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La fine del regime liberale e l’entrata nell’Era fascista: la costruzione della dittatura di Benito Mussolini

Rivendicato l’assassinio del deputato dell’opposizione Giacomo Matteotti, Benito Mussolini intraprenderà la strada indicata dalle frange più estremiste del fascismo: la dittatura. Nella nuova puntata di “Cos’era il fascismo” ripercorriamo i principali passi con cui si instaurò il regime, che poté contare, dal 1927, su una propria specifica datazione

Foto tratta da wikipedia
Di Davide Leveghi - 04 dicembre 2022 - 10:55

TRENTO. Preparato il terreno alla dittatura, Benito Mussolini ne annunciava l’avvio con il discorso del 3 gennaio 1925 (QUI l’articolo). Rivendicata la responsabilità fascista nell’omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti, il presidente del Consiglio guidò così il Paese attraverso il definitivo smantellamento dell’impalcatura liberale.

 

Tolto di mezzo il capo del Partito socialista unitario, autore di una accurata denuncia delle violenze e dell’affarismo fascisti (QUI l’articolo), il governo Mussolini superò la crisi dando un giro di vite alla politica nazionale. Pressato dall’ala intransigente del fascismo, sostenitrice accorata di un’ulteriore ondata di violenza contro le opposizioni, il capo del Pnf inaugurò così, “a colpi di legge”, il periodo di costruzione della dittatura.

 

La fase di consolidamento e ampliamento del potere fascista poté contare su alcune figure centrali. La politica interna, ad esempio, fu affidata dal giugno 1924 all’ex nazionalista Luigi Federzoni, decisivo nell’attuare la repressione contro le opposizioni, così come nel contenere il protagonismo dell’estremismo dei ras. Lo squadrismo, centrale per gran parte della storia fascista, risultava comunque ampiamente coinvolto, con l’affidamento in particolare della segreteria del Pnf al suo principale esponente, Roberto Farinacci.

 

Fu questo “in pochi mesi a ricostituire l’unità e la disciplina all’interno del partito e fu il principale fautore dell’eliminazione delle opposizioni politiche per instaurare il potere totalitario del regime fascista”, spiega lo storico Emilio Gentile, autore di Fascismo. Storia e interpretazioni. Deciso a conservare l’autonomia del partito rispetto al governo, il ras di Cremona fu però emarginato da Mussolini. “Dopo poco più di un anno, all’inizio del 1926 – continua ancora Gentile – quando aveva già concentrato il potere esecutivo nelle sue mani, Mussolini licenziò Farinacci e nominò Augusto Turati, un capo squadrista lombardo, anch’egli esponente del fascismo integralista ma più propenso a seguire la politica mussoliniana. Turati rimase in carica fino all’ottobre 1930 ed ebbe un ruolo decisivo nel compiere la riorganizzazione del partito, con una massiccia epurazione di elementi corrotti e ribelli, che facilitò l’inserimento del Pnf nel nuovo regime”.

 

Il consolidamento del regime, come detto, passò dunque, innanzitutto, dall’eliminazione delle opposizioni. La legge n.2263 del 24 dicembre 1925 cominciò concentrando maggior potere nelle mani del presidente del Consiglio, trasformandolo in capo del governo e rendendolo solo responsabile di fronte al re dell’attività dell’esecutivo. A questo, con la legge n.100 del 31 gennaio 1926 venne data facoltà di emanare norme giuridiche, subordinando così il Parlamento.

 

Alla fine del 1926, tutte le opposizioni erano state messe fuorilegge – dopo che la secessione dell’Aventino, proclamata a seguito del delitto Matteotti, aveva di fatto già portato i partiti antifascisti ad autoescludersi dall’Aula (QUI l'articolo). A questo punto, a rimanere sullo scenario pubblico nazionale, v’era solo il Partito nazionale fascista. La libertà d’associazione e il diritto alla libera stampa, nondimeno, furono aboliti fra il novembre del ’25 e il gennaio del ’26.

 

Perseguitati e repressi, molti antifascisti – da Turati a Nenni, da Treves a don Sturzo – presero la via dell’estero, tentando, spesso fra grandi difficoltà, di tirare i fili dell’opposizione. In patria, intanto, con la legge n.2008 del 1926 si istituiva il Tribunale speciale per la sicurezza dello Stato, formato tra gli altri da membri dell’esercito e della milizia. Il suo compito giudicare i delitti contro lo Stato e il regime, avvalendosi anche della pena di morte, reintrodotta dopo l’abolizione nel 1889 (QUI l'articolo).

