Mentre gli effetti del cambiamento climatico si fanno sentire in maniera crescente sulla capacità delle stazioni sciistiche di garantire stagioni veramente redditizie, è ormai palese al riguardo anche l’incidenza del fattore socio-economico legato al calo del potere d’acquisto delle retribuzioni medie che mina anno dopo anno il bacino dei praticanti. In questa realtà, tra i prezzi degli skipass in (inevitabile) aumento costante e la strategia di molti grandi ski resort che punta decisamente al turismo del lusso, che non sia la crisi climatica la variabile più rischiosa che pende sul futuro dello sci?
Pensando al Monte Bianco e ai suoi vasti ghiacciai, il pensiero corre facilmente alla Mer de Glace, il più celebre e visitato. Nella vallata accanto, verso settentrione, c’è un altro grande ghiacciaio la cui storia è per certi versi ancora più significativa, sia negli aspetti glaciologici che riguardo il rapporto delle genti del posto con il ghiacciaio e le montagne d’intorno
L’immaginario collettivo attraverso il quale vediamo e viviamo le montagne è solo in superficie un prodotto culturale del tempo presente. In verità viene da lontano, da un passato antecedente alla nascita dei modelli turistici attuali ma nelle cui rappresentazioni c’erano già tutti gli elementi che oggi danno forma alle realtà del turismo montano, da quelle variamente sostenibili all’overtourism più impattante. Solo che allora non ce ne potevamo accorgere.
Sono sempre più frequenti le denunce e gli allarmi riguardanti situazioni di sovraffollamento turistico, il cosiddetto overtourism, nelle località montane e non solo in quelle maggiormente rinomate. È un fenomeno a volte malauguratamente alimentato dagli stessi amministratori locali attraverso progetti turistici che fungono da attrattori, e che in fondo rivela una preoccupante carenza di cultura del territorio e di sensibilità verso il suo paesaggio. Si può evitare questo pericolo? E come?
Da quindici anni l’Associazione Dislivelli, con base a Torino, rappresenta una delle realtà italiane più avanzate e innovative nei campi della ricerca, dello studio e della comunicazione nei riguardi dei territori montani. Una vera e propria eccellenza nazionale, dotata peraltro della capacità di mettere a terra la propria attività in progetti e iniziative di grande concretezza e valore. Ne parliamo con il direttore di Dislivelli, Maurizio Dematteis
Uno degli aspetti fondamentali che regolarmente si constata sulle montagne italiane è la drammatica carenza di “comunità”, sia in senso civico che politico. Altrettanto regolarmente, nella gran parte dei progetti di sviluppo turistico proposti per le terre alte la “comunità” è pressoché marginale se non del tutto assente e comunque considerata attraverso meri stereotipi funzionali. Eppure è proprio la dimensione montana, con le sue particolari specificità, a determinare un senso compiuto della “polis”, anche più di quella cittadina. Perché così spesso non si è più in grado di comprenderlo?
Da tempo si discute della realizzazione di una grande diga nel bacino del torrente Vanoi, tra Trentino e Veneto, e negli ultimi tempi il dibattito si è fatto intenso anche per come abbia posto in contrasto la Provincia di Trento e la Regione Veneto. Ma se buona parte della disputa riguarda l’impatto ecoambientale di un’opera così imponente, alcune altre evidenze inoppugnabili accerterebbero ancor prima che nasca la sua potenziale inutilità e il conseguente spreco di denaro pubblico (e di risorse idriche) che ne deriverebbe
Sul Monte San Primo, in centro al Lago di Como, gli enti locali vorrebbero ripristinare l’attività sciistica, chiusa da tempo per assenza di condizioni ambientali e sostenibilità economica, a poco più di 1000 metri di quota e spendendo milioni di soldi pubblici. Un progetto messo alla berlina dalla stampa su scala internazionale ma che i soggetti promotori vorrebbero realizzare a tutti i costi
Ormai da tempo si discute degli aspetti particolarmente critici legati alla presenza dello sci sulle montagne, con particolare attenzione e dibattito su quelli ambientali e economici. Ve ne sono però altri, di matrice più culturale, meno considerati eppure profondamente emblematici circa quella presenza sciistica. Ne parliamo con il lecchese Michele Castelnovo che di recente, in forza della propria esperienza professionale sui monti, ha sollevato la questione evidenziandone l’importanza
Perché avvicinare i giovani alle montagne attraverso la pratica degli sport invernali e in particolare dello sci? Per educarli alla frequentazione responsabile e consapevole delle terre alte o per renderli futuri clienti e consumatori di un business turistico che considera le montagne alla stregua di centri commerciali. E nel caso non ci si adegui, si rischia di perdere la qualifica di "montanari". Succede in Valle d’Aosta (ma non solo lì)
Moncenisio, comune di 49 abitanti sulle Alpi piemontesi, ha elaborato un articolato progetto di rivitalizzazione del proprio territorio per molti versi sorprendente, con al centro la riqualificazione delle locali ex Casermette della Guardia di Finanza a fini turistici, culturali e di welfare di comunità. Un progetto modello per molte altre più grandi e blasonate località montane.
Ammirare le stelle nel cielo notturno in alta montagna da dentro una “stanza panoramica” di vetro, al costo di qualche centinaia di Euro al giorno? In verità esiste un posto, dal quale godere della bellezza del cielo stellato e del paesaggio montano, molto più economico. Anzi, totalmente gratuito