"La mamma ci nascose nel bosco fino al termine degli spari". L'importanza della memoria a ottant'anni dalle stragi nazifasciste in Appennino
Una geografia del dolore che da 80 anni percorre in particolare le terre d'Appennino, dove si sono consumate alcune delle stragi più cruente della Seconda guerra mondiale
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
"Mi chiamo Giuseppe Forsinetti e ho tredici anni. Li avrò per sempre. Sono gli anni che avevo quando mi hanno ammazzato. Io non volevo mica morire, sapete! Ma a loro, ai tedeschi, non importava niente di quello che volevo io". Giuseppe è uno dei 33 uccisi a Capistrello (AQ), a 750 metri sul livello del mare, nella Marsica. Fu una rappresentaglia dai soldati tedeschi della Wehrmacht: è il 4 giugno 1944, nel giorno in cui Roma viene liberata dai nazifascisti, e la strage avviene nei pressi della stazione del paese abruzzese, lungo il fiume Liri, uno dei più tragici eventi legati alla Seconda guerra mondiale in Abruzzo.
"La strage dei trentatré" è una delle moltissime rimaste impunite, come decine e decine di altre compiute in Italia nei mesi trascorsi fra la firma dell’armistizio, l’8 settembre 1943, e il giorno della liberazione, il 25 aprile del 1945. La racconta un libro di Alfio Di Battista, pubblicato dal piccolo e coraggioso editore Radici edizioni. Anche gli eventi di Capistrello sono emersi a partire dal rinvenimento nel 1994 a Palazzo Cesi, sede della Procura generale militare a Roma, di 695 fascicoli contenenti le denunce dei crimini nazifascisti commessi in Italia sul finire della Seconda guerra mondiale, riguardanti circa 15.000 vittime. Il ritrovamento avvenne grazie alle meticolose indagini del procuratore militare Antonino Intelisano che indagava sulla strage delle Fosse Ardeatine e cercava prove a carico del capitano delle SS Erich Priebke, incriminato successivamente per il macabro eccidio.
L'eccidio di Capistrello è censito anche nell'Atlante delle Stragi fasciste e naziste in Italia, che ricostruisce una geografia del dolore che da 80 anni percorre in particolare le terre d'Appennino, dove si sono consumate alcune delle stragi più cruente della Seconda guerra mondiale. L'episodio senz'altro più cruento è quello di Monte Sole, nel comune di Marzabotto (BO), dove tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 venno uccisi 770 civili. "Si tratta in realtà della sommatoria di una serie di singoli episodi di violenza assassina contro civili inermi che si consumarono in 115 luoghi diversi, secondo le verifiche compiute dal Comitato Regionale per le onoranze ai Caduti di Marzabotto. Questi luoghi sono distribuiti nel territorio di tre comuni a sud di Bologna (Marzabotto, Grizzana, Monzuno) e disseminati in una zona delimitata dalle valli del Setta ad est, del Reno ad ovest, e sovrastata dalle alture di Monte Sole a nord e Monte Salvaro a sud" si legge nella scheda curata dallo storico Paolo Pezzino, che insieme a Luca Baldissara ha scritto anche il libro "Il massacro. Guerra ai civili a Monte Sole" (il Mulino). A Monte Sole restano ancora i villaggi bruciati: per quarant'anni nessuno ha vissuto in questa valle. Solo nel 1984 vi tornarono, per primi, i monaci dossettiani. Oggi vi ha sede la Scuola di pace di Monte Sole, che si occupa di formazione ed educazione alla pace, alla trasformazione non violenta dei conflitti, al rispetto dei diritti umani, per la convivenza pacifica.
Pezzino ha dedicato un libro anche a Sant'Anna di Stazzema, un minuscolo paese della montagna versiliese, in provincia di Lucca, dove ebbe luogo il maggiore eccidio di civili compiuto dai nazisti in Italia dopo quello di Monte Sole-Marzabotto, di cui si resero responsabili le stesse SS. Si chiama "Sant'Anna di Stazzema. Storia di una strage" (il Mulino) e racconta di quello che successe sabato 12 agosto 1994, con l'uccisione di 392 persone. Sant'Anna di Stazzema si trova lungo Linea Gotica, zone di grande rilievo strategico, sotto le Alpi Apuane, con la presenza di numerose formazioni partigiane, di diverso orientamento (dai garibaldini agli autonomi) che rappresentava per i tedeschi un effettivo problema. Quel giorno, all'alba, salgono a Sant’Anna gli uomini del 2. Battaglione del 35. Reggimento. "Secondo alcuni testimoni, fra di loro, in divisa tedesca, vi erano anche italiani, fascisti versiliesi che, per non farsi riconoscere, portavano un passamontagna, tuttavia il particolare, rilanciato anche da pubblicazioni recenti, deve essere ancora convincentemente provato sul piano storico" ricostruisce Pezzino sull'Atlante. Quel che è certo è che arrivati sul posto, "tutti coloro che vengono trovati, con poche eccezioni, vengono massacrati: per lo più donne, bambini, anziani".
Oggi Sant'anna di Stazzema è Parco nazionale per la pace, istituito con la Legge 11 dicembre 2000, n. 381. Un Museo porta la memoria dell'eccidio. Tra i testimoni, superstiti, c'è Luciano Lazzeri: "Siccome eravamo bambini tutti piccoli, la mi mamma ci nascose in un bosco e si rimase in quel bosco fino a che non si sentì degli spari. Finiti gli spari, quando fu tutto calmo, si sparse la voce che avevan distrutto il paese e che avevano ammazzato la gente" spiega il portale. Dalla chiesetta, dove si consumo un brutale omicidio collettivo, parte una via Crucis: è un sentiero lastricato che, dalla piazza della chiesa, attraverso il bosco, conduce all’Ossario. È un'erta salita carica di significato che ogni montanaro dovrebbe compiere almeno una volta nella vita.
Nella foto, i resti di una delle chiese bruciate a Monte Sole © Luca Martinelli, luglio 2024