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A Bolzano bombe a mano, spari e un morto ammazzato: 100 anni fa la “Domenica di sangue”. Obermair: “La reazione fu pluri-etnica, con italiani e tedeschi uniti nel dire no al fascismo”

Cade oggi il centenario della “Domenica di sangue”, quando un corteo folcloristico sudtirolese fu attaccato dagli squadristi giunti da tutto il Nord Italia, lasciando sul campo un morto e 50 feriti. Diverse le iniziative promosse in ricordo di quel tragico evento. Lo storico Hannes Obermair: “La base di partenza è la de-etnicizzazione delle ricorrenze”. Ecco il secondo articolo di “Attra-Verso la Liberazione”

Di Davide Leveghi - 23 aprile 2021 - 20:31

TRENTO. “Nei giorni immediatamente successivi ai fatti di domenica 24 aprile 1921, in Alto Adige-Sudtirolo emerge tutta la potenzialità di una società civile plurietnica, italo-tedesca, che oppone il suo netto rifiuto al fascismo. C’è una reazione in nuce, un’opposizione politica che poi verrà meno, lasciando spazio invece alla contrapposizione etnica e a una visione etnocentrica dell'intero sistema sociale”. Racconta così, lo storico Hannes Obermair, le immediate conseguenze dell’uccisione, il 24 aprile di cento anni fa, del maestro sudtirolese Franz Innerhofer.

 

Questa figura, poi divenuta martire della causa sudtirolese contro il dominio italiano, come molte altre è finita per essere strumentalizzata in chiave etnica, in una sovrapposizione forzata tra l’Italia e il fascismo. Ma il contesto in cui il maestro di Marlengo fu ucciso con una fucilata nella schiena da parte di uno squadrista fascista non si può limitare ad una dinamica regionale. Lo sguardo, per comprendere più a fondo questa pagina di storia, deve essere allargato.

 

I fatti di Bolzano del 24 aprile 1921 sono locali e al tempo stesso nazionali. Raccontano della violenza esercitata dal montante squadrismo contro una minoranza linguistica in gran parte ostile ad un’ingiusta annessione e al tempo stesso della brutalità che attraversò il Paese nei primissimi anni Venti. Il protagonista è il fascismo di confine, che l’anno prima aveva dato fuoco al Narodni Dom, il centro culturale sloveno di Trieste, cancellando ogni futuro spazio pubblico delle minoranze slave nell’Alto Adriatico. Non è un caso che a Bolzano si ritrovi il fascista Francesco Giunta, “attore principale” dei disordini antislavi culminati nell’incendio dell’hotel Balkan.

 

A illustrare il contesto in cui si consumarono quei tragici fatti è ancora Obermair: “Tutto parte da un fatto locale, cioè la riapertura della Fiera di Bolzano per la prima volta dopo l’annessione. Si festeggia la ripresa della vita economica, così come quella della vita sociale. Le tinte nazionali non mancano e i sudtirolesi vogliono rimarcare la propria tedeschità. In un grande evento di una settimana, il culmine è la parata della domenica, caduta in una coincidenza particolare. A Innsbruck, infatti, si sta tenendo un referendum per l’annessione alla Repubblica tedesca”.

 

“Lo squadrismo, dopo la fine fallimentare del Biennio Rosso, nel 1921 è già diventato una forza pubblica forte – continua – e anche a Bolzano si manifesta colorandosi di caratteri ultranazionalistici. I fascisti usano il referendum di Innsbruck come pretesto, facendo giungere squadristi da tutta l’Alta Italia. Giunta e Starace guidano l’azione, in una fase in cui ormai l’autorità liberale ha abdicato, lasciando i fascisti indisturbati”.

 

Il corteo folcloristico, tra bande di paese e costumi tradizionali di ogni valle, viene assaltato dalle centinaia di fascisti accorsi in treno a Bolzano. Si lanciano bombe a mano, si spara e si semina il terrore per tutta la città. “Nell’atto di fare un gesto estremamente nobile, quello di difendere i suoi scolari facendoli riparare nel portone di Palazzo Stillendorf, Franz Innerhofer viene colpito alla schiena da una fucilata”, spiega lo storico bolzanino.

 

Nelle ore immediatamente successive si ritrovano alcuni ingredienti necessari per comprendere la storia altoatesina. “Il fascismo ha trovato una sua piattaforma e al tempo stesso i sudtirolesi si convincono che le loro speranze debbano essere riposte nella Germania – spiega – diversi sono i piani in cui possono essere letti questi fatti. Il termine ‘Domenica di sangue’ viene coniato dalla stampa conservatrice tirolese e finirà per essere un termine di comodo per alimentare il proprio vittimismo. L’anno prima in Irlanda v’era stata un’altra ‘Domenica di sangue’. Innerhofer è il ‘primo sangue’ versato necessario per la costruzione di un discorso secessionista. C’è bisogno di un martire che dia linfa a questa narrazione”.

