitazione dei quadrumviri; nelle ore precedenti, però, non erano mancate le violenze ai danni degli antifascisti.
Roma, d’altronde, era una città che si era dimostrata poco permeabile al fascismo. Nel tessuto del centro, specie nei suoi quartieri più popolari, circoli comunisti e socialisti avevano continuato a funzionare, evidenziando una scarsa predisposizione alla resistenza passiva. Per questo i fascisti non lesinarono cortei e spedizioni contro giornali e associazioni, nondimeno vere e proprie provocazioni fra le vie in cui la presenza operaia politicizzata era più forte, su tutti a San Lorenzo.
Qui, nei giorni della marcia, diversi furono gli incidenti con la popolazione. Il giorno 31, in particolare, i fascisti spararono all’interno di un’osteria, sostenendo che fosse piena di “sovversivi”. La sparatoria provocherà una vittima innocente, uno stagnino sessantenne che si trovava nel locale. Nel caso di Roma, svariati poi furono gli episodi di violenza, da via Trionfale alla Prenestina, con i socialisti ostacolati dalle forze dell’ordine nel vano tentativo di fermare i camion carichi di camicie nere.
Non solo Roma, però, fu teatro di incidenti sanguinosi. Mentre i fascisti impedivano praticamente in tutta Italia ai giornali antifascisti di pubblicare le notizie, fra devastazioni di tipografie, raid nelle redazioni e incendi della carta, le vie di numerose città, da Nord a Sud, videro le camicie nere impegnate nella percossa degli antifascisti e nell’attacco alle sedi nemiche. Bari, Torino, Venezia, Brescia, Padova, Catania, Caserta, Civitavecchia, Modena, Rimini, furono palcoscenico di azioni violente, fra distruzioni di Camere del lavoro, assalti ai palazzi del potere e spedizioni contro noti antifascisti; la diffusa e spesso sproporzionata violenza spinse diverse sezioni locali a un richiamo all’ordine dei proprio uomini, avendo già Mussolini assunto il compito di formare un nuovo governo.
Altro “fronte” delle violenze effettuate nel giorni della marcia fu l’attacco mirato alle case – e quando possibile anche ai loro illustri inquilini – dei nemici del fascismo. Tre in particolare sono i casi che meritano d’essere citati: Nitti, Bombacci e Secondari. Nel primo caso, la villa romana dell’ex presidente del Consiglio – chiamato, su invenzione di Gabriele D’Annunzio, “l’onorevole Cagoia” – venne assaltata da circa 60 fascisti nella mattinata del 31 ottobre. Liberatesi delle forze dell’ordine a presidio, le camicie nere si diedero al saccheggio e alla distruzione, frenati solo dall’arrivo dei rinforzi.
Stessa sorte, con tanto di defenestrazione dei mobili, subì la casa romana del leader massimalista Nicola Bombacci, mentre ben peggio andò ad Argo Secondari, noto esponente degli Arditi del popolo, raggiunto in appartamento e selvaggiamente bastonato sulla testa, tanto da passare il resto della propria vita in manicomio.
La marcia, condotta con grande dispendio di risorse – non senza l’utilizzo di metodi di finanziamento decisamente banditeschi (vedi M. Franzinelli, Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista. 1919-1922) – si risolveva così con una coda esemplificativa di quanto avvenuto negli oltre due anni precedenti. Da una parte la “parata della vittoria” avveniva con l’avallo delle autorità, dall’altra l’esuberanza squadrista si manifestava in diffuse violenze. Fu nella notte fra il 31 ottobre e l’1 novembre, infine, che gran parte delle camicie nere giunte in città presero la strada di casa.