Piccoli sciatori oggi, grandi clienti domani. L’industria dello sci e la filosofia “anti-montana” che governa i comprensori sciistici contemporanei
Perché avvicinare i giovani alle montagne attraverso la pratica degli sport invernali e in particolare dello sci? Per educarli alla frequentazione responsabile e consapevole delle terre alte o per renderli futuri clienti e consumatori di un business turistico che considera le montagne alla stregua di centri commerciali. E nel caso non ci si adegui, si rischia di perdere la qualifica di "montanari". Succede in Valle d’Aosta (ma non solo lì)
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Nelle dichiarazioni rilasciate al quotidiano “La Stampa” lo scorso dicembre dall’amministratore delegato di Monterosa Ski Giorgio Munari – proferite allora ma “valide” da tempo, riassunte nell’immagine sottostante - si intuisce bene il pensiero alla base di molta dell’industria dello sci contemporanea: non bisognare praticare un’attività sportiva montana per elaborare e sviluppare la relazione con le montagne e i loro territori, con tutto il portato educativo e culturale conseguente, ma perché da grandi si possa diventare i clienti di quell’industria sciistica. E se alcuni diventeranno clienti, ovviamente altri troveranno lavoro per servire quei clienti, così entrambi favoriranno gli interessi dei gestori dei comprensori sciistici.
Una logica che non fa una piega, anche perché perfettamente mutuata dalle dinamiche industriali che governano il mercato, le grandi realtà commerciali, i meccanismi del consumismo globale: tanti vengono pagati per produrre qualcosa, tanti altri pagano per consumare quella cosa, pochi incassano e guadagnano. Peccato che qui si stia parlando di montagne, non di centri commerciali. Ma, con tutta evidenza, l’industria dello sci contemporanea considera le montagne esattamente come dei centri commerciali in altura, i cui frequentatori sono clienti o dipendenti, con i secondi che producono per i primi che consumano e con i territori montani che fanno da mero involucro funzionale al business. Nessuna promozione culturale dell’andare in montagna, nessun accento sui molteplici valori che dona la sua frequentazione, anche solo nel contatto con l’ambiente naturale - seppur spesso eccessivamente “meccanizzato”. Niente di tutto ciò: l’importante è vendere e/o acquistare uno skipass. La montagna è tutta dentro questo assunto.
Ma non è finita qui. Nello stesso contesto, il presidente dell'Avif - Associazione Valdostana Impianti a Fune Ferruccio Fournier ha, se possibile, rincarato ancor di più la dose, affermando: «Che siamo un paese di montagna non c’è dubbio. Sul fatto che siamo dei montanari ho qualche dubbio». Ciò in quanto i sistemi informatici dei comprensori sciistici permettono di conoscere la provenienza di chi utilizza gli impianti e, in tal modo, si rileva che in media solo il 10% dei valdostani scia, in alcuni comuni non si va oltre il 6-7%. «Frequentare la montagna vuol dire anche conoscere il territorio, vuol dire essere una autentica comunità di montagna» - ha precisato Fournier. Dunque, in soldoni: ci si può considerare “montanari” non perché si è abitanti delle montagne e parte variamente attiva delle loro comunità ma se si acquistano skipass e si utilizzano impianti e piste da sci – cioè se si diventa clienti delle aziende che gestiscono i comprensori, vedi sopra - altrimenti sorgono dubbi che ci si possa definire tali.
Obiettivamente, al netto delle posizioni di parte, dichiarazioni del genere, e la visione di fondo che vi si intuisce, appaiono quanto mai sconcertanti. Non appaiono giustificabili nemmeno sotto l’aspetto meramente imprenditoriale: perché in questo caso le aziende e gli “imprenditori” in questione non gestiscono un mero impianto industriale con dentro dei macchinari e i dipendenti che ci lavorano al fine di produrre beni per i clienti che poi li acquistano, ma hanno tra le mani – indebitamente, per molti aspetti – le montagne e le loro comunità con tutto quello le caratterizza dal punto di vista storico, economico, sociale, culturale, antropologico, ecologico, ambientale. Montagne che una congiuntura socioeconomica di lungo periodo ha reso nel bene e nel male dipendenti dal comparto turistico dello sci. Circostanza peraltro palesata e vantata dalle parole di Munari e di Fournier: l’intera dimensione montana, anche quella non infrastrutturata per lo sci, diventa funzionale agli interessi dell’industria sciistica che si auto elegge predominante al punto da esigere che nei suoi riguardi non si possa essere che produttori oppure consumatori, e da tacciare di non montanità quelli che non si assoggettano a tale “regola”.
