Trump ''chiude'' con la crisi climatica, punta sul petrolio e gli Usa escono dall'accordo di Parigi, Mercalli: “Così la Cina può diventare leader mondiale nelle tecnologie green”
Luca Mercalli a il Dolomiti: "Le autorità cinesi si muovono in modo pragmatico, ma se Trump deciderà di tagliare gli investimenti in tecnologia green saranno loro a riempire, per così dire, uno spazio di mercato che verrà inevitabilmente lasciato libero. La Cina potrebbe ritagliarsi a questo punto un ruolo di leadership globale sul fronte ambientale, un polo alternativo rispetto a quello statunitense nell'ambito dello sviluppo tecnologico"
TRENTO. “Drill baby, drill!”, tradotto: “Trivelle a tutto spiano”. Lo slogan risale al 2008: venne rilanciato anche dalla candidata repubblicana alla vice-presidenza, Sarah Palin, nel suo dibattito – ironia della sorte – con Joe Biden, all'epoca vice nel ticket democratico per la prima campagna di Barack Obama. Oltre quindici anni dopo a far sue quelle parole, prima durante la campagna elettorale e poi, ieri, nel discorso inaugurale, è stato il (di)nuovo presidente Donald Trump, che non ha lasciato spazio ad ambiguità sul tema ambientale e sullo sfruttamento delle risorse fossili: “Siamo una nazione ricca – ha detto – l'oro liquido sotto i nostri piedi ci aiuterà a rimanere tale. L'America tornerà ad essere una nazione industriale. Siamo seduti sopra il maggior quantitativo di petrolio e gas naturale di qualsiasi altra nazione sulla Terra, e lo useremo”. Alle parole sono seguiti i fatti: con un ordine esecutivo, il tycoon ha infatti sancito l'uscita – di nuovo: lo aveva già fatto durante la sua prima presidenza – degli Stati Uniti, il secondo Paese per emissioni di Co2, dagli Accordi di Parigi, siglati nel 2016 con l'obiettivo di mantenere le temperature globali “ben al di sotto” dei 2 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali (preferibilmente mantenendosi entro il limite di 1,5 gradi).
“Sulla crisi climatica l'attenzione era già calata, anche in Europa, prima del ritorno di Trump”
Per chi si (pre)occupa di crisi climatica, insomma, quelle che arrivano dall'altra sponda dell'Atlantico non sono buone notizie, ma l'andazzo impresso da Trump alle politiche energetiche Usa va inquadrato in un contesto di difficoltà ben più ampio, e che riguarda anche l'Unione europea. “L'attenzione alla crisi climatica – dice a il Dolomiti Luca Mercalli, presidente della Società meteorologica italiana e tra i più importanti divulgatori in Italia sulle questioni ambientali – anche in Europa si è fortemente indebolita, e ben prima del ritorno di Trump alla Casa Bianca. L'abbiamo visto con la nuova Commissione Von Der Leyen, che ha ridotto il focus su molti di quei temi che, lei stessa, aveva portato avanti con grande convinzione durante il suo primo mandato nella cornice del Green Deal. Trump, ora, non fa che consolidare una deriva cominciata ben prima mostrando, come anticipato in campagna elettorale, un totale disinteresse per i problemi di ordine ambientale e una volontà di predazione di tutte le risorse disponibili”. Una narrazione ambivalente, dice Mercalli, che da un lato si tinge di protezionismo e di chiusura all'interno dei propri confini: “E dall'altra sfocia nelle mire, più volte espresse dal tycoon, verso la Groenlandia”.
