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"Mi mancano i suoi silenzi", il figlio Marco racconta Ennio Morricone a il Dolomiti. Da Sergio Leone a ''Peppuccio'' Tornatore e Terrence Malick: ''Aveva l'anima di un bimbo"

"Decise di dedicarsi all'attività concertistica quando capì che la sua musica aveva una vita autonoma rispetto alle altre arti con cui si era sposata negli anni". Marco Morricone a il Dolomiti racconta il padre Ennio: dal suo studio in cui nessuno poteva entrare al divieto domestico di ascoltare musica, fino all'incontro con Sergio Leone, l'amicizia con Giuseppe Tornatore e la passione per la Roma

Di Federico Oselini - 09 febbraio 2025 - 12:06

TRENTO. "Cosa mi manca di più di mio padre? I suoi silenzi". C'è un intero universo in questa frase che Marco, primogenito del maestro Ennio Morricone, pronuncia ai margini dell'intervista concessa a il Dolomiti e in cui racconta - andando oltre a quello che per tutti è stato il due volte Premio Oscar e il grande compositore, oltre che di altri successi, delle colonne sonore di capolavori come C’era una volta in America e Gli Intoccabili, ma anche tra le altre Nuovo Cinema ParadisoThe Mission e The Hateful eight – alcuni aneddoti vita famigliare e del percorso artistico e personale di suo padre.

 

Dimensione che ha voluto narrare nel suo libro Ennio Morricone. Il genio, l’uomo, il padre, scritto assieme al giornalista Valerio Cappelli e che verrà presentato venerdì 14 febbraio alle 17.30 nel Foyer del teatro Sociale di Trento, nell'ambito della quattro giorni dello spettacolo "Notte Morricone" di Marcos Morau in programma dal 13 al 16 febbraio.

 

E gli aneddoti, nel corso della lunga chiacchierata, sono tanti: dal ricordo d'infanzia di quell'uomo "adulto con l'anima di un bambino" che "stava rinchiuso per ore nel suo studio in cui nessuno poteva entrare" e che "dopo anni decise di intraprendere l'attività concertistica". Ma non solo, anche l'incontro con Sergio Leone e l'amicizia con Giuseppe "Peppuccio" Tornatore ed un rapporto epistolare che non ti aspetti. E poi il legame con Nicola Piovani e la passione per il calcio, con la partita della Roma che rappresentava "uno dei suoi pochi momenti di leggerezza".

 

Marco Morricone, il suo libro contiene, si può dire, l'universo umano di suo padre: uno dei personaggi artistici più rivoluzionari in assoluto. Cosa l'ha spinta a quest'operazione biografico-letteraria?

 

Ho voluto farlo perché mio padre meritava di essere conosciuto per quello che realmente era: il personaggio, infatti, si conosce attraverso la sua arte, mentre la persona no. La genialità di mio padre, a livello compositivo, lo ha accompagnato in tutto il suo percorso: è stata riconosciuta in tutto il mondo ed è figlia dei suoi studi e delle sue sperimentazioni. Parlando dell'uomo era una persona molto rigorosa e profondamente onesta e concentrata su quello che faceva, aveva un'etica fortissima e gande rispetto per le persone e per il lavoro. In questo libro ho voluto raccontare la sua storia attraverso i miei occhi, prima del bambino e poi dell'adulto.

 

Partiamo dal suo "sguardo bambino", che ricordi ha di suo padre in quel periodo?

 

Fu poi un padre molto severo, ma questo lo era in primis con sé stesso. Questo anche perché è stato un "figlio della guerra" e delle tante difficoltà attraversate: da giovane fece la fame, suonando di notte la tromba nei locali notturni e tornando a casa al mattino per andare al conservatorio. Posso dire di essere cresciuto in una famiglia normalissima, nonostante il lavoro 'atipico' di mio padre, e di quel tempo porto con me diversi aneddoti: nessuno, ad esempio, poteva accedere allo studio di mio padre mentre componeva per ore e ore. Non è però vero che lui pretendeva silenzio assoluto, anche perché quattro figli adolescenti in casa si avvertivano (sorride, ndr), però lui pretendeva che non ascoltassimo musica: questo perché lo avrebbe condizionato nella scrittura, che proveniva interamente dalla sua interiorità. Inizialmente questa scelta non la capimmo, soprattutto perché negli anni Settanta gli adolescenti vivevano di musica, ma poi lo abbiamo accettato e compreso.

 

Dopo anni di composizione, ad un certo punto suo padre decise di intraprendere l'attività concertistica: come avvenne questo passaggio?

 

Prese questa scelta quando capì che la sua musica aveva una vita autonoma rispetto alle altre arti con cui si era sposata negli anni. Posso dire che mio padre, sia nella sua scrittura che nel percorso di vita, è stato un rivoluzionario: quando cominciò negli anni Cinquanta un certo tipo di musica aveva quasi una funzione di accompagnamento e lui invece contribuì a fargli assumere un ruolo di grande importanza. Ha, insomma, intrapreso una rivoluzione figlia dei suoi studi e del suo percorso di sperimentazione.

