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Può Las Vegas essere un esempio per le montagne italiane? A quanto pare sì

Un accostamento che a un primo sguardo può sembrare decisamente azzardato, ma a ben guardare delle connessioni ci sono: la "città del peccato" nei decenni ha sviluppato una sua monocoltura economica incentrata sul gioco d'azzardo che tuttavia sta iniziando a mostrare qualche crepa. Pertanto ha avviato una diversificazione della proposta

di
Luca Andreazza
21 January | 18:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Può Las Vegas essere un esempio per le montagne italiane? Un accostamento che a un primo sguardo può sembrare decisamente azzardato, ma a ben guardare delle connessioni ci sono: si può passare dal deserto del Mojave in Nevada alle piste da sci. La "città del peccato" nei decenni ha infatti sviluppato una sua monocoltura che tuttavia sta iniziando a mostrare qualche crepa. Pertanto ha avviato una diversificazione della proposta per rispondere a una serie di difficoltà che stavano prendendo forma in modo concreto. Non è sempre stato oro ciò che luccica.

 

Simbolo di una vita sfrenata, protagonista in numerosi film e romanzi, l'economia di Las Vegas è fortemente imperniata sul gioco d'azzardo e sull'intrattenimento. Ma lontano da sale, palchi e riflettori si è arrivati a ragionare sul futuro. Luci, eccesso e sfarzo sono ancora un aspetto caratterizzante, ciononostante la realtà americana è molto più complessa.

 

Fondata agli inizi del Novecento, Las Vegas ha beneficiato dell'unico Stato senza sostanziali limitazioni e divieti sul gioco d'azzardo. Di conseguenza aveva il monopolio specifico sul settore. E' diventata così una destinazione molto attraente: il giro d'affari ha creato un indotto enorme e la popolazione è quadruplicata, anche grazie a numerose persone in cerca di un'opportunità. 

 

Las Vegas, specialmente negli ultimi decenni, ha tuttavia dovuto affrontare una lunga serie di problemi strettamente collegati alle sue principali caratteristiche. La crisi del 2008, per esempio, ha seriamente compromesso il modello economico incentrato sul gioco d’azzardo. Un problema non indifferente essendo risicate le alternative lavorative a disposizione.

 

Nel 2018 è stata cancellata la legge che vietava le scommesse sportive fuori dal Nevada. Inoltre, nel corso degli ultimi anni, si sono affermate le piattaforme online e si è sviluppata una sensibilità diversa rispetto al gioco d'azzardo. Ma il tramonto del periodo d'oro del betting non ha colto impreparata la "città del peccato".

 

Innanzitutto si è puntato sullo sport, tantissimo sport. Fino a sei anni fa Las Vegas non aveva una sola squadra nei quattro maggiori campionati nordamericani (football, basket, baseball, hockey). Ora ci sono due squadre professionistiche maschili: i Vegas Golden Knights (che hanno vinto la Stanley Cup, il titolo della National Hockey League) e i Las Vegas Raiders nel Nfl. La città ha ospitato il Super Bowl.

 

C'è anche una squadra femminile: le Aces che hanno vinto due titoli della Wnba (la Nba femminile). Dopo le parentesi del 1981 e 1982, la Formula 1 è tornata sulla Strip dalla stagione 2023. A questo si aggiunge il settore delle fiere e dei congressi.

 

Il banco vince sempre, quindi, ma la monocoltura non paga.

 

Un'altra monocultura, a noi più vicina, è quella dello sci. Un'industria che si confronta con la crisi climatica e un altro inverno complesso a livello di precipitazioni. A fronte di investimenti, tecniche più raffinate e capacità di ottimizzare i processi ma anche di sfruttare meglio le finestre ideale per sparare, la scarsità di neve (e di freddo) innesca l'aumento dei costi di energia e acqua.

 

Non si può (e non avrebbe senso) rinunciare tout-court alle destinazioni sciistiche. Una pista da sci significa qualcosa di più per una comunità ma una transizione va valutata e ogni località è chiamata a muoversi per trovare una vocazione e un modello adatto alle proprie caratteristiche perché la cornice può anche essere unica ma le montagne sono poi diverse e complesse.

 

Certo, si rafforza il turismo estivo e si provano ad allungare le stagionalità per far vivere la montagna tutto l'anno. Si cerca, più o meno convintamente, di diversificare l'offerta tra ciaspole, scialpinismo e così via. Segmenti di mercato che poggiano sulla neve, una risorsa scarsa per le piste, ancora di più per le iniziative collaterali.

 

Il sistema reggerà (in alcune zone più faticosamente di altre), almeno fino a quando, da un punto di vista economico, i conti continueranno a tornare e fintantoché ci sarà la disponibilità a sciare su lingue di neve disegnate in paesaggi brulli: un'analisi di Banca d'Italia, per esempio, ha evidenziato che non c'è una correlazione tra neve artificiale e flussi turistici.

 

Le alternative sono possibili e devono essere individuate a partire da alcune importanti domande: come strutturare un (nuovo) inverno? Qual è il limite per lo sviluppo turistico? Che immagine di montagna vogliamo trasmettere?

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