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Ambiente

Un miele che nasce dove il bosco (non) muore: una nuova strategia per valorizzare le aree colpite da Vaia

La nota azienda alimentare Rigoni di Asiago, capofila di un progetto Life sul ripristino delle foreste abbattute dalla tempesta Vaia, ha realizzato il "Miele della Rinascita", prodotto dalle fioriture delle piante nate spontaneamente nelle aree colpite. L'idea è quella di valorizzare questi ambienti attraverso dei prodotti biologici, tra cui il miele, da realizzare in un periodo 15-20 anni, aspettando il ritorno del bosco

di
Luigi Torreggiani
24 febbraio | 18:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Nelle scorse settimane ha fatto molto parlare di sé un’iniziativa, o meglio un prodotto, realizzato dalla nota azienda Rigoni di Asiago, capofila del progetto europeo chiamato Life VAIA.

 

Il nome richiama ovviamente la tristemente nota tempesta di fine 2018 e il prodotto in questione è un miele, che è stato chiamato Miele della Rinascita. Il motivo è semplice: le fioriture da cui deriva sono quelle delle piante nate a seguito dell’evento estremo che ha sconvolto molti territori alpini, tra cui l’Altipiano dei Sette Comuni.  

 

Come dicevamo, questa idea positiva e d’ispirazione è rimbalzata immediatamente su molti giornali e siti web, per poi però spegnersi rapidamente come tutti i fatti di cronaca. Anche per questo, come L’AltraMontagna, abbiamo sentito la necessità di approfondire questa storia attraverso uno dei suoi principali protagonisti: Paolo Fontana, entomologo e apidologo presso il Centro Trasferimento Tecnologico della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige (Trento).

 

Il progetto Life VAIA (che è anche acronimo di “VAlorizzare il rimboschimento delle foreste danneggiate con l’Agroforestazione Innovativa) prevede lo sviluppo di tecniche avanzate per la ricostituzione delle foreste danneggiate favorendo l’adattamento della futura vegetazione forestale al cambiamento climatico. Ma l’elemento innovativo del progetto è un altro: quello di introdurre una “strategia agroforestale temporanea”. In pratica, in attesa del lento ritorno della copertura boschiva, valorizzare le aree colpite attraverso la coltivazione e la produzione biologica di prodotti, tra cui il miele, realizzate per un periodo 15-20 anni.

 

“Nell’ambito del progetto Life Vaia le api e l’apicoltura rivestono un ruolo importante e strategico”, racconta Paolo Fontana a L’AltraMontagna, “la distruzione di veste aree forestali ha infatti lasciato spazio ad una nuova flora che per alcuni decenni, fino alla riforestazione naturale o guidata, potrà sostenere sia una crescente comunità di impollinatori, sia una attività apistica più remunerativa di quanto un normale ambiente forestale sia in grado di fare. Per questo motivo nei siti pilota del progetto sono stati creati degli apiari per verificare la quantità e la qualità delle produzioni apistiche. È da questi apiari sperimentali che abbiamo ottenuto il Miele della Rinascita, che abbiamo chiamato così proprio perché prodotto in aree sconvolte dalla tempesta e in ambienti che stanno rinascendo a nuova vita”.

Ma la rinascita a cui si fa riferimento nel progetto, sottolinea Fontana, è anche quella delle comunità locali, che possono trovare nelle strategie messe in atto anche nuove idee e sbocchi economici. Ma tornando al miele, di che prodotto si tratta? E da che piante deriva? “Gli apiari che abbiamo allestito nelle aree del progetto Life VAIA sono apiari stanziali e in queste situazioni, in genere, si producono mieli di millefiori”, spiega Fontana, “si tratta di mieli caratterizzati dall’ambiente in cui le api vivono e, nel caso del nostro progetto, si tratta di aree montane, dove lo schianto di vaste aree forestali sta favorendo la crescita di piante come l’erica e il lampone. Si tratta di mieli dai sapori molto intensi e caldi e in genere molto profumati, che hanno inizialmente colorazioni ambrate più o meno intense e una tendenza naturale a cristallizzare”.