 

Sottoposti al tentacolare controllo dell’Ovra, dentro e fuori dal Paese, gli antifascisti si trovarono così di fronte alla scelta di andarsene, tacere, sottomettersi al regime o proseguire, fra mille pericoli, l’attività politica in clandestinità. Nei tremendi anni di consolidamento del regime, diversi furono gli illustri antifascisti eliminati dalla scena, fra carcere (vedi Antonio Gramsci), confino (in una lista immensa) e pestaggi mortali (vedi Piero Gobetti o Giovanni Amendola).

 

Determinanti, in questo quadro, furono inoltre gli attentati a Benito Mussolini, su tutti quello sventato del socialista Tito Zaniboni (4 novembre 1925) e quello fallito – e piuttosto oscuro nelle sue dinamiche – dell’anarchico quindicenne Anteo Zamboni, linciato dalla folla a Bologna il 31 ottobre 1926 (QUI l'articolo).

 

Proibito il diritto di sciopero (legge n.563 del 3 aprile 1926), il regime concluse un accordo con Confindustria per il riconoscimento dei soli sindacati fascisti come interlocutori legalmente riconosciuti per stipulare i contratti collettivi. Anche nel campo lavorativo, dunque, ogni altro soggetto che non fosse legato al Pnf venne estromesso, in un processo, comunque, che provocò non poche proteste nemmeno nell’ala più movimentista del fascismo.

 

Svuotato pezzo per pezzo, lo Statuto albertino non veniva abolito, rimanendo formalmente in vigore. Il regime, infatti, procedeva a una sorta di “rivoluzione legale”, approvando in Parlamento – ormai privo di rappresentanti che non fossero fascisti – questo complesso di leggi autoritarie, elaborate in gran parte dal giurista Alfredo Rocco. Fu così, ad esempio, che il Gran Consiglio arriverà a sostituirsi al Parlamento, costituzionalizzandosi, e che ogni forma di decentramento verrà meno. La legge podestarile del febbraio 1926, infatti, pose a capo dei Comuni la figura del podestà, subordinandola a quella del prefetto (QUI un approfondimento).

 

L’edificazione di questo regime a forte impronta autoritaria passò poi da altri importanti ambiti. Nella cultura, il filosofo Giovanni Gentile ideava e promuoveva il Manifesto degli intellettuali fascisti (QUI l’articolo), suscitando grandi consensi – nel settembre ’24 anche il grandissimo drammaturgo e scrittore Luigi Pirandello aveva chiesto e ottenuto la tessera del Pnf. Fondato l’Istituto Treccani, da cui sarebbe poi nata l’enciclopedia, il movimento culturale e intellettuale poté contare inoltre sull’istituzione dell’Accademia d’Italia.

 

In politica estera, il fascismo si mosse nella direzione di un nuovo protagonismo. Chiusa la questione dalmata con gli ultimi accordi con il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, il regime procedeva alla sistemazione dei suoi domini coloniali in Corno d’Africa, gettando i semi per la futura degenerazione dei rapporti con l’Etiopia, Paese membro della Società delle Nazioni, poi invaso nel 1935.

 

Anche con la Grecia, nondimeno, si incrinarono i rapporti, poi definitivamente compromessi con l’invasione del 1940. A seguito dell’uccisione di una delegazione italiana, giunta sull’isola di Corfù per risolvere alcune questioni confinarie, Mussolini inviò la flotta verso l’isola, occupandola militarmente e arrivando a ottenere, in cambio del ritiro delle truppe, umilianti condizioni.

 

In questi anni di consolidamento del potere, dunque, il fascismo s’avviava verso la sovrapposizione con lo Stato italiano, gettando le basi per il totalitarismo. A fine 1926, due misure emblematiche sancivano questo processo: non solo fascio littorio diveniva emblema dello Stato, ma a partire dall’anno successivo, una nuova datazione avrebbe sancito l’inizio di una nuova epoca, destinata a durare. Con una circolare, Mussolini ordinava ai ministri di riportare in ogni documento ufficiale una nuova forma di datazione: cominciava così (retrodatata al ’22) l’Era fascista.

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