Fece scalpore il suo rifiuto di scrivere un tema di esaltazione dell’Italia fascista e del suo duce. Antonio Giuriolo morì 80 anni fa, la notte successiva nevicò
Cadde per soccorrere un partigiano ferito sul monte Belvedere, caposaldo delle difese tedesche sull’Appennino tosco-emiliano. Il ricordo e la memoria di un maestro di Libertà, "nobilissimo esempio di educatore senza cattedra" e di rigore etico e civile, che fu sempre intransigente avversario del fascismo
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
È il mattino del 12 dicembre 1944. Sul monte Belvedere, che coi suoi 1.140 metri di altitudine separa la valle del Reno da quella del Panaro, infuriano i combattimenti. La vetta è infatti uno dei capisaldi delle difese tedesche sull’Appennino tosco-emiliano. Di fronte ai tedeschi non combattono soltanto soldati statunitensi ma anche una brigata partigiana, la “Matteotti Montagna”, che per la sua efficienza è stata inquadrata dagli Alleati accanto ai loro reparti.
La guida un giovane vicentino di trentadue anni, già capitano degli alpini e comandante partigiano, Antonio Giuriolo. I partigiani riescono ad avanzare fino alla località Corona e occupano il passo che la sovrasta, facendo alcuni prigionieri e impadronendosi di armi e materiali. I tedeschi però contrattaccano. Così il comandante ordina il ripiegamento e resta a coordinarlo sotto il fuoco. Due partigiani cadono colpiti da una raffica alle gambe: Giuriolo corre a soccorrerli ma è falciato a sua volta da una raffica al petto. Gli sarà concessa la medaglia d’oro al valor militare.
Così cadeva il comandante della “Matteotti Montagna”. Nato ad Arzignano, in provincia di Vicenza, il 12 febbraio 1912, in una famiglia che vantava una lunga tradizione di partecipazione civile e di ideali garibaldini, Giuriolo trascorre i primi anni ad Arzignano, fino a quando, con l’avvento del fascismo, il padre, avvocato vicino al socialismo, trasferisce la famiglia a Vicenza per timore che qualcuno dei famigliari venga colpito dalle violenze da lui stesso subite.
A Vicenza Giuriolo frequenta il ginnasio-liceo “Pigafetta”. Si distingue dai compagni perché è l’unico a non essere iscritto alle organizzazioni giovanili del regime e a diciott’anni fa scalpore il suo rifiuto di scrivere un tema di esaltazione dell’Italia fascista e del suo duce. Laureatosi in Lettere a Padova nel 1935, rifiuta la tessera del PNF e negli anni seguenti vivrà dando lezioni private. Nel frattempo inizia a frequentare gli ambienti culturali vicentini, stringe amicizia con intellettuali come Antonio Barolini e Neri Pozza, e progressivamente allarga la propria cerchia di conoscenze e amicizie, che alla fine degli anni Trenta comprende Luigi Russo e Francesco Flora, Carlo Ludovico Ragghianti, Aldo Capitini e Norberto Bobbio. Politicamente si avvicina al liberal-socialismo, movimento che nel 1942 confluirà nel Partito d’Azione.
Svolto il servizio militare come ufficiale, dapprima in fanteria e poi negli alpini, all’inizio degli anni Quaranta diviene un punto di riferimento culturale ed etico per molti giovani vicentini. Luigi Meneghello lo conosce nell’estate del 1940. Cresciuto sotto il regime, il futuro scrittore, di dieci anni più giovane, è uno studente brillante che condivide in toto le idee che il fascismo gli ha inculcato. L’incontro con Giuriolo rappresenterà il momento cruciale di svolta, l’inizio di un «processo esaltante e lacerante insieme» che lo condurrà progressivamente all’antifascismo e, quindi, alla scelta di aderire alla Resistenza.
Scrive Meneghello in Fiori italiani: «Frequentando Antonio si cambiava quasi a vista d'occhio: di mese in mese ci si trovava ad avere abbandonato questo o quel punto delle dottrine o credenze correnti [...]. Antonio non separava ciò che studiava e pensava per conto proprio da ciò che insegnava a noi. Era proprio questa la forza del suo insegnamento: non c'era tono didascalico, non svolgeva un programma. Parlava delle cose a cui si stava interessando senza proporsi di dimostrare qualcosa, o di convincerci».
