Emilio Comici, leggenda fragile dell'alpinismo: eroe acclamato dal regime, ma anche uomo colmo di limiti e insicurezze
84 anni fa, il 19 ottobre, cadeva Emilio Comici. Protagonista indiscusso dell’epoca del sesto grado, fu sicuramente tra i più celebri e talentuosi alpinisti della sua generazione. Dopo una sequenza infiniti di successi e salite estreme, trovò la fine su un prato, mentre arrampicava una facile paretina insieme ad alcuni amici completamente digiuni d’arrampicata. La fine è emblematica delle profonde contraddizioni con cui Comici convisse per buona parte della sua vita. Da una parte eroe portato in palmo di mani dal regime, dall’altro un uomo colmo di insicurezze e limiti
Emilio Comici è stato il primo alpinista che ha attirato la mia attenzione. Ricordo molto bene il momento in cui ho sentito parlare di lui la prima volta. Ero ragazzino e stavo facendo un lungo trekking tra le Dolomiti friulane. Due settimane fuori dal mondo passando da una casera all’altra. Un giorno stavamo passando sotto un’impressionante bastione verticale. In alto sulla grande parete grigia due punti si muovevano lentamente: “Quella è una via di Comici”. Bastarono queste poche parole per far nascere in me il mito di Emilio Comici. All’epoca non arrampicavo e l’alpinismo non sapevo esattamente cosa fosse. Ma subivo il fascino del mondo verticale, eccome. Vedere quelle due figure a sbalzo nel vuoto sovrastare tanta aria e in un luogo così selvaggio mi colpì. “E chi è Comici?” chiesi un po’ spaesato con il naso per aria. “Emilio Comici è stato uno dei più grandi alpinisti di tutti i tempi, un fuoriclasse della roccia. Negli anni ’30 era una leggenda vivente”.
Fui subito attratto da quel personaggio e così iniziai a leggere tutto quanto egli avesse scritto e quanto altri avevano scritto di lui. Il suo libro “Alpinismo Eroico”, pubblicato postumo dopo la sua precoce scomparsa, è un gioiellino che consiglio a chiunque apprezzi la letteratura di montagna. Un libro né troppo lungo né troppo corto che racconta di un personaggio dal talento incredibile, ma allo stesso tempo segnato da una fragilità profonda, che traspare in continuazione da quanto scrive.
Il regime fascista lo scelse come baluardo dell’alpinismo nostrano. La prima fase della cosiddetta epoca del sesto grado ebbe come protagonisti specialmente i tedeschi della scuola di Monaco, i cui esponenti aprirono un’impressionante serie di vie anche e soprattutto sulle Dolomiti, all’epoca il tempio delle difficoltà estreme su roccia. A memoria di quel nutrito gruppo di pionieri basti citare alcuni nomi: Emil Solleder, Willo Welzenbach, Fritz Wiessner. Il primo che riuscì a competere con gli esponenti della scuola di Monaco fu sicuramente Emilio Comici, che nel 1929 aprì la prima via “italiana” di sesto grado (alle Tre Sorelle del Sorapis, insieme a Bruno Fabjan).
Il regime fascista non si lasciò sfuggire la possibilità di sfruttare il talento e i successi di Emilio Comici in chiave propagandistica. L’Uomo Mosca, come lo aveva definito la stampa dell’epoca, andava eletto a portabandiera dell’alpinismo italiano in modo da oscurare almeno parzialmente i successi ottenuti dagli alpinisti arrivati sulle Alpi da nord.
Il rapporto di Comici con il regime fu però complesso. Da una parte è innegabile che Comici non rifiutò il ruolo che il fascismo gli aveva voluto dare. Quando morì era podestà di Selva di Valgardena, questo è un fatto. Dall’altra parte è anche vero che dalla sua fitta corrispondenza personale con l’amico Severino Casara (che è possibile leggere nel bel volume “L’arte di arrampicare di Emilio Comici) traspare un forte imbarazzo per le attività pubbliche che gli venivano imposte e ancor di più per la retorica con cui le sue gesta venivano costantemente e abbondantemente condite.