 

Nella conduzione degli alveari del progetto è stato applicato un nuovo protocollo per arrivare alla certificazione Biodiversity Friend for Beekeeping, ideata dalla World Biodiversity Association (WBA), uno dei partner del progetto VAIA. Questo protocollo è basato sull’allevamento di api locali, sull’apicoltura stanziale, sull’adozione di tecniche biologiche per il controllo dei parassiti delle api e sulla valorizzazione dei mieli del territorio. Ma quanto tempo ci è voluto prima di veder comparire le piante spontanee nelle aree ex-forestali?

 

“I diversi siti italiani del progetto, e cioè l’Altopiano di Pinè in Trentino, l’Altopiano dei Sette Comuni e quello del Cansiglio in Veneto, hanno evidenziato una ripresa della flora leggermente diversa a seconda delle condizioni ambientali locali, ma possiamo dire che fin dall’anno dopo l’evento le piante più adatte a vegetare in spazi aperti ha iniziato ad espandersi”, spiega Fontana. “Anche la ricrescita delle piante forestali vere e proprie ha mostrato grandi differenze tra un sito e l’altro. Nel sito Trentino, ad esempio, dopo la tempesta che ha distrutto ampie distese di pineta, si è subito osservata la nascita spontanea di piante totalmente diverse come querce, pioppi, betulle e anche castagni oltre a diversi pini, ovviamente. Negli altopiani veneti invece, dove le foreste abbattute dalla tempesta erano in larga parte peccete, la ricrescita della foresta sta evolvendo verso una conferma di questa conifera ma con la presenza di altre specie arboree in percentuali minori”.

Ma la produzione di questo miele nelle aree colpite dalla tempesta potrebbe interferire con altri insetti e specie chiave in questa fase di rinascita dell’ecosistema forestale? “La decisione di allestire inizialmente apiari composti da un numero ridotto di alveari nasce soprattutto dalla volontà di non cerare fenomeni di competizione con gli altri impollinatori”, ci tiene a sottolineare Fontana, “in questi anni stiamo studiando gli Apoidei, ovvero le altre api come bombi, osmie ecc., per valutare come le modificazioni ambientali in atto si riflettano su questi organismi chiave. A questo scopo sono stati posizionati dei bee hotel ma soprattutto si è operato, dal 2022 al 2024, mediante campionamenti a cadenza mensile. Nei siti pilota sono stati inoltre istallati dei nidi artificiali per api mellifere (Domus mellifera di WBA), al fine di valutare anche l’eventuale presenza di colonie selvagge di questa ape sociale. Il progetto ha poi previsto anche il trapianto di piante alimurgiche autoctone a spiccato valore nettarifero e pollinifero, sia per i prodotti che queste piante possono dare all’uomo che per il loro ruolo nel favorire gli impollinatori”.

 

Una ricerca di equilibrio tra produzione e conservazione che il ricercatore sottolinea anche rispetto alla possibile replicabilità di quanto realizzato anche oltre la fine del progetto: “Stiamo ragionando come trasferire il brand Miele della Rinascita agli apicoltori locali perché, in effetti, la produzione di miele in aree sconvolte da eventi naturali è una realtà che può determinare una ricaduta positiva per le economie locali. Il nostro obbiettivo è tuttavia anche quello di valutare queste produzioni di miele, come faremo per altri prodotti come i piccoli frutti selvatici e piante officinali spontanee, nell’ottica di un grande rispetto della biodiversità locale. La tutela della biodiversità deve essere sia un criterio guida ma anche un fattore economico addizionale, un plus, come si dice spesso”.

 

Il Miele della Rinascita, realizzato al momento in edizione limitata come una sorta di “prodotto-ambasciatore” del progetto, conserva in sé un messaggio profondo: i boschi colpiti da Vaia non sono mai “morti”, hanno subito un disturbo che, come ogni disturbo in natura, porta con sé anche nuove opportunità. La resilienza del bosco si mostra attraverso la rinascita di piante erbacee, arbusti, alberi e l’arrivo di nuovi abitanti, come gli insetti impollinatori; la resilienza delle comunità si mostra anche attraverso prodotti innovativi dall’alto valore simbolico, come questo miele dal sapore intenso che ci parla di equilibrio tra utilizzo e conservazione degli spazi naturali. 

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