Sostanze radioattive rilasciate dalla fusione dei ghiacciai: "Sono inquinanti che abbiamo immesso in atmosfera nei secoli"
I ghiacciai non sono solamente archivi che ci permettono di ricostruire la storia del pianeta tramite una serie di "fotografie" della composizione chimica dell'atmosfera, ma anche fonte secondaria di contaminanti atmosferici. Uno studio appena pubblicato ha approfondito il destino delle sostanze radioattive rilasciate durante i processi di fusione in ghiacciai artici
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
“I ghiacciai sono degli archivi non soltanto delle sostanze atmosferiche naturali ma anche di tutti gli inquinanti che abbiamo immesso nell’atmosfera nel tempo” racconta Giovanni Baccolo, glaciologo, ricercatore dell’Università di Roma Tre e membro del Comitato Scientifico de L’AltraMontagna.
In seguito al riscaldamento climatico, i ghiacciai stanno diventando una fonte di contaminanti atmosferici originariamente rilasciati nel passato in atmosfera. Questo fenomeno è stato ben documentato per i ghiacciai vicini alle fonti di emissione, come i ghiacciai alpini, ma è meno noto e analizzato per quelli situati ai poli.
Uno studio pubblicato da poco, co-realizzato da Baccolo, ha approfondito la capacità della crioconite, quel sedimento scuro che si accumula sulla superficie dei ghiacciai, di accumulare radioattività in aree remote.
“Questo tipo di studio nasce dal fatto che i ghiacciai ormai da decenni sono identificati come archivi di informazioni climatiche, soprattutto legate ai processi atmosferici - spiega Baccolo - questo perché essenzialmente sono dei giganteschi concentrati di sostanza di origine atmosferica, quindi tutto quello che è presente in atmosfera in qualche modo arriva anche ai ghiacciai”.
Conseguentemente, come spiega l’esperto, se per decenni questo fatto è stato sfruttato per ricostruire il clima e i parametri ambientali del passato, attraverso i carotaggi, negli ultimi anni “ci si è resi conto che lo stesso procedimento poteva essere utilizzato per studiare la presenza di sostanze di origine antropica, perché tutto quello che noi immettiamo in atmosfera, prima o poi, in modo più o meno efficiente raggiunge anche i ghiacciai”.
Studiare la presenza e la concentrazione di sostanze di origine antropica nei ghiacciai può avere diverse finalità. Ad esempio, si può studiare la radioattività di uno strato per fini cronologici, per “assegnare una data precisa a un certo strato presente all'interno del ghiaccio”, essendo a conoscenza della localizzazione temporale di eventi e fenomeni che hanno determinato l’emissione in atmosfera di materiale radioattivo. La finalità può anche essere proprio lo studio degli inquinanti: come sono distribuiti, come, dopo essere stati emessi in grandi centri industriali, vengano trasportati fino a disperdersi in zone remote dove sono presenti i ghiacciai.
“Nel tempo abbiamo imparato molto del clima e delle attività antropiche del passato grazie ai ghiacciai, ma ultimamente c'è stato un cambio di paradigma: con il cambiamento climatico i tassi di fusione sono molto più alti e quindi i ghiacciai stanno fondendo molto più rapidamente, rilasciando non solo l'acqua di cui sono costituiti ma anche tutte le impurità che si sono depositate al suo interno nei secoli e decenni”.
“Questo è un filone di ricerca estremamente d'avanguardia, ancora relativamente poco battuto - spiega il glaciologo - e in cui il nostro studio si inserisce”. Nei contesti alpini, ci sono alcuni studi, mentre in contesti polari questa dinamica di rilascio ancora quasi del tutto sconosciuta.
“In particolare, abbiamo studiato le proprietà radioattive della crioconite - spiega Baccolo -. La superficie dei ghiacciai, quando inizia a fondere, si ricopre in parte di questo sedimento scuro che si chiama crioconite, una fanghiglia nerastra che si trova spesso sul fondo di piccole pozzette scavate nel ghiaccio e riempite di acqua di fusione”.
La crioconite è composta da una parte organica e una inorganica (quest’ultima preponderante), e sulle Alpi, si è scoperta essere estremamente radioattiva: “Si trattava sempre di una radioattività di origine atmosferica, dovuta all’accumulo di radionuclidi di origine naturale. Questi sono dei contaminanti che possono essere mobilitati attraverso la fusione del ghiaccio e si accumulano proprio nel materiale crioconico sulla superficie dei ghiacciai”.
E se sui ghiacciai alpini, negli anni, sono stati fatti tanti studi per capire i meccanismi dietro questo fenomeno, l’obiettivo dello studio appena pubblicato, era invece quello di capire cosa succedesse in zone estremamente remote.
Per questo motivo i ricercatori si sono recati in Groenlandia, una zona “dove il glacialismo è estremamente sviluppato, ci sono calotte gigantesche, ma pochissimi dati, e nessuno era mai andato a misurare la radioattività ambientale”.
Baccolo racconta: “E’ stata una missione molto avventurosa, perché eravamo in due, ci siamo appoggiati a una base militare di ricerca danese, che è uno degli insediamenti abitati stabilmente più settentrionali del pianeta, e da lì ci siamo mossi verso una grande calotta glaciale, in completa autonomia. Siamo stati via per una settimana, camminando tantissimo in questi paesaggi incredibili, completamente privi di vegetazione e di traccia umana, e abbiamo raggiunto il ghiacciaio, raccolto una cinquantina di campioni di crioconite, e poi li abbiamo misurati con diverse tecniche per misurare la radioattività”. Il risultato? “Abbiamo trovato dei livelli di radioattività molto alti, non come quelli alpini, ma tra i più alti riportati nell'intera zona artica”.
Lo studio ha quindi confermato che la crioconite, questo sedimento sopraglaciale, è estremamente efficiente nell'accumulare radioattività, e che i contaminanti non sono rimobilizzati solamente nei ghiacciai alpini, ma questi fenomeni stanno anche avvenendo anche nelle grandi calotte polari artiche.
Essenzialmente, una volta che le sostanze radioattive lasciano il ghiacciaio, la crioconite le assorbe in modo molto efficiente: “Ora rimane da capire quale sia il destino della crioconite una volta lasciato il ghiacciaio insieme all’acqua di fusione”.