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Il ritorno del "duce": dalla liberazione di Mussolini sul Gran Sasso all'Rsi, l'Italia verso il baratro della guerra civile

Il 12 settembre 1943, a quattro giorni dall'annuncio dell'armistizio, Benito Mussolini viene liberato dalla sua prigionia sul Gran Sasso ad opera di una squadra di paracadutisti tedeschi. La penisola si prepara così alla formazione nel Centro-Nord della Repubblica sociale, precipitando nella guerra civile. Prosegue la rubrica "Cos'era il fascismo"

Foto tratta da wikipedia
Di Davide Leveghi - 12 settembre 2021 - 13:50

Nella storia di tutti i tempi e di tutti i popoli vi è la narrazione di fughe e liberazioni drammatiche, romantiche, talora rocambolesche: ma quella di Mussolini appare anche oggi, a distanza di tempo, come la più audace, la più romantica e al tempo stesso la più ‘moderna’, dal punto di vista dei mezzi e dello stile. Veramente, essa è già leggendaria” (da Storia di un anno. Il tempo del bastone e della carota, di Benito Mussolini, 1944)

 

TRENTO. Era da poco passata l’ora di pranzo del 12 settembre 1943 quando a Campo Imperatore, sull’irraggiungibile altipiano del Gran Sasso, a 1800 metri sul livello del mare, toccava il suolo la squadra inviata appositamente da Adolf Hitler per liberare Benito Mussolini, arrestato lo scorso 25 luglio dopo che il Gran Consiglio del Fascismo ne aveva decretato la deposizione (QUI l’articolo). Il drappello selezionato per l’occasione era composto dal corpo d’élite dei paracadutisti della 2. Fallschirmjäger-Division e del Sicherheitsdienst, il servizio d’intelligence delle SS.

 

Alla guida dell’operazione erano stati posti il generale Kurt Student, tra le più brillanti menti dell’esercito tedesco e creatore dello stesso corpo dei paracadutisti, nonché il capitano delle SS Otto Skorzeny, abilissimo ad operazione conclusa nell’attribuirsi tutti i meriti della buona riuscita. Fu quest’ultimo, infatti, ad accompagnare Mussolini nel volo che lo portò dal luogo della prigionia a Pratica di Mare, aeroporto di scalo prima dell’arrivo in territorio tedesco.

 

La liberazione, già preparata da tempo, arrivò per gli italiani in maniera del tutto inaspettata. Ancora il 26 luglio, Hitler aveva infatti convocato nella “tana del lupo” di Rastenburg diversi ufficiali per organizzare un’operazione segreta volta a liberare l’amico e alleato Mussolini. Il Regno, deposto il duce del fascismo, era per i tedeschi già in odore di tradimento, pronto a passare al fianco degli Alleati voltando così le spalle al “patto d’acciaio” sancito il 22 maggio del 1939 (QUI un approfondimento).

 

Per questo, Hitler aveva deciso d’affiancare al braccio operativo dell’operazione – denominato Fall Eiche, in italiano “Operazione Quercia” – gli uomini del servizio d’intelligence delle SS. Costoro, infatti, si sarebbero dovuti occupare d’individuare il luogo di detenzione di Mussolini, così da permettere un’azione fulminea ed efficace. E il luogo, in breve tempo, fu scoperto.

 

Ancor prima d’essere imprigionato sul Gran Sasso, Mussolini era stato più volte trasferito. Il pericolo di fuga o le difficoltà di garantirne la custodia avevano spinto i comandi italiani a spostarlo dall’isola di Ponza all’isola della Maddalena, in Sardegna, fino a quando, definitivamente, il posto più sicuro e difendibile venne individuato proprio nell’albergo di Campo Imperatore. L’altipiano, infatti, era raggiungibile solamente attraverso la funivia che parte dal piccolo paese d’Assergi, presidiato giorno e notte dai carabinieri.

 

Giunti a conoscenza della localizzazione dell’obiettivo, i tedeschi organizzarono a quel punto l’operazione. Sul pianoro di Campo Imperatore sarebbero dovuti atterrare gli alianti della Luftwaffe, carichi dei paracadutisti selezionati per l’azione. Con sé, alla fine, si decise di portare anche il generale di polizia italiano Fernando Soleti, così da dissuadere i carcerieri dal reagire. Tale scelta si dimostrerà decisamente azzeccata.

 

Nessun colpo, eccetto che nella stazione di partenza di Assergi, dove persero la vita un carabiniere e un guardiaboschi, fu infatti sparato dai militari italiani e Mussolini, dunque, tra la gioia dei soldati tedeschi poté essere imbarcato su un “cicogna”, piccolo monomotore da salvataggio, in direzione Germania. Dall’incontro con Hitler, avvenuto a due giorni dalla liberazione, sarebbe poi nata la Repubblica sociale italiana, regime fantoccio con alla guida lo stesso maestro di Predappio.

 

La nascita della Rsi, spiega il maggior storico vivente italiano del fascismo Emilio Gentile in Fascismo. Storia e interpretazione, fu esito d’un problema sorto già negli ultimi anni di vita del regime. Esso consistette grosso modo nella difficoltà di garantire la continuità del fascismo di fronte alla questione della successione di Mussolini, il cui mito era ormai connaturato alla stessa sopravvivenza del regime – quella che Gentile chiama la questione del “mito e dell’organizzazione”.

 

Le “soluzioni possibili” a tale problema, scrive Gentile, “erano sostanzialmente due, e sono quelle che hanno avuto concretamente corso dopo il 25 luglio: o la detronizzazione del mito e lo smantellamento di tutte le organizzazione del sistema che erano ad esso funzionali, e quindi la fine del fascismo, o l’esaltazione del primato del mito, portando all’estremo la logica totalitaria come avvenne durante la Repubblica sociale. Le tendenze verso queste soluzioni erano in atto già prima del 25 luglio 1943, ed esse divennero concretamente operanti nel momento in cui avvenne la dissociazione fra mito e organizzazione, con la deposizione di Mussolini”.

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