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Ambiente

Come si presenteranno tra qualche anno molti ghiacciai alpini? Il monte Canin, con una perdita del 96% del volume, ci proietta nel futuro

La quinta tappa della Carovana dei Ghiacciai di Legambiente, partita due settimane fa dalla Francia, con la visita al Ghiacciaio di Mer de Glace, si è svolta sul confine tra Italia e Slovenia, tra il Parco Nazionale del Triglav e quello delle Alpi Giulie Friulane

di
Sofia Farina
04 settembre | 18:15
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

La quinta tappa della Carovana dei Ghiacciai di Legambiente, partita due settimane fa dalla Francia, con la visita al Ghiacciaio di Mer de Glace, si è svolta sul confine tra Italia e Slovenia, tra il Parco Nazionale del Triglav e quello delle Alpi Giulie Friulane.

 

La tappa, itinerante, è partita con la visita del fiume Isonzo alla scoperta della stretta valle, da esso scavata, che porta a Trenta, porta d’ingresso al Parco Nazionale del Triglav e sede del suo centro informazioni. E proprio questo paesino fondato, secondo le leggende locali, da migranti provenienti dal Trentino Alto Adige in cerca di lavoro nel settore minerario ha ospitato la tavola rotonda dedicata al presente e al futuro dei ghiacciai e in particolare al (fu) ghiacciaio del Triglav.

 

A partecipare all’incontro, aperto da Vanda Bonardo, presidente di Legambiente Alpi, e moderato da Elisa Cozzarini sono stati rappresentati del mondo della ricerca scientifica italiana e slovena, dell’attivismo e della tutela ambientale, oltre che della gestione del territorio.

 

La panoramica sulla storia e sulle caratteristiche delle Alpi Giulie e dei loro ghiacciai (o di quello che ne rimane) è stata affidata a Mihela Cekada che ne studia i nevai permanenti e a Nicola Ceschia che si occupa della fauna e della flora che le abitano, a Miha Pavseck, glaciologo e nivologo dell’Università di Lubjiana, che analizza il ghiacciaio del Triglav da decenni, e ad Andrej Arih che da decenni si occupa della sua gestione.

 

La situazione slovena è stata poi inquadrata nel contesto dell’intero territorio alpino grazie agli interventi di Valter Maggi, presidente del Comitato Glaciologico Italiano e di Stefano Raimondi, Responsabile della Biodiversità di Legambiente.


Riduzione dell'estensione del ghiacciaio del Triglav dal 1946 a oggi.

“Con 78 anni di misurazioni continuative possiamo dire che il ritiro di questo ghiacciaio è una delle poche prove dirette del cambiamento climatico in Slovenia” ha raccontato il professor Pavseck. “Nel 1976 il ghiacciaio del Triglav copriva un'area di 15 ettari; nel 1992 si era ridotto a 4,3 ettari e ha raggiunto il suo minimo di 0,6 ettari nel 2003. Da allora il ghiacciaio è stato conservato principalmente dalla copertura nevosa degli inverni precedenti”.

 

L’indomani è stato finalmente il momento di andare a portare il proprio saluto ai giganti di ghiaccio in rapido arretramento. La carovana composta da ricercatori, tecnici, attivisti, artisti e appassionati, con le classiche bandiere azzurre, è partita da Sella Nevea, in provincia di Udine, per dirigersi verso il Monte Canin, che raggiunge i 2587 metri di quota.

Lungo il sentiero, guidati dai “local” e in particolare da Renato Colucci, ricercatore del CNR di Trieste e maggior esistente sul ghiacciaio del Monte Canin, che ha dedicato anni alla ricostruzione della sua storia e della sua evoluzione, realizzata nei modi e con gli strumenti più disparati, dai rilievi sul posto alla ricerca delle fotografie ottocentesche negli archivi locali. Colucci conosce infatti il ghiacciaio da ben prima di aver iniziato a studiarlo, lo frequenta dagli anni della prima gioventù e lo ha visto arretrare a velocità da record negli anni.

“Il mio rapporto con il Canin nasce ben prima di diventare ricercatore, l’ho salito per la prima volta quando avevo solamente 23 anni, e poi ho avuto la fortuna di approcciare questo ghiacciaio da un punto di vista scientifico studiandone i resti glaciali in questo clima che sta cambiando”.

 

Trovarsi di fronte al lembo di ghiaccio grigio che costituisce l’ultimo resto del ghiacciaio del Canin è un’esperienza emotivamente sfaccettata e complessa: lo sguardo si posa su una vasta porzione di roccia levigata e molto più chiara di quella sovrastante, che mostra chiaramente di essere nuova al contatto con l’atmosfera, che avviene solo da qualche decennio. I segni sul terreno, fatti dai precedenti studiosi e osservatori del ghiacciaio, permettono di intuirne e immaginare le dimensioni che aveva fino agli anni '80, quando ancora, per raggiungere la cima del Canin, era necessario utilizzare piccozza e ramponi.

 

“Siamo qui sul Canin per questa quinta tappa della Carovana dei Ghiacciai per vedere questo ghiacciaio che è quasi scomparso e per raccontare come sarà l’intero arco alpino in un futuro ormai prossimo” spiega Bonardo.

 

I ghiacciai del Canin, infatti, hanno perso, nel corso dell’ultimo secolo, circa l’84% della loro estensione e il 96% del loro volume. I dati conoscitivi complessivi sulla deglaciazione delle Alpi Giulie raccontano di come la superficie glacializzata sia passata dai 2.37 chilometri quadrati della fine Piccola Età Glaciale (terminata intorno al 1850), ai 0.38 chilometri quadrati di oggi.

Una forte connessione emotiva con le montagne attraversate dalla carovana è emersa con forza anche dalle parole di Maurizio Ponton, geologo e docente universitario che ha studiato quelle rocce “bucate come il groviera” per tutta la sua carriera e Sandro Cargnelutti, presidente pro-tempore di Legambiente Friuli Venezia Giulia, che ha voluto porre l’accento sulle drammatiche modifiche che i regimi di innevamento nella zona hanno subito nel corso dei decenni, e di cui lui stesso è stato testimone.

 

La scelta di Sella Nevea, infatti, stazione sciistica rinomata anche per le copiose nevicate che caratterizzano l’area, ha permesso anche di ricordare come sulle piste del suo comprensorio fino a non molti anni fa si praticasse sci estivo fino ad agosto inoltrato. Un’informazione che ha destato non poco stupore nei membri della carovana, davanti ai cui occhi si apriva un panorama completamente asciutto, composto anche da piste che si stagliano imponenti e completamente prive di neve sui pendii popolati da ruspe e camosci.

A concludere la tappa, come da consuetudine, è stato un momento di raccoglimento e di saluto al ghiacciaio morente, accompagnato dalle note del violino di Giacomo Ambrosino. L'esibizione è stata un omaggio alla bellezza e al prezioso servizio che svolgono i ghiacciai.

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