L’8 settembre 1943 Giuriolo inizia la propria esperienza partigiana in Friuli, nella valle del Natisone, con gruppi azionisti. Poi si sposta nel Bellunese, nella valle del Mis. Qui, nel marzo del 1944, si aggregano a lui alcuni studenti universitari: sono i giovani che lo hanno frequentato a Vicenza, i futuri “piccoli maestri” del libro di Meneghello. A metà maggio 1944 il gruppo si sposta sull’Altipiano dei Sette Comuni, con base a Malga Fossetta.
Scrive ancora Meneghello nei Piccoli maestri: «Senza di lui non avevamo veramente senso, eravamo solo un gruppo di studenti alla macchia, scrupolosi e malcontenti; con lui diventavamo tutt’altra cosa: Antonio era un italiano in un senso in cui nessun altro nostro conoscente lo era; stando vicino a lui ci sentivamo entrare anche noi in questa tradizione. Sapevamo appena ripetere qualche nome, Salvemini, Gobetti, Rosselli, Gramsci, ma la virtù della cosa ci investiva: eravamo catecumeni, apprendisti italiani».
L’intensa esperienza di Malga Fossetta dura poche settimane: ai primi di giugno tutto l’Altipiano è rastrellato dai nazifascisti. La banda si disperde. I piccoli maestri perdono da quel momento i contatti con Giuriolo, che fortunosamente raggiunge il passo di Campogrosso. Per curarsi una mano ferita e per nascondersi si sposta a Bologna, da parenti. È qui che gli viene chiesto di assumere il comando della “Matteotti Montagna”. «Temporaneamente», gli viene detto: resterà per più di quattro mesi, fino a quel 12 dicembre 1944.
Nella notte successiva alla morte sul Belvedere cade la neve. Il suo corpo ne viene ricoperto: sarà ritrovato il 20 febbraio successivo. Sul foglio «Patrioti», organo della 1a Brigata Giustizia e Libertà, il 15 febbraio 1945 è un giovane Enzo Biagi a commemorarlo: «Io pensavo a Toni morto, lassù, tra la neve, e a quel viso nitido – la fronte alta, distesa, occhi chiari di bambino – per sempre inanimato. Non provavo pena, ma vergogna. Perché è tanto poco quello che noi facciamo, e mi pareva che la morte di Toni fosse per noi tutti una severa lezione. Soprattutto di umiltà: questo capitano senza gradi, soldato senza stellette, è caduto davanti ai suoi uomini, per non lasciare due feriti sul campo. So poco di Toni, poche volte l'ho incontrato. Ma mi sembra di averlo conosciuto da tempi tanto lontani, perché in lui trovavano vita quegli ideali che animano i sogni dei giovani, perché c'era nel suo gesto, nella sua frase, un inestimabile calore umano».
Nel dopoguerra la memoria di Capitan Toni sarà tenuta viva soprattutto da quanti lo avevano conosciuto. Di lui, oltre agli splendidi ritratti presenti nei libri di Meneghello, parlarono Norberto Bobbio, che lo definì «nobilissimo esempio di educatore senza cattedra» e in seguito lo indicò come «l’incarnazione più perfetta […] in un giovane della nostra generazione dell’unione di cultura e vita morale», e Carlo Azeglio Ciampi, che nel 2001 visitò il luogo della morte.
Una serie di iniziative, organizzate congiuntamente dai Comuni di Lizzano in Belvedere, Vicenza e Arzignano con la collaborazione di ANA, ANPI, CAI e ISTREVI, l’Istituto Storico della Resistenza di Vicenza, sono previste in valle del Reno il 14-15 dicembre prossimi.
Quanto alle fonti, oltre a un’ottima biografia firmata da Antonio Trentin, diversi sono gli studi a lui dedicati, fra cui l’interessantissimo Pensare la libertà. I quaderni di Antonio Giuriolo dello storico Renato Camurri, segno di un interesse sempre maggiore per una figura tanto complessa quanto luminosa nella sua intransigente avversione al fascismo. Un maestro di Libertà da ricordare e soprattutto riscoprire.