“Le misure di adattamento attuali sono insufficienti per affrontare i rischi futuri nelle regioni montane”. Alla Conferenza del Clima delle Nazioni Unite si parla di Terre alte
Durante la Conferenza delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico di Bonn si è svolto il primo Dialogo tra esperti dedicato al tema dell'impatto del cambiamento climatico sulle aree montane. Ad esso hanno preso parte i rappresentanti dei gruppi di paesi di tutto il globo, che hanno discusso dei problemi e delle necessità delle terre alte, anche in ottica della definizione dell'agenda della Cop 29 che si svolgerà a Baku tra qualche mese
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
La settimana scorsa, durante la Conferenza delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico di Bonn, si è svolto il primo Dialogo tra esperti sul tema dell’impatto del surriscaldamento globale sulle aree montane. L’incontro è stato convocato su indicazione del documento finale redatto a Cop28, durante la quale tutte le parti hanno convenuto la necessità di dedicare una sessione specificatamente a questo argomento, discutendo degli impatti, delle lacune della ricerca e di come accelerare l'azione per migliorare la resilienza degli ecosistemi montani.
L’apertura è stata affidata a Robert Vautard, dell’Ipcc (il pannello intergovernativo sul cambiamento climatico) e Caroline Adler, rappresentante della Mountain Research Initiative, che hanno ricordato come le aree montuose, che costituiscono circa il 23.5% della superficie del nostro pianeta e ospitano 1.3 miliardi di persone, siano particolarmente esposte ai cambiamenti climatici nel presente e nel futuro. Dai cambiamenti nei regimi di temperatura, che determinano uno spostamento dello zero termico, la riduzione della copertura nevosa e della sua durata, le modifiche nelle portate dei corsi d’acqua, il ritiro dei ghiacciai, l’aumento di estensione dei laghi glaciali, la destabilizzazione del permafrost, con il conseguente aumento degli episodi franosi, fino agli eventi estremi, come inondazioni e precipitazioni eccezionali.
Fenomeni che, a loro volta, inevitabilmente comportano delle perdite di vite, danni alle persone e alle infrastrutture, impatti su diversi settori economici, sia relativi alle comunità montane che a quelle che abitano sul fondovalle, oltre che cambiamenti degli ecosistemi montani e perdite intangibili connesse alla perdita di valore culturale e all’aumento di disastri.
Chiaramente, quando si parla di cambiamento climatico e di futuro, non si può fare a meno di parlare di adattamento. Secondo gli esperti dell’Ipcc, il ritmo, la profondità e la portata delle misure di adattamento attuali sono insufficienti per affrontare i rischi futuri nelle regioni montane, e questo è particolarmente vero a livelli di riscaldamento più elevati. Sempre secondo l’Ipcc, la cooperazione regionale e la governance transfrontaliera nelle regioni montane, supportate da reti di conoscenza e programmi di monitoraggio a diverse scale, sono alla base di azioni di adattamento a lungo termine dove i rischi trascendono i confini e le giurisdizioni.
I relatori hanno riflettuto sull'importanza delle regioni montane nel ciclo globale dell'acqua e la crescente dipendenza delle popolazioni di pianura dal deflusso delle acque di montagna; gli impatti come la perdita di ghiacciai, la riduzione della copertura nevosa e gli eventi alluvionali; le lacune nei dati e nella ricerca, ad esempio sulle piante medicinali di montagna e sulle specie esotiche invasive; l'uso della citizen science, ad esempio per mappare le sorgenti d'acqua; e l'intricato rapporto delle popolazioni indigene con gli ecosistemi montani in termini di pratiche culturali e spirituali, oltre che di alimentazione.
Come sempre accade nei contesti delle Conferenze delle Nazioni Unite sul Clima, a condividere la propria esperienza e la propria conoscenza, oltre che le proprie necessità per portare avanti un’azione climatica efficiente, sono stati i rappresentanti degli stati africani, dell’Asia e del Pacifico, dell’America Latina, dell’Europa dell’Est e dell’Ovest. Tra essi c’erano membri dell’ufficio Foreste e Cambiamenti Climatici della Fao, del programma Adaptation at altitude, e dell’Iniziativa Internazionale sul Clima e la Criosfera.
E’ particolarmente interessante scoprire le priorità e gli specifici problemi evidenziati da ogni gruppo. Per gli stati africani, ad esempio, le parole chiave sono: gestione della risorsa idrica, della terra e inclusione del sapere indigeno nei processi decisionali e di governance delle terre alte. In termini di prospettiva, dal gruppo è arrivata la richiesta di una maggiore attenzione verso le montagne del continente africano perché “pur avendo un minor numero di catene montuose emblematiche, le vulnerabilità possono essere più elevate rispetto ad altre regioni”.
Dai gruppi “Asia e Pacifico” e “America Latina e Caraibi” sono arrivate invece delle richieste molto strutturate e politiche circa la necessità di mettere in atto un concreto cambio di marcia per quanto riguarda la diplomazia climatica internazionale relativa alle zone montuose. I rappresentanti hanno condiviso diversi spunti, tra cui l’idea di nominare più esperti di terreni montani all’interno dell’IPCC, sviluppare un database unificato per tutti i paesi montani e lavorare su una narrativa comune sulla montagna, per arrivare a COP29 a Baku pronti per l’integrazione delle sue istanze all’interno delle discussioni tematiche e dei negoziati.