"Alla faccia della siccità": Libero cerca di dimostrare che chi si preoccupa del futuro dello sci è un catastrofista, ma i dati raccontano un'altra storia
Sull'edizione del 15 aprile del quotidiano "Libero" è stato pubblicato un articolo dal titolo "Alla faccia della siccità, quest’anno sulle Alpi riserve d’acqua da record". Lo leggiamo insieme, commentandone alcuni passaggi dati (complessivi e comprensivi) alla mano
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Sull’edizione di Libero del 15 aprile è stato pubblicato un articolo intitolato “Alla faccia della siccità, quest’anno sulle Alpi riserve d’acqua da record”. Un esempio da manuale di come utilizzare pochi e (accuratamente) selezionati dati per fornire un’immagine fuorviante e anti-scientifica della realtà che abbiamo di fronte, gettando benzina sul fuoco della disinformazione e disincentivando discorsi e ragionamenti necessari su come affrontare gli inverni del presente e del futuro sulle montagne italiane.
Riprendiamo alcune frasi dell’articolo (in corsivo), commentandole con un breve resoconto delle analisi più recenti sul tema, facendo chiarezza sullo stato delle risorse idriche sulle montagne italiane.
“Ecco, appunto, partiamo da lì, dai ghiacciai sulle Alpi. Rileva, la fondazione Cima, che un accumulo di neve come quello degli ultimi dodici mesi non si vedeva dal 2012”.
Partendo proprio dai report di Fondazione Cima, utilizzati come fonte dalla giornalista che ha scritto l’articolo su Libero: “È importante però osservare che, anche per quanto riguarda le Alpi, la situazione non è uniforme e si osservano differenze importanti a seconda della quota. Infatti, lo snow water equivalent è positivo sopra i 1800-2000 metri, dove lo zero termico non è ancora stato superato, al di sotto di questa quota, però, il deficit rimane significativo”. Tant’è che l’idrologo Francesco Avanzi, che si occupa proprio di queste analisi, ha commentato: “È come se ci fossero due inverni allo stesso tempo: uno nevoso in quota, e uno avaro di neve a quote medio-basse”.
Altri dati nell’articolo sono quelli pubblicati da Anbi, l’Associazione nazionale consorzi gestione e tutela del territorio e acque irrigue. Ma anche in questo caso, in modo fuorviante, infatti citando Massimo Gargano, direttore generale dell'associazione: “Si conferma la condizione di un'Italia dell'acqua, spaccata a metà: il Nord a rischio idrogeologico, il Sud in sofferenza idrica e già con risorse localmente razionate ed autobotti in azione. Sono le due facce di una stessa medaglia, che abbisogna di medesime ricette: efficientamento della rete idraulica, nuove infrastrutture per la raccolta e la gestione delle acque, innovazione ed ottimizzazione d'uso della risorsa, diffusa cultura idrica".
Andando poi più nello specifico sullo stato dei ghiacciai, riprendiamo il commento del climatologo del Cnr Giulio Betti: “Abbondanti precipitazioni concentrate in poco tempo sono ormai un classico degli ultimi anni e risultano coerenti con tutte le proiezioni climatiche. La neve è una meteora come tutte le altre e non sfugge a questa regola. In alcune località del Piemonte sono caduti dai 100 ai 150 cm di neve in 24/30 ore a quote relativamente alte per la stagione. Una precipitazione intensa e concentrata che a quote inferiori ai 1000-1300 metri è caduta sotto forma di forti piogge con tutti i disagi del caso. Le nevicate spettacolari degli ultimi giorni giungono alla fine dell'inverno più caldo mai osservato al Nord (e in Italia) dal 1800, nonché a livello globale. La neve non significa necessariamente freddo e il freddo non significa necessariamente neve, ma la neve che non viene seguita dal freddo è come un libro senza il finale. E mentre sulle Alpi nevicava (peraltro non ovunque) l'Appennino continuava a piangere pioggia. Gli strati accumulati in così pochi giorni, benché molto importanti, NON salveranno i ghiacciai alpini dal caldo anomalo estivo. Si tratta di neve dalle caratteristiche primaverili, caduta senza uno zoccolo spesso ed esteso di neve autunnale (la più importante). Quindi riserva idrica sì, ma soluzione per i ghiacciai no".
“Noi siam qui, a fondo valle, in questi giorni che sembra quasi estate, ma lassù ai 2mila, ai 2mila, pure oltre, fa ancora freddo”.
Intanto, riprendendo ancora i commenti del climatologo Giulio Betti: “L'assenza di neve nei bassi strati e nei fondovalle tra tardo inverno e inizio primavera comporta, in regioni come quella alpina, un precoce riscaldamento dal basso dovuto al maggior assorbimento di energia che inevitabilmente influenza le quote alte, favorendo una rapida fusione della seppur abbondante neve presente. Un processo, quello della fusione della neve in primavera, del tutto normale per le medio-alte latitudini, ma che negli ultimi anni risulta più esteso, intenso e precoce”.
