Negli anni '30 sulla statale dello Stelvio i camion si muovevano con l'elettricità: c'erano una volta i filocarri della filovia più lunga e in alta quota di sempre
Alla Tirano-Tre Baracche (lunga 46 chilometri) si aggiunse poi il tratto fino ai cantieri di San Giacomo (19,5 chilometri): l'infrastruttura serviva i cantieri delle dighe San Giacomo e Cancano II ed era parte di un collegamento intermodale che si basava sul treno prima, sulla filovia poi e sulle teleferiche per finire. I camion trasportavano cemento, sabbia, attrezzi e gli operai
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
C'erano una volta i filocarri e in tempi recenti si è tornati anche a parlarne, come era accaduto nel 2019, in vista delle olimpiadi del 2026. Ad oggi restano un ricordo, una suggestione che arriva dal passato ma che ha tutti crismi della storia da tramandare e ricordare magari dando un occhio anche al futuro. I filocarri altro non erano che dei veri e propri camion capaci di trasportare merci e persone che, però, si spostavano con l'elettricità secondo il modello dei più diffusi filobus. Una delle rarissime reti di filocarri italiane venne realizzata alla metà degli anni '30 del secolo scorso in Valtellina per coprire il Passo dello Stelvio.
Era la filovia Tirano-Tre Baracche, lunga 46 chilometri che risaliva la strada dello Stelvio. L'infrastruttura (descritta perfettamente nel libro La Filovia dello Stelvio di Alessandro Albé - Sergio Viganò) fu realizzata tra il 1939 e il 1940 dall’Aem di Milano per la costruzione della diga di San Giacomo, in alta Valtellina, a quasi 2.000 metri di quota (1950). Il principale scopo della “filovia dello Stelvio” era il trasporto del cemento che, contenuto in bidoni della capacita di 400 chili, raggiungeva i cantieri per la costruzione delle dighe di San Giacomo e Cancano II. Con il cemento arrivavano anche sabbia, strumenti di vario tipo e pure gli operai visto che dei 20 mezzi agganciati alla rete elettrica che servivano i cantieri vi erano anche due filocarri a due assi e due filobus per il trasporto del personale.
Il resto dei camion che componevano la filovia era costituito da 16 “filocarri” a tre assi, capaci di trasportare 24 bidoni per il cemento. Sopra i camion una doppia linea aerea bifilare, sospesa sulla sede stradale, da cui il veicolo captava l'energia elettrica a corrente continua, tramite due aste di captazione.
La rete di filocarri Tirano-Tre Baracche era solo un passaggio di un collegamento intermodale da far invidia ai tempi moderni: prima vi era la ferrovia fino a Tirano (428 metri di quota), poi la filovia fino a Tre Baracche e, infine, le teleferiche per l’ultimo balzo fino ai cantieri. Questo, almeno, inizialmente. Durante gli anni della guerra per potenziare il servizio l’Aem di Milano realizzò un nuovo impianto portando la filovia fino ai cantieri di San Giacomo lungo una strada di montagna non asfaltata di 19,5 chilometri con 21 tornanti. E poi la filovia venne utilizzata anche per la costruzione della nuova diga di Cancano, la Cancano II (1954–1956).
Una volta terminate le dighe la filovia venne abbandonata e dismessa. La sinossi del libro ''La Filovia dello Stelvio'' sintetizza come ''nella storia ormai più che centenaria delle filovie, non sono stati moltissimi i casi in cui questo sistema è stato utilizzato per il trasporto delle merci. La filovia dello Stelvio eccelle su tutte le altre: è stata la più lunga, quella a più in alta quota, con il maggior numero di veicoli, ed e stata relativamente longeva''. Recentemente era riemersa la possibilità di 'tornare' alla rete di filocarri ''per collegare Tirano a Bormio con un filobus, sul modello dei filocarri che erano utilizzati da Aem fino agli anni Sessanta per il trasporto di personale e materiale a Cancano durante i lavori di costruzione delle dighe''. Lo aveva proposto nel 2019 il sindaco di Tovo, Giambattista Pruneri, ''per snellire il collegamento fra Tirano e l’Alta Valle in vista dell’appuntamento olimpionico del febbraio del 2026''.
''Sarebbe sicuramente una soluzione poco impattante a livello di consumo del territorio - aggiungeva il sindaco all'epoca - e anche dal punto di vista economico sarebbe assolutamente sostenibile, visto il surplus di produzione di energia che abbiamo in provincia e data la presenza sul nostro territorio di importanti produttori come A2A e altre aziende che potrebbero finanziare l’opera con i Comuni''. L'idea è rimasta, appunto, un'idea. Ma i filocarri sono stati una ben solida realtà in Valtellina, da non dimenticare.