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Ambiente

Il bostrico non è solo un problema delle Dolomiti: dal Molise al Canton Ticino, l'avanzata del coleottero è legata a siccità e temperature

Due interessanti articoli, usciti negli scorsi giorni, ci permettono di associare il bostrico (il coleottero autoctono che ha colpito massicciamente le foreste di abete rosso del Nord-Est a seguito della tempesta Vaia) a zone abbastanza lontane tra di loro e rispetto ai boschi delle Dolomiti: il Canton Ticino e la dorsale appenninica, fino al Molise

di
Luigi Torreggiani
18 gennaio | 06:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

“La guerra è vinta”: così hanno titolato alcuni mesi fa diversi giornali riferendosi all’emergenza bostrico (il coleottero autoctono che ha colpito massicciamente le foreste di abete rosso a seguito della tempesta Vaia). In effetti, il 2024 è stata un’annata di relativa tregua, con i livelli di infestazione da parte dell’insetto in netto calo in tutte le Regioni e le Province autonome coinvolte, come abbiamo descritto qui. L’andamento discendente dello scorso anno ha fatto tirare a tutti un sospiro di sollievo, ed è normale che sia così. Quello che però è spesso mancato nel racconto di questa positiva notizia è stato un “grandangolo”, un punto di vista ampio necessario per non soffermarsi solamente sul territorio delle Dolomiti e delle Alpi italiane nord-orientali.

 

L’errore è infatti spesso quello di associare l’avanzata del bostrico unicamente alla tempesta Vaia e alla presenza massiccia di abete rosso, spesso piantato, in passato, in purezza anche oltre l'areale della specie. La combinazione di tempesta e distese artificiali di abete rosso ha avuto indubbiamente un ruolo di peso nell’avanzata del coleottero negli ultimi anni, ma c’è un altro grande protagonista troppo poco narrato in questa storia: la crisi climatica.

 

A regalarci un interessante grandangolo sono stati, negli ultimi giorni, due interessanti articoli che ci permettono di associare il bostrico a zone abbastanza lontane, tra di loro e rispetto alle Dolomiti: il Canton Ticino e la dorsale appenninica, fino al Molise.

Il primo articolo è un’intervista, realizzata da Ticinonews a Marco Conedera, ricercatore forestale del Wsl, un’importante istituzione scientifica svizzera. Conedera parla di bostrico in questi termini: “L’insetto è la causa finale, perché attacca degli alberi già sofferenti a causa della mancanza di acqua. Lo stress idrico è aumentato negli ultimi anni a causa del cambiamento climatico: le estati sono sempre meno piovose e più calde, ciò fa aumentare la traspirazione degli alberi. In montagna ci sarà un progressivo scivolamento verso l’alto di questa specie (l’abete rosso, n.d.r.). Le fasce più basse dove l'abete sta soffrendo avranno una sostituzione di specie, mentre più in alto, dove c'è più pioggia e fa meno caldo, l'abete rosso troverà magari anche addirittura nuovi spazi da colonizzare”.

 

Il secondo articolo è una nota pubblicata da ricercatori del Centro di ricerca “Difesa e Certificazione” del CREA sul sito dell’Accademia dei Georgofili e intitolata: “Non solo Alpi: gli attacchi di bostrico tipografo negli Appennini”.

 

Scrivono gli Autori: “Le formazioni forestali e le particelle sperimentali di Abete rosso realizzate negli anni passati sull’Appennino con semi raccolti sulle Alpi o in peccete del Centro Europa, come i boschi dell’Appennino settentrionale (qui abbiamo parlato di Val Parma e Val Cedra) e gli impianti dislocati nella dorsale appenninica centro-meridionale, stanno subendo l’azione di vari fattori avversi, legati in particolare ai cambiamenti climatici in atto e ad eventi meteorici estremi, che hanno determinato stress idrici e, a seguito di fenomeni di particolare intensità, determinato stroncature di cime e schianti di molte piante”.

 

Gli Autori (Pio Federico Roversi, Paolo Toccafondi e Leonardo Marianelli), parlano dei boschi dell’Appennino tosco-emiliano, come la Riserva Naturale dell’Abetone o la Riserva Naturale Orientata e Biogenetica di Campolino (di cui abbiamo già parlato qui), dove da alcuni anni sono in atto programmi di intervento con mezzi biotecnici a basso impatto ambientale finalizzati a salvaguardare il nucleo naturale più meridionale di abete rosso, relitto glaciale di grande interesse genetico e naturalistico. Ma la nota cita anche la Riserva Naturale Orientata di Montedimezzo, in Molise, dove secondo gli Autori i disseccamenti hanno causato la quasi totale distruzione degli impianti artificiali presenti nell’area.

 

E non c’è solo il bostrico. “Le indagini avviate nell’Appennino dal CREA Difesa e Certificazione”, conclude la nota, “hanno evidenziato per la prima volta la diffusa presenza e il ruolo importante nel disseccamento delle piante colpite di un altro scolitide, Polygraphus polygraphus, in associazione con vari funghi e batteri, fornendo informazioni per una maggiore comprensione dei complessi fenomeni di deperimento della conifera”.

Come dimostrano questi due recentissimi articoli, ma anche una letteratura scientifica vasta e ormai consolidata (la “Bibbia” sul tema è Bark Beetle Management, Ecology, and Climate Change, volume curato da circa quaranta scienziati, i maggiori esperti di questo tema a livello internazionale), il bostrico non è solo connesso a Vaia e non è affatto un problema del solo Nord-est.

 

In “Sottocorteccia - Un viaggio tra i boschi che cambiano”, il primo libro targato L’AltraMontagna, una breve passaggio spiega, numeri alla mano, la gravità della situazione a scala europea: “Il numero di abeti rossi compromessi dagli scolitidi sta subendo un notevole incremento in tutta l’Europa temperata. Per il primo decennio del XXI secolo - hanno scritto Luca Deganutti e Massimo Faccoli su Sherwood - è stato stimato un aumento dei danni da bostrico in Europa pari a sei volte quelli registrati nel periodo 1971-1980, e un ulteriore aumento del 764% è previsto per il periodo 2021-2030”. Settecentosessantaquattro per cento: un’enormità.

 

Più che una guerra vinta, come abbiamo ricordato in questo articolo, per il Nord-Est si può parlare al massimo di una tregua, dovuta non a caso all’andamento climatico (la stagione favorevole per i boschi di abete - e sfavorevole per il bostrico - della primavera-estate del 2024). Come in ogni grande infestazione è iniziata probabilmente una fase calante della curva, che tuttavia potrebbe impennarsi nuovamente a causa di prolungate siccità o nuovi schianti da vento o da neve.

 

Un motivo in più per ridurre velocemente le emissioni da un lato e per iniziare a lavorare con più forza, dall’altro, alla creazione di boschi più resistenti e resilienti, ma ancora capaci di generare servizi ecosistemici ed economia rurale.

 

 

 

Foto: Gilles San Martin - Wikimedia Commons (copertina e foto 1); Luigi Torreggiani (Foto 2)

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