Resistenza, quanto sei bella. Non sei un pezzo da museo ma una spinta a lottare per un futuro migliore
Cosa significa “Liberazione”? Nel giorno dedicato alla celebrazione della lotta partigiana contro la tirannide nazi-fascista, diventa necessario ripensare a questa parola, comprendendola al tempo stesso nel suo contesto storico così come nell’eredità che ci ha lasciato, che trascende il passato e ci ricorda quanto sia importante continuare a combattere per un futuro migliore. Ecco il terzo appuntamento con “Attra-Verso la Liberazione”
TRENTO. Anche quest’anno è arrivato il 25 aprile. Senza sfilate, raduni, musica e festa, questa giornata passerà per la seconda volta di seguito in un formato sospeso. Ciononostante la sua forza rimane viva, il suo messaggio chiaro. E questo ancor di più di fronte alle nuove sfide che la pandemia ha posto alla società, tra una crisi economica che profondamente segnerà il Paese per i prossimi anni e l’aggravarsi di problematiche già preesistenti.
Oggi è la Festa della Liberazione. A vedere le reazioni e l’ostilità che si attira addosso ogni anno – e con sé l’antifascismo e la Resistenza (ne abbiamo parlato nell'intervista a Chiara Colombini, autrice del libro 'Anche i partigiani, però...' (QUI l'articolo) – si può dire che sia divisiva, e ciò non è un dramma. È infatti unione tra chi condivide i valori democratici e costituzionali nati dalla lotta al nazi-fascismo, divisione da chi li ripudia o li mette in discussione in nome di paradigmi nuovi.
La Liberazione è stata quella dal nazi-fascismo e l’antifascismo era la sua benzina; ma questa benzina non si è consumata e continua a bruciare. È la fonte di un sentimento che rimane vivo, quello per la giustizia e l’eguaglianza. Dei valori che sempre rimangono attuali, perché ingiustizia e diseguaglianza continuano a prosperare.
Le lotte, dunque, seppur combattute con armi e modalità diverse (la guerriglia allora, democraticamente ora), sono allora come adesso contro questi stessi nemici. La violenza e la sopraffazione continuano ad esserci e questo giorno ci ricorda quanto costi e al tempo stesso quanto valga la pena di combatterle.
La Resistenza, nondimeno, non è un “pezzo da museo”, una pagina della storia nazionale verso cui voltarsi compiaciuti, osservando passivamente ciò che è stato. La sua forza e il suo significato non si possono racchiudere né in una visione retorica - quanto vacua - né nella sua versione edulcorata propinata spesso dai discorsi istituzionali, tagliati e confezionati per il presente, astorici e smussati.
Il senso della Resistenza va compreso nel suo contesto, ma lo trascende. E per questo a qualcuno dà fastidio, suona “divisivo” e scomodo. Sta nell’esempio di chi disse no alla barbarie fascista, con le armi in mano (nonostante le censure e le critiche diffuse nel discorso pubblico) così come in molte altre forme, e nella lotta. È sprone, anche in tempo di democrazia, per combattere sempre contro le ingiustizie. Anche quando queste paiono battute.
La Resistenza è costante tensione al miglioramento. Non è la “festa della libertà”, come qualcuno cercò di presentarla nei panni di presidente del Consiglio, ma della “liberazione”. Una liberazione che è direzione a cui tendere, non meta raggiunta. È, soprattutto, il rifiuto netto e solenne del sopruso, qualcosa che non è affatto sparito con l’Insurrezione proclamata il 25 aprile di 76 anni fa.
Questo articolo è il terzo di una serie: Attra-Verso la Liberazione vuole essere una lente tramite cui vedere la lotta resistenziale senza le distorsioni del falso mito della memoria condivisa e senza l’agiografia che per decenni ha contraddistinto la narrazione della conquista della libertà contro la tirannide nazi-fascista. La grandezza della scelta partigiana, infatti, emerge dallo stesso racconto del contesto, nella sua durezza, nella sua complessità e problematicità, nel suo immenso e meraviglioso valore.