Quanto sono cambiati gli inverni sugli Appennini e che ne sarà della neve? L'esperto Tuccella: ''L'innevamento sempre più di stampo primaverile''
Intervista al professore associato del dipartimento di scienze fisiche e chimiche dell'Università dell'Aquila e del Cetemps (Centro di Eccellenza in Telerilevamento E Modellistica Previsionale di eventi Severi), che effettua ciclicamente delle rilevazioni per quanto riguarda la neve e le sue condizioni sull'Appennino: ''Se le temperature continueranno ad aumentare e soprattutto non si centreranno gli obiettivi di riduzione delle emissioni dei gas serra volti a stabilizzare la temperatura del globo, dobbiamo aspettarci un ulteriore aggravamento''
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di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Sono in molti a chiedersi come sono cambiati nel corso degli ultimi decenni gli inverni sull'Appennino e cosa si sta verificando a livello globale. La stagione fredda non sembra più essere la stessa, e spesso proprio nei mesi clou dell’inverno si registrano valori di temperatura davvero anomali.
Per esempio il mese di gennaio è risultato assai particolare, chiudendo nel suo complessivo come uno tra i più caldi mai registrati sulla nostra Penisola secondo i dati del Cnr (Consiglio Nazionale delle Ricerche). Per approfondire questo argomento abbiamo contattato Paolo Tuccella, professore associato del dipartimento di scienze fisiche e chimiche dell'Università dell'Aquila e del Cetemps (Centro di Eccellenza in Telerilevamento E Modellistica Previsionale di eventi Severi), che effettua ciclicamente delle rilevazioni per quanto riguarda la neve e le sue condizioni sull'Appennino.
Tuccella, può spiegarci come sono cambiati gli inverni negli ultimi 50/60 anni sull'Appennino?
Se andiamo a vedere cosa è cambiato a livello di circolazione sul Mediterraneo, nel trimestre invernale rispetto a quanto invece accadeva 50/60 anni fa, oggi ci accorgiamo che abbiamo un campo di pressione più robusto dovuto ad una maggiore invasione dell’anticiclone africano anche nei mesi invernali. Un campo di pressione più robusto fa da scudo alle perturbazioni fredde provenienti da Nord. Di conseguenza, rispetto sempre a 60 anni fa, si è abbassata la probabilità di avere delle intrusioni di aria fredda legata ai sistemi perturbati nel Mediterraneo. Un altro fattore da tenere in considerazione è il cambiamento di temperatura su scala emisferica. Per esempio, se andiamo a vedere come è variata la temperatura nell’arco temporale che abbiamo preso come riferimento, ci accorgiamo che in sede artica la temperatura è aumentata ad un rateo due volte superiore alla media globale.
Cosa significa questo?
Significa che le masse d’aria che d’inverno dovrebbero giungere alle medie latitudini partono già con una temperatura più alta e quindi sono mediamente più calde.
Che tipo di incisività ha avuto tutto questo sugli inverni alle medie latitudini e sull'estensione della copertura nevosa sull'Appennino?
Partiamo dal presupposto che non è facilissimo dirlo, perché ci sono pochi studi e i dati nivometrici del passato non è facile reperirli , ma proprio poche settimane fa è stato pubblicato uno studio da parte dell'Università di Napoli che ha analizzato il comportamento della durata della copertura nevosa nell’Appennino centro meridionale e dei giorni con precipitazione solida. Il gruppo di ricerca ha riscontrato che già nel periodo climatico che va dal 1951 al 2001 sulle stazioni al di sopra dei 1000 metri sul livello del mare, si era manifestata una riduzione significativa sia nel numero dei giorni con copertura nevosa che della precipitazione solida. Si parla di circa 3.2 giorni di riduzione di copertura nevosa ogni 10 anni, mentre per quel che riguarda i giorni con nevicate è stata stimata una riduzione di 1.6 giorni con precipitazione solida ogni 10 anni.
Qual è l'andamento dell'inverno 24/25 fino ad ora?
In base ai dati divulgati dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, a dicembre abbiamo riscontrato una anomalia complessiva in Italia di +0.55°C superiori alla media 1991/2020. Va specificato che questo periodo a cui si fa riferimento è già di per se un trentennio piuttosto mite, quindi se andiamo a comparare il dato con gli inverni di 50 anni fa questa anomalia è ancor più elevata. Gennaio 2025 ha avuto una anomalia media a livello italiano di +1.76°C (trentennio 1991/2020), ed è stato il 3° più caldo dal 1880 ad oggi. Di conseguenza è bene aspettarsi un importante impatto di queste anomalie sulla condizione dell’innevamento dell’Appennino. La Fondazione Cima ha stimato su tutto l’Appennino una copertura nevosa del -94% per le quote comprese tra gli 800 e i 1500 metri, del -78% alle quote al di sopra dei 1500 metri fino a 2500 metri, mentre si riscontra un +32% alle quote più elevate. Naturalmente non mancano localmente delle situazioni in cui l’innevamento è molto abbondante, per esempio sulla Majella ed in particolare nella zona di Mammarosa e Passo Lanciano abbiamo uno spessore del manto nevoso confrontabile con le annate migliori degli ultimi 10 anni all’incirca. Ma si tratta di episodi locali.
Come siamo arrivati ad avere questa situazione?
Perché con queste temperature così elevate quando ha nevicato alle quote medio-basse, la neve si è fusa subito. E ancora, a causa delle temperature alte le precipitazioni associate ai sistemi perturbati che sono entrati nel Mediterraneo sono state liquide fino a quote relativamente elevate.
Quale genere di neve troviamo oggi sull'Appennino?
Premetto che le analisi stratigrafiche del manto nevoso le facciamo soltanto da 4 anni, per cui ci riferiamo soltanto ad un periodo limitato di tempo che ci impedisce di confrontare nel dettaglio la situazione attuale rispetto a quella, ad esempio, di 10 anni fa. Però da quello che notiamo dalle nostre analisi, è che il manto nevoso nei nostri osservatori posti in località Pietrattina (1500 metri, estremità orientale di Campo Imperatore) e a Campo Felice (1800 metri) ha caratteristiche invernali (in termini di gradienti termici e di conseguenza di cristalli) per periodi limitati. Mi spiego meglio. Anche subito dopo le nevicate, le caratteristiche del manto nevoso assumono i connotati tipici della stagione primaverile. Questo avviene perché quasi sempre abbiamo un rialzo importante delle temperature, spesso associato a precipitazioni liquide che si depositano sul manto nevoso. Questi due elementi innescano il metamorfismo della neve bagnata tipico della primavera.
Un'ultima domanda, se questo è l'andamento quale sarà il futuro dell'inverno nei prossimi anni?
Attualmente, l'anomalia di temperatura a livello globale è +1.5°C rispetto al periodo preindustriale. Le conseguenze di questo aumento le abbiamo illustrate ora. Se le temperature continueranno ad aumentare e soprattutto non si centreranno gli obiettivi di riduzione delle emissioni dei gas serra volti a stabilizzare la temperatura del globo, dobbiamo aspettarci un aggravamento di queste situazione, con un ulteriore diminuzione delle nevicate, le quali saranno relegate a quote sempre più elevata, unitamente ad un'ulteriore diminuzione dei giorni con neve al suolo.