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Ambiente

Cecilia Sala: "Durante la prigionia il canto buffo di un un uccellino mi ha regalato un sorriso". L'importanza dei suoni della natura per il nostro benessere

Dal racconto di Cecilia Sala dei suoi giorni di prigionia, passando per gli internati di guerra fino alle moderne ricerche neuroscientifiche, si moltiplicano le testimonianze di come la natura, e in particolare il canto degli uccelli, possano alleviare le nostre pene ed aiutarci a sentirci più liberi, sia dalla prigionia fisica che da quella mentale

di
Chiara Bettega
19 gennaio | 18:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

La giovane donna si guarda le mani e conta le dita. Uno, due, tre, quattro,… dieci. Dal pollice della mano sinistra a quello della mano destra, e viceversa. Ha perso ormai il conto di quante volte ha ripetuto questa specie di mantra, ma non può perdere quello dei giorni passati da quando l’hanno rinchiusa in quella cella. Se lo perde, ha paura che se ne vada anche la speranza. La donna ha intuito il motivo per cui si trova tra quelle quattro, strette mura e questo la preoccupa. E’ una cosa più grande di lei, che muove tempi, spazi e poteri molto più grandi di lei.

La luce del neon sopra la sua testa è implacabile, giorno e notte. Per terra alcune coperte, che le servono sia per coprirsi che da materasso. Il silenzio è pervasivo, rotto solo dal ritmico passo delle guardie, dal rumore della chiave che gira nella serratura e da quello della porta che si apre e si chiude quando le portano da mangiare. Rumori duri, metallici, bellici. Per il resto, silenzio.

Si guarda di nuovo le mani e ricomincia a contare. Dalle profondità del carcere le pare di sentire un rumore ovattato di passi che poco a poco si delinea sempre più chiaro, finché la chiave apre la porta. In un inglese stentato la guardia ordina alla donna di uscire, è il momento della boccata d’aria. E’ la seconda volta che la fanno “uscire”, da quando è rinchiusa. La prima volta, l’emozione del fazzoletto di cielo racchiuso dal filo spinato delle mura carcerarie l’ha fatta ridere e piangere. Chissà come sarà questa volta, si chiede.

Il cielo è azzurro intenso e sembra quasi riflettersi sul pavimento di cemento. La donna inspira profonde boccate dell’aria fredda di gennaio che scende dai pendii degli Elburz. All’improvviso, un suono diverso rompe la monotonia dei sensi di cui è prigioniera da giorni. Un delicato verso bitonale, una strofa flautata fatta di due versi discendenti e uno ascendente che termina quasi come una domanda: tìu… tìu… tùi? La donna sorride e poi ride, ha ovviamente riconosciuto in quel suono il verso di un uccellino che però non può vedere. Ma lo sente, e lo trova simpatico. E lì, stretta in quelle quattro mura con un fazzoletto di cielo sopra la testa, pensa che sia la cosa più vicina alla libertà a cui in questo momento possa aspirare.

 

Nel racconto che la giornalista Cecilia Sala ha fatto della recente incarcerazione nel penitenziario iraniano di Evin, Teheran, in una puntata del suo podcast Stories, dice che le due volte in cui ha riso, durante i 20 giorni di prigionia, sono state quando ha visto per la prima volta il cielo e quando “c’era un uccellino che faceva un verso buffo”, precisando subito dopo che “il silenzio è un altro nemico e in quel contesto e in quelle due occasioni ho riso, mi sono sentita bene e mi sono concentrata su quell’attimo di gioia”.

 

Ho fatto una breve ricerca delle possibili specie di uccelli presenti in questo periodo dell’anno a Teheran. Al giorno d’oggi questo tipo di ricerca è facilitato enormemente da applicazioni come ebird o iNaturalist, in cui gli utenti possono caricare le proprie osservazioni, geolocalizzandole e corredandole di eventuali immagini. Questo mi ha permesso di avere una lista di massima delle specie di uccelli presenti nella città iraniana in inverno. Inoltre, nel caso non si conoscano canti e versi, il sito xeno-canto raccoglie migliaia di registrazioni di canti e richiami delle specie di uccelli di tutto il mondo, caricate anche in questo caso da utenti privati.

