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“Per l’onore e la salvezza della Patria”: dallo squadrismo al 25 luglio ‘43, ritratto dell’uomo che fece cadere il regime

Dino Grandi fu tra i principali protagonisti del regime fascista. Approdato al movimento dopo altre esperienze politiche, ricoprì importanti ruoli istituzionali affiancando il proprio nome all’ordine del giorno con cui il 25 luglio 1943 il Gran Consiglio destituì Mussolini, affidando la guida del Paese al re e a Badoglio. In questo importante anniversario prosegue la rubrica “Cos’era il fascismo”

Dino Grandi con Mussolini (foto tratta dal web)
Di Davide Leveghi - 24 luglio 2022 - 09:36

Il Gran Consiglio del Fascismo, riunendosi in queste ore di supremo cimento, volge innanzi tutto il suo pensiero agli eroici combattenti di ogni arma che, fianco a fianco con la gente di Sicilia, in cui più alta risplende l’univoca fede del popolo italiano, rinnovano le nobili tradizione di strenuo valore e d’indomito spirito di sacrificio delle nostre gloriose Forze Armate. Esaminata la situazione interna e internazionale e la condotta politica e militare della guerra, proclama il dovere sacro per tutti gli italiani di difendere a ogni costo l’unità, l’indipendenza, la libertà della Patria, i frutti dei sacrifici e degli sforzi di quattro generazioni dal Risorgimento ad oggi, la vita e l’avvenire del popolo italiano; afferma la necessità dell’unione morale e materiale di tutti gli italiani in questa ora grave e decisiva per i destini della Nazione; dichiara che a tale scopo è necessario l’immediato ripristino di tutte le funzioni statali, attribuendo alla Corona, al Gran Consiglio, al Parlamento, alle Corporazioni i compiti e le responsabilità stabilite dalle nostre leggi statutarie e costituzionali; invita il Governo a pregare la Maestà del Re, verso il quale si rivolge fedele e fiducioso il cuore di tutta la Nazione, affinché Egli voglia per l’onore e la salvezza della Patria assumere con l’effettivo comando della Forze Armate di terra, di mare, dell’aria, secondo l’articolo 5 dello Statuto del Regno, quella suprema iniziativa di decisione che le nostre istituzioni a Lui attribuiscono e che sono sempre state in tutta la nostra storia nazionale il retaggio glorioso della nostra Augusta Dinastia di Savoia

(Ordine del giorno Grandi, 24 luglio 1943)

 

TRENTO. Il 25 luglio 1943 un ordine del giorno del Gran Consiglio del fascismo stabiliva la deposizione di Benito Mussolini. La dittatura instaurata con differenti fasi a partire dall’ottobre 1922, culminata nel processo di fascistizzazione della società italiana e di costruzione del totalitarismo, giungeva infine alla sua conclusione. L’Italia, al contempo, confermava il suo proseguimento della guerra a fianco dell’alleato nazista.

 

A promuovere l’ordine del giorno in questione era stato Dino Grandi, influente gerarca, più volte ministro, sottosegretario agli Esteri e agli Interni e presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Contrario all’entrata italiana in guerra – che poi sosterrà partecipando anche alla campagna di Grecia - e scettico verso l’alleato tedesco, da ambasciatore a Londra aveva intessuto importanti contatti con la classe politica inglese – contatti che gli tornarono utili, tra l’altro, nel secondo dopoguerra.

 

Ministro della Giustizia fino al rimpasto di governo deciso da Mussolini nel febbraio ’43, fu in questo periodo che Grandi maturò i suoi propositi, sfociati nei colloqui con il sovrano. Gli esiti del conflitto, infatti, s’erano da tempo incanalati verso la disfatta – l’Italia aveva perso le sue colonie in Africa, mentre le truppe partite per l’invasione dell’Unione Sovietica avevano cominciato la loro drammatica ritirata (QUI un approfondimento) – e in diversi ambienti, dalla corte ai vertici dell’esercito, non mancavano i mugugni.

