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Cos’era il fascismo? Tra violenza e intimidazioni, l'ultimo discorso di Matteotti segnò la sua condanna a morte

Il 30 maggio 1924, Giacomo Matteotti denuncia in aula le violenze e i brogli che hanno portato al trionfo nelle elezioni del Listone nazionale composto da fascisti e liberali conservatori. Tra continue interruzioni, minacce e insulti, il deputato socialista elenca coraggiosamente le ragioni per l’annullamento delle votazioni. Sarà la sua condanna a morte. Comincia così “Cos’era il fascismo”, nuova rubrica de il Dolomiti sull’ascesa del movimento che dominò il Paese per oltre vent’anni

Di Davide Leveghi - 30 maggio 2021 - 08:46

Noi deploriamo che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Molto danno avevano fatto le dominazioni straniere. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l’opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità. Domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni” (Giacomo Matteotti, discorso del 30 maggio 1924 alla Camera dei deputati)

 

Quanto al Matteotti – volgare mistificatore, notissimo vigliacco e spregevole ruffiano – sarà bene che egli si guardi. Che se dovesse capitargli di trovarsi, un giorno o l’altro, con la testa rotta (ma proprio rotta)…non sarà certo in diritto di dolersi dopo tanta ignobiltà scritta e sottoscritta” (da Il Popolo d’Italia del 3 maggio 1923)

 

TRENTO. Dal momento in cui il presidente della Camera Alfredo Rocco, estensore e teorico del Codice penale fascista, gli diede la parola, all’arringa finale (riportata qui sopra), il deputato Giacomo Matteotti fu sistematicamente interrotto dalle grida e dagli schiamazzi proveniente dall’ala destra del Parlamento. Urla di scherno, provocazioni, minacce partono dall’affollatissimo settore occupato dai vincitori delle elezioni, liberali, nazionalisti, demosociali, conservatori e fascisti riuniti nel "Listone nazionale".

 

Con il discorso del 30 maggio 1924, in cui denuncia le violenze e i brogli nelle elezioni che hanno determinato la nuova composizione del Parlamento, il deputato polesano firmò la propria condanna a morte. Come noto, nondimeno, la sua morte avvenne proprio quando si apprestava a fare un ulteriore intervento in aula, questa volta sull’affarismo fascista e la maxitangente pagata dalla compagnia petrolifera Sinclair Oil nei confronti di alcuni pezzi grossi del governo, tra cui lo stesso Mussolini.

 

Intransigente, indomito, battagliero, Giacomo Matteotti – non a caso soprannominato dagli amici e compagni “Tempesta” - aveva lottato sin dai suoi albori contro la violenza squadristica e contro coloro che considerava i principali beneficiari dell’attacco ai movimenti proletari, i capitalisti. Quel 30 maggio 1924, a quasi ventiquattro mesi dall’ascesa al governo dei fascisti, si era erto a strenuo difensore di una legalità ormai violata da anni di soprusi.

 

Il sistema liberale, infatti, era stato ulteriormente indebolito dalla legge elettorale Acerbo del novembre 1923, che affidava un premio di maggioranza spropositato al partito che avesse superato il 25% dei voti. 2/3 dei seggi sarebbero stati occupati dalla lista vincitrice delle elezioni, che, chiaramente, non poté che essere il “Listone” voluto e guidato da Benito Mussolini.

 

L’elezione, secondo noi, è essenzialmente non valida e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni […] per vostra stessa conferma nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà

 

Con oltre 4 milioni e mezzo di voti, il Listone aveva ottenuto il 64,9%, contro al 9% dei popolari e il 5,9% dei socialisti. Ciò significava che su 535 deputati, ben 374 facevano riferimento alla forza egemone, rendendo ogni opposizione niente più che simbolica. Ma come avevano fatto, fascisti e liberali conservatori, a ottenere un risultato tanto schiacciante, se il Parlamento uscito dalle elezioni del 1921 vedeva una netta maggioranza di deputati socialisti e popolari?

 

Vi è una milizia armata composta di cittadini di un solo partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse

 

Brogli e violenze caratterizzarono le procedure d’elezione in tutto il Paese, da Nord a Sud. Le intimidazioni contro gli elettori antifascisti, l’uso disinvolto delle schede elettorali, le minacce sotto rivoltella affinché si barrasse il simbolo del Listone, sono alcune delle distorsioni del processo democratico denunciate da Matteotti di fronte ad un’aula ribollente. Al sostegno della risicata fetta di Parlamento destinata alle minoranze, seguivano di rimbalzo gli schiamazzi e gli insulti della destra.

 

Melfi, Iglesias, le Puglie, Genova, sono alcuni dei territori richiamati nell’intervento del deputato socialista, fondatore assieme a Filippo Turati, dopo l’espulsione della corrente riformista dal Partito socialista, del Partito socialista unitario, di cui divenne segretario. Le minacce e le irregolarità nei seggi, dove le operazioni di voto avvenivano in molti casi alla presenza dei soli militi fascisti, erano state precedute dalle bastonate nella campagna elettorale, come avvenuto all’avvocato socialista Enrico Gonzales, nominato nell’intervento di Matteotti – non senza ironia di fronte alla negazione dei fascisti (“Rettifico. Se l’onorevole Gonzales dovette passare otto giorni a letto, vuol dire che si è ferito da solo, non fu bastonato, ma in quanto studioso di San Francesco, si è forse autoflagellato”).

 

Peggio era andata al socialista massimalista Antonio Piccinini, che ottenne l’elezione postuma dopo che un gruppo di fascisti, spacciatisi per compagni, si erano presentati al suo domicilio, lo avevano sequestrato e infine ucciso dopo atroci torture. Appeso a un gancio da macelleria, si era visto squarciare il ventre e sparare diversi colpi a bruciapelo con una rivoltella. Bastonate e umiliazioni erano state subite da diversi esponenti, anche di spicco, delle opposizioni, come nel caso del liberale Giovanni Amendola.

 

Strana coincidenza, proprio in quei luoghi dove fu concessa a scopo dimostrativo quella relativa libertà, le minoranze raccolsero una tale abbondanza di suffragi, da superare la maggioranza – con queste conseguenza però, che la violenza che non si era avuta prima delle elezioni, si ebbe dopo le elezioni. E noi ricordiamo quello che è avvenuto specialmente nel Milanese e nel Genovesato ed in parecchi altri luoghi, dove le elezioni diedero risultati soddisfacenti in confronto della lista fascista. Si ebbero distruzioni di giornali, devastazioni di locali, bastonature alle persone. Distruzioni che hanno portato milioni di danni

 

Assieme al socialista riformista Arturo Labriola ed al liberale Enrico Presutti, Matteotti chiese quel 30 maggio 1924 l’annullamento delle votazioni. La sua proposta di invalidare l’elezione di alcuni deputati, più manifestatamente nominati in virtù dei brogli e delle violenze, venne respinta dall’aula. “Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l’autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo – disse nell’arringa finale – altrimenti voi sì, veramente rovinate quella che è l’intima essenza, la ragione morale della Nazione. Non continuate più oltre a tenere la Nazione divisa in padroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la licenza e la rivolta. Se invece la libertà è data, ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo”.

 

Undici giorni dopo, Giacomo Matteotti viene rapito e ucciso da una squadra di fascisti capeggiata dallo squadrista Amerigo Dumini. A ordinare l’omicidio, il capo del governo e del fascismo Benito Mussolini.

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