Anche senza spingersi così in là con ragionamenti che presuppongono una certa affinità con le leggi della termodinamica, parlare di “freddo” in alta quota è semplicemente falso. L’inverno 2023-2024 infatti ha registrato importanti anomalie termiche, che nel Nord Italia hanno toccato punte di anche +3,5°C rispetto all’ultima decina d’anni. Sì è da poco concluso il terzo mese invernale e anche il terzo mese che è stato dichiarato il più caldo mai registrato (“il marzo più caldo mai registrato”, “il febbraio più caldo mai registrato”… e così via). Nel secondo fine settimana di Aprile, lo zero termico è salito oltre i 4000 metri, portando a delle condizioni più da estate inoltrata che da primavera appena iniziata, anche e soprattutto alle alte quote, che sono state teatro di numerosissime valanghe spontanee, dovute alla pesante neve resa impregnata di acqua liquida per via dell’alta temperatura. Anche il weekend successivo, quello appena concluso, ha portato con sé numerosi record (tanto da farci chiedere quanto ancora potremmo raccontarli e definirli tali) con massime temperature molto superiori ai venti gradi in località sciistiche note come Zermatt e Chamonix.
“Se fino a qualche mese fa il ritornello era l’allarme siccità, per la prossima bella stagione possiamo metterci l’anima in pace e stare tranquilli: i bacini alpini hanno attualmente un surplus di neve che diventerà acqua e andrà a rinfoltire quei fiumi che soffrono di più di tutti le temperature alte di ferragosto”.
Continuando a citare Avanzi, sul tema di quanto queste nevicate di fine inverno possano farci tirare un sospiro di sollievo: “Questi ultimi dati registrati sulle Alpi sono senz’altro una buona notizia ma se e quanto l’acqua ora finalmente presente nel bacino del Po sotto forma di neve potrà sostenere i mesi primaverili ed estivi dipende dalle temperature. Le temperature elevate possono ancora causare, anche sulle Alpi, fusioni precoci: perché sia davvero utile nei periodi in cui l’acqua ci è più necessaria, la neve deve restare tale ancora per alcune settimane”. Avanzi ha anche spiegato quanto sia complicato fare delle previsioni accurate sulla siccità per i mesi in arrivo: "Le stime sono molto complicate: è necessario continuare a monitorare attentamente la situazione perché sappiamo che quello della siccità è un fenomeno lento a svilupparsi nel tempo e le condizioni locali non sono sempre rappresentative del resto del Paese".
E soprattutto, possiamo citare l’estesa letteratura scientifica che fa notare come gli eventi siccitosi nell’arco alpino siano aumentati negli ultimi decenni, e aumenteranno nei prossimi, diventando sempre più intensi e difficili da gestire, con tutto ciò che ne consegue.
“Un discorso diverso vale per l’Appennino il quale è brullo da tempo”.
La situazione disastrosa, preoccupante e gravissima dell’Appennino è relegata ad una frasetta, con cui la catena montuosa che disseta mezza Italia viene definita semplicemente “brulla da tempo”, come fosse un problema non degno di nota, come se i bacini dei principali fiumi del centro-italia non segnassero dei deficit di che superano il -80%, come nel caso dell’Aterno Pescara (-81%), Tirso (-87%), Tevere (-80%) e Trati (-87%). Poco male se milioni di italiani dovranno gestire una situazione emergenziale nei prossimi mesi, a Cervinia si può sciare fino al 5 maggio quindi che i “catastrofisti” si mettano l’anima in pace.
“Ma sulle Alpi è andato, sta andando, tutto per il meglio, al punto che diverse stazioni sciistiche hanno deciso di non fermare lo skipass. Aprile, dolce dormire: ma anche sciare. E se non fa rima pazienza. Cervinia ha inaugurato le zigzagate coi carving prima di tutti e chiuderà dopo che le altre avranno fatto altrettanto. A Solda, in Alto Adige, c’è tempo fino al primo maggio, pure sul Presena, in Trentino, la data è il 5. Di smettere prima, non se ne parla”.
Anche qui sembra quasi ridicolo doverlo mettere per iscritto, ma si tratta di un caso esempio di ciò che gli anglofoni definiscono “cherry picking”, ovvero selezionare solamente i pochi casi a sostegno della nostra tesi, tralasciando la maggioranza del totale (che costituiscono i rimanenti e che screditerebbero la tesi stessa). Come osservabile a colpo d’occhio qui: 97 stazioni sciistiche chiuse, da tempo, e ben 7 aperte (proprio quelle citate dall’articolo e proprio quelle che partono da e raggiungono quote molto elevate (dai 2000 metri in su).
“Ma chi l’ha detto che lo sci è morto?” conclude l’articolo, e verrebbe da rispondere che non è morto, ma che rimane un settore che necessita di nette e drastiche azioni di adattamento, e soprattutto che a dirlo non sono solamente i ricercatori e le ricercatrici, e che sono sempre di più le voci che si uniscono a questo grido d’allarme e comprendono anche atleti, lavoratori del settore e abitanti delle terre alte.