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Ambiente

Areale di Ferdinando Cotugno diventa podcast e inizia raccontando l'infestazione del bostrico nei boschi del Nord Est

La celebre newsletter Areale, prodotta da quotidiano Domani e realizzata con cadenza settimanale da Ferdinando Cotugno e arrivata alla sua 175esima edizione, diventa podcast e nella prima puntata ospita Luigi Torreggiani, co-autore di "Sottocorteccia: un viaggio tra i boschi che cambiano”, scritto a quattro mani con Pietro Lacasella, edito da People e primo testo firmato L’AltraMontagna

di
Sofia Farina
12 aprile | 19:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Areale, la newsletter che “racconta la crisi climatica, la transizione ecologica e il nostro complicato rapporto con la biodiversità” curata da Ferdinando Cotugno è ufficialmente diventata (anche) un podcast e la sua primissima puntata, online da questa settimana, racconta un tema di grande importanza per le terre alte e per L’AltraMontagna: l’infestazione di bostrico. L’ospite della puntata è infatti Luigi Torreggiani, co-autore del libro “Sottocorteccia: un viaggio tra i boschi che cambiano”, scritto a quattro mani con Pietro Lacasella, edito da People e primo testo firmato L’AltraMontagna. Quello della diffusione incontrollata del bostrico nelle foreste del nord est è un problema molto attuale e una diretta conseguenza degli schianti determinati della tempesta Vaia. La storia della diffusione di questo coleottero, lungo pochi millimetri ma capace di colpire intere vallate, si intreccia dunque a quella del surriscaldamento globale in atto che, mettendo in gioco quantitativi di energia sempre più elevati nel sistema atmosferico, rende eventi estremi come Vaia, con le sue raffiche di vento distruttive, sempre più frequenti. Inoltre, l’innalzamento delle temperature facilita lo sviluppo del bostrico e rende più fragili gli abeti e quindi più vulnerabili agli attacchi.

 

Per celebrare l’inizio di questa nuova veste di Areale, e invitarvi all’ascolto della sua prima puntata, abbiamo intervistato Ferdinando Cotugno. 

 

⁠175 episodi di Areale: come si è evoluta questa newsletter e la comunità che si è creata attorno ad essa?

 

Difficile rispondere a questa domanda: Areale ha avuto varie stagioni e varie vite, se c'è una coerenza di fondo è il tentativo di cercare un filo, un angolo, perché come dice Rebecca Solnit la crisi climatica è anche una crisi di racconto. Areale è stata ed è un laboratorio di sperimentazione di questo racconto, di cosa funziona, cosa no, cosa ha senso sottolineare, cosa è eccessivo. Nel suo primo anno, era più cupa, più pessimista, e mi è stato anche fatto notare, mi scrivevano: grazie, ma a volte mi rende un po' triste. Col tempo, i messaggi che mi arrivano sono cambiati, perché è cambiata la mia urgenza, è diventata un'urgenza di costruzione di futuro, quindi dopo tre anni il tipo di messaggio che ricevo più spesso è: grazie, nonostante tutto mi dà un po' di speranza. Ho sempre provato a intenderla come un racconto orale collettivo, non tanto basato sull'io ma sul noi. Mi sono reso conto che il Noi e il Tu sono le persone di Areale. Noi perché è uno spazio di comunità, in cui si sta insieme in un testo, lo si legge insieme, ma lo si costruisce anche insieme, lo si scrive insieme, e poi Tu, tu più che voi, perché io penso che ci sia molto bisogno di riscoprire un livello personale di partecipazione alle sorti climatiche ed ecologiche del mondo. Quindi a volte prendo questo tono un po' confidenziale per invitare le persone a bordo. I temi seguono l'anno, le sue stagioni: c'è il periodo della Cop, ci sono i periodi delle proteste, ci sono i periodi dei disastri, i periodi dei report. La parte difficile è scegliere cosa dire, perché il cambiamento climatico vuol dire uno tsunami di informazioni. La comunità che c'è sotto Areale mi sembra all'intersezione di una serie di areali: il mondo scientifico, il mondo della politica e dell'attivismo, e poi tante persone sensibili, che non appartengono a nessun mondo ma al mondo. E sono quelle che mi sono più care, che ogni tanto mi mandano lunghissime mail un po' smarrite. A cui rispondo in modo altrettanto smarrito. Areale per cercatori di un proprio areale.

 

⁠Perché anche un podcast? Da cosa nasce questa esigenza?

 

Cercare un linguaggio nuovo per fare la stessa cosa. La newsletter ha una serie di limiti strutturali che il podcast ti permette di superare: è più agile, è più vicino, per la newsletter, sopratutto per una newsletter così lunga come Areale, devi crearti uno spazio, un tempo, quasi un rituale. Il podcast è una cosa che coincide con lo smartphone e le cuffie, te lo porti in tasca, ti segue, si adatta. Negli ultimi anni, anche grazie alla bellissima esperienza di Ecotoni, ho scoperto di essere a mio agio con la parola parlata, la parola pronunciata, per me è una novità, io vengo da un mondo scritto, un mondo che si scrive e si legge a mente, quindi è tutta una scoperta. Il podcast mi fa sentire molto insicuro, e mi piace, trovo una cosa sana, fare cose più difficili di quelle a cui siamo abituati. E poi l'obiettivo politico: uscire fuori dalla bolla, cercarci contatti nuovi, sia io che Domani che produce e permette l'esistenza di newsletter e podcast, andare nel mare più ampio. Il podcast ha questo potenziale. Diciamo che la newsletter è una casa, e una casa serve sempre, per farci le nostre idee, stare tra noi, anche stare al sicuro, nelle nostre idee. I podcast sono un mezzo di trasporto per uscire da quella casa, andare in giro, mettere in discussione quelle idee, vedere se funzionano davvero.

 

Crisi climatica e montagna: quali sono i temi che più ti colpiscono di questo binomio?

 

La montagna è un nuovo sensibile. È un termometro, i luoghi che ci avvertono per primi di un'emergenza. E poi le persone che vivono, che lavorano in montagna, non sono solo sentinelle. Sono anche patrimoni di pratiche, conoscenze, modi di vivere, che nel nostro futuro adattamento ecologico saranno fondamentali. Nei luoghi fuori dall'Europa si parla tanto di popoli indigeni, in un discorso post-coloniale, alla pari, 400 milioni di persone che rappresentano una forza politica dirompente, che ancora sottovalutiamo, ma sono quelli che conoscono e praticano la sostenibilità nella sua accezione primaria, sono i primi a opporsi all'idea occidentale e coloniale di incontaminato, che se c'è presenza umana allora c'è distruzione. Oggi i ragionamenti politici più all'avanguardia partono tanto dall'attivismo indigeno (ne ho scritto qui). Ecco, in Europa abbiamo pochissimi popoli indigeni (solo in Artico) e in Italia non abbiamo questa forza politica a cui attingere. Però abbiamo i montanari, che svolgono la stessa funzione ecologica e politica: sanno. Conoscono. Praticano. Sono patrimoni e custodi di un modo di essere sostenibili che tiene insieme tutti i pezzi, e che parte dall'umano. L'esperienza indigena è un'esperienza molto umana, che trova il giusto rapporto con l'ecosistema partendo dall'umano, senza mai provare a cancellarlo. L'esperienza montanara mi sembra faccia la stessa cosa.

 

Per iscriversi alla newsletter: qui. Il podcast uscirà ogni martedì sulle principali piattaforme.

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