Vanoi, la diga che non vuole nessuno, eccetto la regione Veneto, e che risulterebbe inutile per tutti, veneti inclusi
Da tempo si discute della realizzazione di una grande diga nel bacino del torrente Vanoi, tra Trentino e Veneto, e negli ultimi tempi il dibattito si è fatto intenso anche per come abbia posto in contrasto la Provincia di Trento e la Regione Veneto. Ma se buona parte della disputa riguarda l’impatto ecoambientale di un’opera così imponente, alcune altre evidenze inoppugnabili accerterebbero ancor prima che nasca la sua potenziale inutilità e il conseguente spreco di denaro pubblico (e di risorse idriche) che ne deriverebbe
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Nei dibattiti sul cambiamento climatico e la transizione ecologica che ormai stabilmente trovano spazio sulla stampa e nell’opinione pubblica, il tema delle energie rinnovabili è tra quelli più dissertati, soprattutto in relazione alla necessità assodata di svincolarci dall’uso dei combustibili fossili nel tentativo di contenere le conseguenze del riscaldamento globale. Su questo dibattito negli anni recenti è comparsa una variabile inattesa eppure per molti versi drammatica, l’emergenza idrica, che ha rivelato la fragilità di territori che mai prima si sarebbero ritenuti in pericolo per la carenza di acqua come quelli alpini. Eppure, anche al netto di quel periodo siccitoso verificatosi tra il 2021 e il 2023, la crescente mutevolezza dei fenomeni meteorologici, le nevicate in diminuzione, la fusione dei ghiacciai e dunque la costante perdita del “magazzino” di acqua potabile che rappresentano, oltre a varie carenze infrastrutturali croniche del paese, ha riportato in auge numerosi progetti di “nuove” dighe e invasi artificiali (invero elaborati in origine decenni fa), non solo come elementi necessari alla transizione energetica ma ora anche come riserve di acqua ad uso domestico e agricolo e opere utili alla gestione idrogeologica dei territori alpini e subalpini.
Tra questi progetti forse quello più dibattuto in assoluto sulle Alpi italiane è quello del Vanoi, vallata tra Trentino e Veneto percorsa dall’omonimo torrente: qui, in territorio comunale di Lamon (Belluno) si vorrebbe edificare una grande diga, alta circa 120 metri, che formerebbe un bacino tra i 33 e i 40 milioni di metri cubi. Un progetto la cui prima ideazione risale addirittura al 1922 e la cui versione più recente e ora dibattuta è del 1998, pensato innanzi tutto per la produzione idroelettrica ma sempre più, negli anni recenti, propugnato come serbatoio necessario per alimentare l’asta del Brenta – il fiume che sviluppa a valle del Vanoi – e sopperire alle necessità dell’agricoltura nelle pianure tra Vicenza e Padova. Come detto, le recenti emergenze idriche hanno contribuito a sostenere ancora di più queste supposte finalità, d’altro canto ritenute da numerosi esperti strategiche per il nostro paese seppur con punti di vista differenti riguardo la loro realizzazione.
Probabilmente molti di voi, e innanzi tutto chi abita nel Triveneto, avrà letto del progetto del Vanoi sulla stampa – se n’è occupato spesso anche Il Dolomiti e L’AltraMontagna. Il motivo primario per il quale la vicenda è nota è per come il progetto abbia messo in conflitto due amministrazioni dello stesso segno politico, la Regione Veneto da una parte e la Provincia Autonoma di Trento dall’altra: la diga si ubicherebbe per pochi metri in territorio veneto ma l’intero bacino imbrifero che alimenterebbe il lago è trentino, parte che dunque subirebbe le maggiori conseguenze idrogeologiche e ecologiche per un uso della risorsa idrica di cui gioverebbe un’altra regione. Lo scontro tra i due enti locali “amici” è stato a tratti aspro, con la Provincia autonoma di Trento che lamenta da sempre una «mancanza di trasparenza» da parte della giunta regionale veneta e l’assenza di coinvolgimento nella discussione politica sul progetto: identiche lamentele vengono rimarcate dai comuni trentini (Canal San Bovo e Cinte Tesino) sul cui territorio insisterebbe il nuovo bacino. Ma anche sul lato veneto il comune di Lamon, che ospiterebbe la diga, ha più volte evidenziato il proprio diniego al progetto e la stessa Provincia di Belluno lo ha già ufficializzato lo scorso ottobre all’unanimità, per di più ottenendo proprio di recente dal Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste l’accesso agli atti relativi al progetto (in precedenza negato alla Provincia di Trento), così da fare maggiore chiarezza su quanto previsto in Vanoi.
Infine, le associazioni ambientaliste attive tra Veneto e Trentino, a partire dal “Comitato per la difesa del torrente Vanoi e delle acque dolci” nato nel 1998 all’epoca della presentazione dell’ultima versione del progetto, da tempo segnalano le tante criticità presenti nell’area della Val Cortella, nella quale scorre il Vanoi: innanzi tutto lo stato di rischio geologico 4, il massimo della scala di riferimento, reso peraltro palese dal lungo elenco di smottamenti degli ultimi anni; lo stato di unicum biologico del torrente Vanoi, che ospita specie ittiche endemiche a rischio di estinzione, le valenze naturalistiche, storiche e paesaggistiche di una valle ancora significativamente integra, inoltre l’assenza di una concreta valutazione ecologica riguardante vantaggi e svantaggi dell’opera, se realizzata. Al riguardo lo scorso luglio Italia Nostra ha emesso un position paper particolarmente esaustivo al riguardo, con le motivazioni in base alle quali il progetto sarebbe da accantonare senza ulteriori indugi.