Si potrebbe pensare che la fama di Comici gli avesse portato solo onori e ricchezze, ma in realtà non fu affatto così. Comici divenne talmente noto, anche al di fuori del mondo dell’alpinismo, che paradossalmente solo pochi clienti (era guida alpina) si rivolgevano a lui. Troppo bravo, troppo fuoriclasse per abbassarsi a percorrere le classiche delle Dolomiti, questo pensavano i potenziali clienti che così finivano per rivolgersi ad altre guide. In più, il fatto che Comici non fosse nato sulle Dolomiti lo rendeva un corpo estraneo da tenere ai margini della vita corporativa delle guide locali. Per anni visse sulle Dolomiti con pochi clienti e relativamente isolato.
Una delle sue imprese più note e incredibili nacque però proprio grazie a questa condizione. Un giorno d’estate (1937) Emilio era rimasto senza clienti. Cosa fare? La guida decise di impulso: avrebbe ripercorso la sua via alla Nord della Cima Grande di Lavaredo in solitaria e senza assicurazione. Egli aveva aperto la via insieme ai fratelli Dimai nel 1933, risolvendo uno dei grandi problemi alpinistici nell’epoca. Quel giorno del 1937 Comici salì la via in poche ore, quando ancora molte cordate non riuscivano a terminarla in giornata. In cima il triestino lasciò un appunto con indicati gli estremi della sua impresa. Decise però di non firmarsi, a testimonianza della sua proverbiale timidezza. A distanza di tempo tornò sulla cima e trovò tante annotazioni che prendevano in giro il mitomane che aveva lasciato un biglietto di quel tipo: l’impresa era semplicemente incredibile. Il capitolo che Comici scrisse in “Alpinismo Eroico” per descrivere quella giornata è un vero e proprio capolavoro, al pari dell’impresa che compì quel giorno.
Emilio Comici vinse tante pareti ritenute impossibili, mostrandosi sempre leggero e sorridente, almeno in fotografia. Abbiamo di lui anche dei brevi filmati che mostrano una leggiadria fuori dal comune, mentre sale pare danzare sulle crode senza peso, senza fatica. Sappiamo però che nel profondo il triestino covava una profonda malinconia, un senso di insoddisfazione e inadeguatezza che non lo lasciavano quasi mai. Un suo celebre ritratto dalla cima del Salame (l’ultima sua grande impresa prima dell’incidente) coglie in lui uno sguardo cupo e pensieroso, anche se in quel momento l’alpinista aveva aggiunto al suo sterminato carniere una prestigiosa prima.
Ecco, io credo che Comici mi ha sempre incuriosito proprio per questa sua fragilità. Dall’esterno si fece di tutto per renderlo un eroe imbattibile, la versione italica del superuomo che purtroppo all’epoca andava tanto di voga. Comici riuscì a vestire quel ruolo solo in superficie, con una patina sottilissima. Sotto a quell’illusione c’era qualcosa di molto più complesso e fragile, un uomo comune con limiti e debolezze.
Il 19 ottobre del 1940 Comici cadde mentre scalava una semplice paretina dove aveva deciso di portare alcuni amici a provare l’arrampicata. Si sporse per dare un consiglio reggendosi con un cordino marcio che non resse il suo peso. Cadde sul prato e colpì la testa uno dei pochi massi che affioravano in superficie. Non si alzò più.
Giovanni Baccolo è ricercatore presso l'Università Roma Tre. Studia le carote di ghiaccio per ricostruire le condizioni climatiche del passato e i processi naturali tipici degli ambienti freddi. Cerca di leggere la natura come un vero e proprio libro. Oltre alla ricerca si dedica alla divulgazione ed è appassionato di storia dell’alpinismo. Cura il blog Storie Minerali.