 

Ho quindi voluto immaginare che l’uccellino di cui la Sala descrive il verso potesse essere un lucherino (Spinus spinus): un piccolo fringillide che troviamo anche nei nostri boschi e giardini in inverno, dalle piume screziate di nero e giallo e dal caratteristico richiamo flautato, che all'orecchio del neofita potrebbe certamente sembrare, come la giornalista lo descrive, buffo.

 

Maschio di lucherino (foto Karol Tabarelli de Fatis - MUSE)

 

L’attimo di benessere sperimentato da Cecilia Sala nell’udire il verso di un uccellino non è un caso isolato, tra chi si trova in condizioni di prigionia. Lo sloveno Rudolf Bratuž, internato nel campo di Urbisaglia (Macerata) durante la Seconda Guerra mondiale, in una lettera ad un amico raccontava che i canti accompagnati da violino e fisarmonica di alcuni internati, uniti al canto degli uccelli del parco, “riuscivano a far dimenticare di essere internati e infelici”.

Gli uccelli hanno un ruolo centrale anche per il soldato inglese Horace Greasley, internato durante la stessa Guerra per cinque anni in un campo di concentramento polacco, nei quali si innamorò di un’interprete tedesca. Questo ruolo è testimoniato già dal titolo del libro che ne racconta la storia, “Se all’inferno cantano gli uccelli”. Questo passo emblematico evoca il potere del canto degli uccelli di trasmettere un senso di benessere e libertà nei prigionieri:

“Horace guardò verso l’alto. L’alba stava pennellando di un rosa cenere il cielo invernale, e per la prima volta provò la sensazione di essere davvero libero. All’inizio non capì a cosa fosse dovuto, poi gliene arrivò, chiara, la ragione. «Ascolta.» Rosa lo guardò. «Cosa? » «Non riesci a sentirlo? » «Sentire cosa? » Horace sorrise, puntò l’indice in alto. «Guarda…» Sul cartello stradale a pochi passi da loro c’era un piccolo pettirosso che sembrava assistere alla scena. Cinguettava, cantava e spostava la testa da una parte all’altra, senza fuggire. Rosa sorrise. «E’ meraviglioso. » «E’ libero» rispose Horace.

 

Pettirosso (foto Luigi Marchesi)

 

L'effetto benefico del canto degli uccelli è stato dimostrato anche da diversi studi scientifici, che ne hanno rilevato la capacità di alleviare lo stress psicologico e la difficoltà di concentrazione nelle persone che li ascoltano. In particolare, uno studio recente pubblicato su Scientific Reports e guidato da un gruppo di ricercatori del King’s College di Londra, ha sviluppato un’applicazione per smartphone, la Urban Mind application, per “misurare” l’esperienza delle persone nell’ambiente urbano e rurale e come questa ne influenzi il benessere mentale. Analizzando i dati così raccolti, i ricercatori hanno scoperto che il benessere mentale delle persone migliora significativamente dopo aver visto o sentito degli uccelli, anche in contesti urbani e la condizione di benessere può permanere fino ad otto ore. L’effetto benefico, inoltre, è risultato evidente anche in persone affette da depressione, la più diffusa malattia mentale a livello globale.

 

Schermata iniziale dell'app Urban Mind

 

“La nostra speranza è che questi risultati dimostrino l’importanza di proteggere gli uccelli e favorire le condizioni ambientali adatte alla loro presenza, non solo per la biodiversità ma anche per la nostra salute mentale”, commenta Ryan Hammoud, primo autore dello studio.

 

Abbiamo già parlato dell’importanza che riveste il paesaggio sonoro in cui viviamo e di come le attività umane influiscano in modo spesso quasi arrogante su di esso, introducendo suoni monotoni e rumori fastidiosi che nascondono tutto ciò che è naturale e che portano ad un'estrema banalizzazione sonora. Con la conseguenza di aumentare lo stress negli animali ma anche nell'uomo. 

Dal racconto di Cecilia Sala, passando per gli internati di guerra fino alle moderne ricerche neuroscientifiche, troviamo invece nuove testimonianze di come la natura, e in particolare i canti degli uccelli, possano alleviare le nostre pene.

Che ci servano da lezione per provare a costruire una società meno cacofonica e più attenta a ciò che udiamo.

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