In altre parole: “Sembra che arraffare il possibile, in termini di risorse, nasconda il rischio del collasso ambientale che, infine, arriverà e ci presenterà il conto. È già successo a Los Angeles, evidentemente non è bastato. Gli Stati Uniti però sono già vittima del cambiamento climatico, nonostante la retorica di Trump la cui visione, da presidente tra l'altro anziano, non è certo proiettata al futuro. I miliardari di cui si è circondato, pur consapevoli dei rischi posti dalla crisi climatica, si pensano probabilmente al di sopra degli stessi, forti della loro disponibilità economica”. Di fronte agli effetti della crisi climatica, continua Mercalli, anche la popolazione percepisce le crescenti difficoltà di un sistema messo sempre più alla prova dal cambiamento in atto: “Ma tanto negli Stati Uniti quanto in Europa, gli elettori di Trump e dei partiti che, in Ue, sostengono le stesse politiche sul fronte ambientale, si affidano di fatto alle false promesse di leader che promuovono soluzioni facili e dirette: una su tutte, Make America Great Again”.
Il possibile ruolo della Cina
In generale però, l'uscita di Washington dagli Accordi di Parigi potrebbe avere effetti anche su un altro fronte: quello della competizione con la Cina. “La mossa di Trump – continua il presidente di Smi – potenzialmente indebolisce tutte le politiche globali sul clima, ma va valutato un aspetto nuovo: il ruolo della Cina, che da tempo ha intrapreso un grande cammino verso lo sviluppo di nuove tecnologie green. In poche parole la Cina potrebbe ritagliarsi a questo punto un ruolo di leadership globale sul fronte ambientale, un polo alternativo rispetto a quello statunitense nell'ambito dello sviluppo tecnologico”. Non che Pechino si muova per un disinteressato impegno per il benessere delle popolazioni più colpite dalla crisi climatica, precisa Mercalli: “Le autorità cinesi si muovono in modo pragmatico, ma se Trump deciderà di tagliare gli investimenti in tecnologia green saranno loro a riempire, per così dire, uno spazio di mercato che verrà inevitabilmente lasciato libero: nonostante la retorica trumpiana è difficile immaginare che un settore sempre più importante come quello, per esempio, dello sviluppo delle rinnovabili venga 'abbandonato'. Non credo però che la Cina abbia intenzione di mettersi in gioco per la costituzione di nuove strutture di diplomazia internazionale sul fronte climatico”.
L'occasione mancata dell'Europa
D'altra parte in Cina uno slogan come “Drill baby, drill!” non suonerebbe certo allo stesso modo: “Al contrario degli Stati Uniti, la Cina non possiede grandi riserve di petrolio, ma solo di carbone. E anche per questo le autorità cinesi hanno dato il via a un percorso interessante sul fronte delle tecnologie green, un processo che lo stesso Trump combatte da una parte per ideologia e dall'altra per soddisfare le promesse fatte alla lobby del petrolio, che l'ha lautamente finanziato. E' triste pensare che il ruolo della Cina oggi poteva essere dell'Europa, un'avanguardia culturale nel mondo sul tema fin dalla fine degli anni '90. Per una serie di ragioni ci siamo fatti sfuggire questo primato tecnologico: nei primi anni Duemila l'Italia produceva pannelli solari formidabili, oggi li compriamo tutti dalla Cina. C'è stata, tra le altre cose, una politica industriale sbagliata: si è preferito spostare la produzione in altri Paesi (ancora una volta, la Cina) tra le altre cose per aggirare i vincoli ambientali e ridurre il costo della manodopera. In altre parole, gli imprenditori hanno aumentato i profitti, ma insieme alla fabbriche in Cina si è spostata anche la tecnologia. In Europa avevamo la base tecnologica ma non siamo stati in grado di sfruttarla e oggi il tema ambientale è diventato un capro espiatorio per le difficoltà che vivono diversi settori industriali, uno su tutti quello dell'automotive”.
“Si litiga su una barca che sta affondando”
In definitiva, la svolta impressa dall'Amministrazione Trump rallenterà tutti i processi in atto per quanto riguarda la gestione della crisi climatica, conclude Mercalli: “Non può che portare a un peggioramento della situazione a livello globale. Si perderà altro tempo prezioso, quando invece sarebbe necessario che i governi agissero, almeno su questo tema, nella stessa direzione, convinti e con idee chiare. Così invece si continua a litigare su una barca che sta affondando”.