Insomma: una diga che non vuole nessuno eccetto la giunta che attualmente governa la Regione Veneto e il Consorzio del Brenta, beneficiario dell’opera. Nonostante ciò, la regione nel dicembre 2022 ha stanziato un milione di euro per avviare l’iter esecutivo dell’opera, il cui costo complessivo è stimato in ben 962 milioni. Poco meno di un miliardo di soldi pubblici – ma siamo in Italia, paese nel quale quasi mai un’opera pubblica, una volta finita, costa come il preventivo iniziale ma sempre di più, a volte moltissimo di più – per una diga che non solo nessuno o quasi vuole, come detto, ma che rischia di risultare per diversi aspetti inutile, inefficace, sprecata, al di là delle problematiche più specificatamente ecoambientali.
In questo senso il primo e più evidente aspetto è il costo: quasi un miliardo di Euro, da trovare nelle risorse pubbliche nazionali e locali. Ma per quanto riguarda la gestione della risorsa idrica l’Italia si sta affidando per gran parte al Pnrr, con il quale sono stati stanziati al riguardo quasi quattro miliardi di Euro tuttavia senza prevedere nel relativo elenco di opere finanziate nessuna nuova grande diga. Un investimento ingente che peraltro abbisogna di un periodo di ammortamento estremamente lungo: questo è ad esempio il motivo per il quale Axpo, una delle principali società dell’energia svizzere (paese che molto più dell’Italia sfrutta i bacini artificiali nelle proprie valli alpine per la produzione di energia), ha deciso di non investire più nell’idroelettrico, affermando che: «Malgrado ci sia un certo potenziale e nonostante le sovvenzioni all’idroelettrico, l’imprevedibilità dell’andamento dei prezzi dell’elettricità e la durata del periodo di ammortamento (60-80 anni) rendono questo tipo di investimenti poco sicuri e poco redditizi.» Per il Vanoi, il commissario nazionale per l’emergenza idrica – il veronese Nicola Dell’Acqua – ha parlato di «un impianto che farebbe la differenza nei prossimi 15-30 anni», dunque un periodo ben più corto di quello necessario all’ammortamento dell’opera, che per ciò presenterebbe ancor prima di nascere una sostenibilità finanziaria problematica. In ogni caso anche in Italia non pare vi sia troppo entusiasmo, da parte delle maggiori società energetiche, verso l’idea di costruire nuove dighe: cantieri troppo lunghi, troppo problematici, troppo impattanti. Meglio pensare a potenziare e rendere più efficienti gli impianti esistenti, come peraltro sta facendo la stessa Svizzera, che pure ha affidato ai propri enti scientifico-accademici un’indagine sui siti montani potenzialmente idonei alla realizzazione di nuove dighe, i quali sono già al vaglio delle associazioni di tutela ambientale.
Un secondo aspetto risulta ancora più importante, se non più critico, per la valutazione della convenienza concreta di una diga nel Vanoi, e concerne la parte a valle dell’ipotizzata nuova opera, cioè quella bellunese e veneta che dovrebbe godere del serbatoio idrico di Lamon – con acque trentine, non lo si dimentichi. Ebbene, ai piedi del Vanoi si trova una delle province italiane, quella di Belluno, che da anni è ai primi posti della triste classifica nazionale delle perdite dalle reti idriche: secondo il più recente Report sull’acqua dell’Istat, che copre il periodo 2020-2023, è la decima peggiore in Italia, con una perdita del 64,2% a fronte dell’essere invece la terza per consumo di acqua pro capite. Per la cronaca, Trento è al 22,4%. In pratica, Belluno a sua disposizione possiede tanta acqua ma per quasi due terzi la butta via. Peraltro su base regionale le cose vanno meglio ma non troppo: il Veneto registra una perdita idrica del 42,2% e insieme al Friuli-Venezia Giulia è la regione meno virtuosa del Nord Italia, presentando un dato in linea con la media nazionale (42,2%) che però è tra le peggiori in Europa (ci superano solo Irlanda e Bulgaria; di contro la Germania ha un dato del 6% e la Francia del 20%, per citare i due paesi UE più vicini a noi).
Dunque, pensare di realizzare una diga e un serbatoio idrico di ritenuta nel Vanoi con a valle una situazione come quella fin qui evidenziata appare quanto meno incoerente: il rischio concreto è che un’opera così mastodontica, costosa e impattante risulti per gran parte inutile. Nel caso, ciò rappresenterebbe una beffa che nessun territorio, ancor più se montano e per questo particolarmente delicato, potrebbe sopportare, peraltro a fronte della possibilità di mettere in pratica numerose alternative atte ad accrescere le disponibilità idriche territoriali: innanzi tutto migliorando lo stato generale della rete idrica, considerando numerosi bacini più piccoli, diffusi e prossimi agli utilizzatori finali (il cosiddetto “Piano laghetti”), oppure realizzando le “aree di infiltrazione forestali” che alimenterebbero le falde ipogee, a loro volta in sofferenza da tempo. Tutte quante soluzioni che appaiono obiettivamente più idonee, efficaci e meno impattanti della prevista diga in Vanoi.