Anche il contesto dal quale sono giunte le parole dell’amministratore delegato di Monterosa Ski e del presidente di Avif è significativo: si tratta di “Sci…volare a scuola”, il progetto regionale nato per promuovere lo sci tra i giovani studenti valdostani. Iniziativa virtuosa, all’apparenza, anche al netto di quanto sopra rimarcato. Tuttavia al riguardo Marcello Dondeynaz, componente della Commissione Interregionale Tam (Tutela Ambiente Montano) Liguria–Piemonte–Valle d’Aosta del Cai e pioniere della sostenibilità e dell’accoglienza alpina valdostane, ha commentato: «Dell’iniziativa regionale “Sci...volare a scuola” mi ha subito colpito l’enfasi sul solo sci da discesa, senza alcun cenno agli sport di montagna nel loro complesso (sci escursionismo, ciaspole, arrampicata, alpinismo) e ad un approccio consapevole alla montagna (conoscenza della neve, meteorologia, sicurezza, orientamento, alimentazione, eccetera). E ancor più l’esclusione della promozione di tutti gli altri sport (dall’atletica al ciclismo, al tennis...) Ora le dichiarazioni dell’amministratore delegato della società Monterosa Ski fanno chiarezza: a noi importa che i ragazzi diventino clienti (consumatori) e al limite dipendenti, dato che ne abbiamo bisogno. Dichiarazioni rabbrividenti ma almeno chiare. Altro che sport che rafforza relazioni sociali, che educa allo sforzo e alla fatica, che favorisce divertimento e amore per la montagna. Ragazzi e ragazze che diventano semplici numeri, a cui vendere domani uno skipass per accrescere la percentuale dei consumatori di impianti di risalita. È la logica mercantile, del business, dove l’umanità e la ricchezza spirituale spariscono.»
Ormai da tempo e da più fonti autorevoli si sostiene che, nella realtà presente e futura nella quale si trovano le nostre montagne, i comprensori sciistici in attività, per continuare a esserlo, debbano garantire e certificare la loro sostenibilità economica, ecologica e ambientale. Tuttavia, la visione delle montagne che si può rilevare da dichiarazioni come quelle citate fa ritenere che sia necessario certificare anche la sostenibilità culturale del loro operato. Le montagne si trovano loro malgrado a dover affrontare una situazione sempre più critica dal punto di vista climatico, con tutto ciò che ne consegue a sfavore dei territori e dei loro abitanti; non è ammissibile che debbano essere soggetto di una concezione così utilitaristica e degradante, di matrice prettamente consumistica, elevata a “filosofia” della gestione imprenditoriale e commerciale del loro territorio. Non è soltanto una questione morale, ma innanzitutto culturale e di conseguenza politica, di coscienza e responsabilità civica, di doveri, incombenze e all’opposto di negligenze nei riguardi delle montagne e del loro futuro.
Forse si potrebbe ritenere che, con quelle parole proferite pubblicamente, l’amministratore delegato di Monterosa Ski e il presidente di Avif credessero di dire qualcosa di “virtuoso” a favore delle montagne e dei loro abitanti, senza rendersi conto invece di quale manifestazione di sorprendente cinismo abbiano palesato. Di conseguenza forse non è un caso (lo si intenda eufemisticamente) che la Monterosa Ski sia tra i “mandatari” – col supporto della Regione Valle d’Aosta - del devastante progetto funiviario nel Vallone delle Cime Bianche del quale anche “L’AltraMontagna” si è occupato più volte, la più recente qui: un progetto che distruggerebbe uno degli ultimi valloni poco o nulla antropizzati della Valle d’Aosta ma che, in effetti risulta del tutto compatibile con la visione industrial-consumistica proferita da Munari e Fournier.
Per concludere: se è questa la visione che ai piedi del Monte Rosa e in generale che alcuni soggetti istituzionali formulano, delle montagne valdostane e della loro frequentazione, c’è da temere che il futuro per esse risulterà inesorabilmente scuro. E non solo perché non nevica più come una volta. D’altro canto c’è da augurarsi che tale visione così sconcertante sia soltanto la manifestazione di un atteggiamento destinato molto presto a dover fare i conti con la realtà dei fatti e con la propria stessa insostenibilità culturale, prendendo finalmente coscienza della necessità di un cambio di pensiero profondo e vantaggioso per tutti, comprensori sciistici compresi.