 

Poi lei scelse di accompagnarlo in tutto il mondo, seguendolo nei suoi concerti.

 

Fu lui a chiedermelo nei primi anni Novanta, e io accettai. Ho voluto accogliere la sua esigenza di avere vicino una parte della sua famiglia, accompagnandolo in tutto il mondo. Col senno di poi posso dire che ciò mi ha aiutato a rincorrere quello che già inseguivo da bambino: quel rapporto umano e personale con mio padre, che abbiamo quindi recuperato in un secondo momento.

 

Furono tanti i "grandi incontri" nel corso della vita professionale e umana di Ennio Morricone, ce n'è qualcuno che lo ha segnato più di altri?

 

Sicuramente quello con Sergio Leone, anche dal punto di vista personale, dal momento che le nostre famiglie si sono frequentate a lungo: i miei fratelli avevano circa l'età dei suoi figli e abbiamo condiviso quindi questa vicinanza. Un altro dei personaggi che mio padre ricordava con grande affetto è stata la persona che gli consegnò il secondo Premio Oscar: Quincy Jones, con cui aveva un rapporto splendido. Ce n'è poi una terza, il regista Terrence Malick: una persona totalmente antimediatica con cui, nonostante lui non parlasse italiano e mio padre non parlasse inglese, Ennio ha intrattenuto un lungo rapporto epistolare molto intimo.

 

E non si può non citare il profondo rapporto con Giuseppe Tornatore.

 

Assolutamente: mio padre e "Peppuccio" erano legati da una profonda amicizia e io lo conobbi quando girò Nuovo Cinema Paradiso. C'è un aneddoto da raccontare: quando contattarono mio padre chiedendogli di leggere quella sceneggiatura, lui telefonò a Tornatore per chiedergli se volesse una musica siciliana e lui gli disse di no, e che ne avrebbero parlato. Mio padre all'inizio non voleva accettare ma poi si convinse, e da quel momento tra i due nacque un rapporto personale che si è protratto fino alla fine, un legame che definirei di amicizia e di complicità. Pensi che i primi tempi andavamo tutte le domeniche a pranzo da lui: insomma, fu un legame strettissimo sia dal punto di vista personale che professionale.

 

E quasi a chiudere un cerchio Tornatore ha raccontato suo padre nel documentario “Ennio”, ultimato un anno dopo la scomparsa.

 

Il film, uscito nel 2021, è stato però girato in un lungo periodo di circa sei anni, dal momento che mio padre e Giuseppe si incontravano quando avevano tempo. Rappresenta un vero e proprio testamento spirituale che mio padre ha lasciato in primis a Tornatore, il confidente che lo ha raccolto, ma di riflesso a tutti noi. Posso dire che vedere mio padre che con la sua voce racconta il suo percorso, per me, è stata un'emozione eccezionale.

 

In riferimento al percorso di suo padre, nel libro lei affronta il tema dell'ostracismo che la sua musica subì dal mondo accademico musicale. Come visse lui questo atteggiamento?

 

Posso dire che mio padre non lo visse bene, direi quasi in maniera sofferta. Naturalmente la sua musica non poteva assolutamente essere considerata di serie b sotto questo aspetto anche perché, anche nelle sue composizioni più "commerciali", emergevano sempre le chiavi di lettura provenienti dai sui studi musicali e dal suo percorso classico. Lui ha sofferto di questo atteggiamento, ma bisogna prendere atto che tutti i rivoluzionari soffrono di solitudine e, professionalmente parlando, mio padre lo è stato ed era quindi una persona sola.

 

Una curiosità: c'è un compositore contemporaneo a cui Ennio Morricone si sentiva più vicino, o che considerava un suo possibile "erede"?

 

Di questo non ne abbiamo mai parlato, quello che posso dire è però che aveva una grande stima di Nicola Piovani, di cui era molto amico. Lui è stato testimone di tanti momenti di vita di mio padre e con lui ha condiviso anche tante fragilità e passioni, come quella per il calcio e per la Roma, la loro squadra del cuore: andare a vedere le partite rappresentava per mio padre uno dei pochi momenti di leggerezza che aveva nella sua vita.

 

Tornando al libro, i proventi ricavati dalla vendita sono destinati all’associazione Armonica Onlus, di cui lei è presidente, per sostenere la ricerca medico-scientifica in ambito musicoterapeutico. Pensa che suo padre sarebbe fiero di questa scelta?

 

Mio padre era una persona estremamente emotiva, un adulto con l'animo di un bambino: ricordo che quando abbiamo iniziato il percorso con l'Associazione, nel 2017, lui vide delle immagini di bambini pazienti oncologici e si mise a piangere, così decisi di non causargli più questa sofferenza. Però penso, e spero, che di questo progetto lui sarebbe orgoglioso.

 

Prima di salutarla, un'ultima battuta: a quasi cinque anni dalla sua scomparsa, cosa le manca di più di suo padre?

 

Mi mancano i suoi silenzi. In una civiltà e una società in cui tutti urlano, posso dire che i silenzi riempiono molto di più delle parole, e i suoi mi mancano tanto.

 

 

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