 

“Il secondo piano, invece, è quella della de-etnicizzazione dei fatti – prosegue – ciò che avviene è importante, ma ancora di più lo sono le reazioni. Lunedì 25 aprile 1921, nell’attuale piazza Verdi, c’è una grande adunata popolare in cui prendono la voce anche i social-democratici. Al microfono parlano Franz Tappeiner e Carlo Biamino, e poi anche l’esponente del Deutscher Verband Reut-Nicolussi. Italiani e tedeschi assieme, in quello che di fatto è l’ultimo momento dove i social-democratici sono vivi, vegeti, plurietnici e presenti. La protesta, nondimeno, ha eco anche nel resto del Paese”.

 

“Il martedì, poi, c’è il corteo funebre che da Bolzano arriva fino a Marlengo, paese natale di Innerhofer. Alla guida di migliaia di persone, tutte dietro al sarcofago, c’è il commissario Luigi Credaro. E qui emerge la potenzialità di una società pluri-etnica, che lancia il proprio rifiuto del fascismo. Non a caso questo in Alto Adige non avrà presa e sarà debole almeno fino alla Marcia su Trento e Bolzano dell’ottobre ‘22 (QUI un approfondimento)”.

 

Nel fronte conservatore, invece, l’unico ostacolo alla buona riuscita del radicamento del fascismo è la lingua. Le violenze nazionali dei fascisti e dei nazionalisti italiani, a cui seguiranno i tentativi di assimilazione e di snazionalizzazione, porteranno ad un avvicinamento progressivo dei sudtirolesi di lingua tedesca alla Germania, soprattutto a quella nazional-socialista, affamata di terre e di uomini e impegnata sin da subito nel tentativo di riunire in un unico Reich tutti i tedeschi (QUI un approfondimento).

 

“Certe élite conservatrici vedono il fascismo come una forza d’ordine, mostrando la propria simpatia verso l’autoritarismo – continua Obermair – poco tempo dopo l’uccisione di Innerhofer, il deputato del Deutscher Verband Friedrich von Toggenburg, in un'intervista al 'Corriere della sera' pronunciò la celebre frase ‘Se fossi italiano sarei probabilmente fascista’”.

 

Ma al di là delle componenti più conservatrici, a permettere di scardinare il paradigma etnico in cui per decenni è stata letta la “Domenica di sangue” sono le reazioni nei confronti di una violenza che prima di tutto è fascista. “In Alta Italia, a Trento, Bolzano, fino a Trieste, si dà vita ad uno sciopero generale in cui sono particolarmente attivi i ferrovieri, che bloccano il sistema ferroviario. Prima dell’avvento del fascismo è uno dei momenti più gloriosi della sinistra locale e di quella nazionale, poco riconosciuto dai sudtirolesi”.

 

Proprio per restituire la complessità agli eventi, sottraendo l’esclusiva della “Domenica di sangue” alla destra sudtirolese, sono state diverse le iniziative organizzate in Alto Adige e non solo. Oltre alla consueta cerimonia in piazza Innerhofer promossa dall’Anpi, Hannes Obermair sarà presente anche nell’evento streaming di FeltrinelliA 100 anni dalla Domenica di Sangue di Bolzano: costruire ponti per dare forma al futuro”. In compagnia di Francesco Filippi, lo storico sudtirolese dialogherà con l’artista e pedagogista Nazario Zambaldi, con la redattrice e autrice di libri scolastici Sabina Langer e con l’insegnante di scuola secondaria e scrittrice Romina Casagrande.

 

“La base di partenza è la de-etnicizzazione delle ricorrenze – conclude Obermair – combattiamo ogni essenzialismo, con cui si vorrebbero ridurre le società e le masse alle sole identità etniche o linguistiche. Non a caso l’evento è organizzato anche con la collaborazione della Fondazione Alexander Langer”.

 

Entrambi gli eventi saranno visibili sulle rispettive pagine facebook alle ore 11 di sabato 24 aprile 2021.

 

Questo articolo è il secondo di una serie: Attra-Verso la Liberazione vuole essere una lente tramite cui vedere la lotta resistenziale senza le distorsioni del falso mito della memoria condivisa e senza l’agiografia che per decenni ha contraddistinto la narrazione della conquista della libertà contro la tirannide nazi-fascista. La grandezza della scelta partigiana, infatti, emerge dallo stesso racconto del contesto, nella sua durezza, nella sua complessità e problematicità, nel suo immenso e meraviglioso valore.

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