 

Ancor prima che con il re Vittorio Emanuele III, Grandi tastò dapprima il terreno con i membri del Gran Consiglio. Erano i giorni convulsi successivi allo sbarco alleato in Sicilia, avvenuto la notte del 10 luglio. Da parte sua, Mussolini – esaurito ed avvilito – incontrava Hitler a Feltre per organizzare la difesa della penisola, ma già era chiaro all’intelligence tedesca come da un momento all’altro vi sarebbe stata la sua deposizione.

 

La situazione, a quel punto, precipitò ora dopo ora. Convocato il Gran Consiglio per la serata del 24, Grandi otteneva l’appoggio di Luigi Federzoni e Giuseppe Bottai, influenti gerarchi del regime. Dopo aver inutilmente cercato di convincere Mussolini a farsi da parte, l’ordine del giorno, passato ai voti in una concitata nottata di discussioni, vide 19 voti favorevoli, 7 contrari e 1 astenuto. Fra i primi spiccavano i nomi di Acerbo, Ciano, De Bono, De Vecchi, Marinelli, oltre ai tre succitati. Scorza e Farinacci, autori di ordini del giorno di ben altro tipo – proponenti soluzioni di continuità o allineamento totale alla causa nazista – risaltavano invece nel fronte opposto.

 

Ma qual era il piano proposto da Grandi e avallato dal re? L’ex ras emiliano proponeva la restituzione al re dei suoi poteri politici e militari, la formazione di un governo d’unità nazionale privo dei gerarchi e aperto ad antifascisti monarchici e cattolici, infine un rovesciamento di fronte a favore degli Alleati. Lo scopo era dunque quello di salvaguardare monarchia e autoritarismo, senza superare del tutto l’esperienza fascista.

 

Ciò che avvenne a questo punto è cosa nota: Mussolini, deposto, veniva arrestato e Pietro Badoglio, maresciallo dell’esercito nonché successore del duce alla guida del Paese, annunciava via radio il proseguimento della guerra a fianco dell’alleato tedesco; tutte soluzioni invise a Grandi, che auspicava esiti come visto ben diversi. Inviato nella penisola iberica, dove avrebbe dovuto intavolare una trattativa con gli inglesi, veniva poi condannato a morte in contumacia nel processo di Verona (QUI un approfondimento).

 

Caduto politicamente in disgrazia, per anni visse fra Portogallo e America Latina – dove avviò una fortunata impresa economica - riuscendo a sfuggire ad ogni processo che ne evidenziasse le responsabilità nel regime. Tornato in Italia negli anni ’60, si dedicò alla pubblicazione delle proprie memorie, desideroso di presentarsi ai posteri come fedele – nonostante tutto – a Mussolini e al proprio Paese.

 

Con il duce, d’altronde, Grandi aveva intessuto un rapporto conflittuale ma molto stretto. Radicale, interventista, capitano degli alpini decorato, aveva maturato il suo approdo al fascismo dopo diverse altre esperienze politiche, dai socialriformisti ai liberali. Iscritto al fascio bolognese nel novembre del 1920, in poco tempo scalò le posizioni all’interno del movimento divenendo nel ’21 segretario per l’Emilia.

 

Il 25 gennaio del ’21 fu protagonista dei disturbi con cui le camicie nere bolognesi impedirono ai vigili del fuoco di domare le fiamme che avvolgevano la Camera confederale del lavoro, appiccate dalle stesse squadre. Contrario al patto di pacificazione con i socialisti (QUI un approfondimento) – definito sulle pagine dell’organo bolognese del movimento, l’Assalto, “l’insidia più sottile e più subdola destinata a disgregare la forza e la compagine ideale del movimento fascista” – dalla Marcia su Roma su distinguerà invece come un moderato. L’ennesimo salto d’un politico equilibrista.

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