"Sono maestro di sci, ma ho deciso di rinunciare a sciare per il bene delle montagne". Alberto Marzocchi promuove la neve naturale: "Se non c'è, si fa altro"
Modelli economici in passato vincenti, oggi vacillano a causa del riscaldamento globale. Uno di questi è l’industria dello sci. Alberto Marzocchi, maestro di sci, spiega perché ha deciso di smettere gradualmente di sciare: "Il motivo è tanto semplice che mi sembra scontato dirlo: la crisi climatica. E se è vero che amo le montagne che mi hanno fatto crescere, non posso che impegnarmi per preservarle. O, quanto meno, per danneggiarle il meno possibile"
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Le trasformazioni climatiche, com’è ormai evidente anche a uno sguardo distratto, stanno mettendo in discussione quelli che fino a pochi anni fa erano considerati degli appigli sicuri, delle certezze. E così, modelli economici in passato vincenti, oggi vacillano a causa del riscaldamento globale. Uno di questi è l’industria dello sci, ormai legata a doppio filo con la produzione artificiale della neve e con i suoi costi economici ed ecologici. Una dipendenza causata da inverni sempre più brevi e da una quota neve ogni anno più alta: sulle montagne medio-basse le precipitazioni liquide, durante la stagione fredda, stanno gradualmente superando i contributi nevosi.
Se il problema è quindi chiaro a tutti - anche a chi si ostina a investire ancora enormi capitali per espandere questo settore - non è semplice individuare delle soluzioni; non è facile strutturare dei modelli turistici alternativi, più vicini alle peculiarità climatiche del presente. Anche perché le istituzioni, mentre continuano a iniettare milioni e milioni nell'industria sciistica, non premiano il turismo dolce.
Un sostegno iniquo, quindi, che il rapporto "Nevediversa 2024" di Legambiente evidenzia con chiarezza. A livello nazionale, se per pratiche di ammodernamento degli impianti di risalita e degli impianti per l’innevamento artificiale sono stati destinati dal Ministero del Turismo 148 milioni di euro nella stagione che avvia a concludersi, per la promozione dell’eco-turismo invece ne sono stati stanziati solo 4.
Conseguenza diretta, quindi, è l'urgenza di individuare esempi di buone pratiche da cui lasciarsi ispirare, da supportare economicamente e da replicare adattandole alle singolarità territoriali.
In questo contesto opaco, si inseriscono traiettorie minute, personali, che evidenziano ulteriormente gli sviluppi ambientali e culturali che stiamo attraversando. E così vale la pena riprendere le riflessioni di Alberto Marzocchi, maestro di sci e giornalista del Fatto Quotidiano.
“La stagione invernale è finita e per la prima volta nella vita da quando ho messo gli sci ai piedi - cioè a cinque anni - non sono andato a sciare”, spiega Marzocchi a L’AltraMontagna.
Marzocchi è nato e cresciuto a Piazzatorre, un paese dell’alta Val Brembana in provincia di Bergamo, dove ha imparato a sciare.
“Ho iniziato ad andare allo sci club a otto anni – racconta Marzocchi – e ho fatto agonismo fino a diciassette, con scarsi risultati. Infatti sono diventato maestro abbastanza presto, a ventun anni. I più forti continuano a fare gare e diventano maestri di sci più tardi. Quindi a ventun anni, sono diventato maestro di sci e ho insegnato per sette/otto stagioni fino al 2018, quando ho smesso perché col lavoro al giornale non riuscivo più. Però ho continuato a sciare per il semplice gusto di farlo e a insegnare, ovviamente senza compenso, agli amici”.
“Questo, come dicevo, è il primo anno in cui non ho non ho messo gli sci – prosegue –. È vero, a gennaio ho avuto un piccolo infortunio, ma da tempo in me è nata una nuova consapevolezza. Ed è una consapevolezza che mi è costata (e mi costa) fatica, frutto di un percorso che si è scontrato, inevitabilmente, con l'educazione che ho ricevuto, le mie credenze, abitudini; in definitiva, la mia natura. Perché mette in discussione alcuni comportamenti consolidati. Nel caso specifico, sciare ed essere (anche se non insegno da qualche anno) maestro di sci. Ma da qui in avanti è necessario un cambiamento. Allo sci alpino affiancherò, come ho già iniziato a fare, i trekking, le ciaspole, lo sci alpinismo, con la prospettiva - gradualmente - di abbandonarlo del tutto. Da qui in avanti, sci solo su neve naturale. E se non c'è, si fa altro. Il motivo è tanto semplice che mi sembra scontato dirlo: la crisi climatica. E se è vero che amo le montagne che mi hanno fatto crescere, non posso che impegnarmi per preservarle. O, quanto meno, per danneggiarle il meno possibile”.
“Che poi – continua – questa nuova consapevolezza è frutto di un percorso che in certo senso coinvolge la moralità del singolo individuo. Come sono arrivato a questa conclusione sullo sci, ho per esempio smesso di mangiare carne per l'impatto ecologico degli allevamenti. È quindi un percorso che volendo si può estendere a 100.000 cose. Naturalmente poi ciascuno fa un po’ quello che riesce secondo le proprie necessità, i propri bisogni e le proprie preferenze”.
In montagna le trasformazioni ambientali spesso si manifestano in modo più evidente e chi viene dalla montagna ha un punto di vista forse “privilegiato” per cogliere tali cambiamenti: “Abbandonare gradualmente lo sci alpino - spiega Marzocchi - è per me diventato un obbligo in linea con le mutate regole della moralità che mi sono dato. Scio solo se c’è neve naturale, perché sciare sulle strisce di neve in mezzo a paesaggi brulli è una cosa che ti spezza il cuore dal punto di vista estetico, ma anche etico ed emotivo. Viene da chiedersi: ma cosa sto facendo? Quest’anno ho imparato a vivere l’inverno e la montagna in forma diversa. Come dicevo con trekking, ciaspole, e sci alpinismo. E ho scoperto che raggiungere una vetta d’inverno, con le proprie forze, può dare una gratificazione immensa”.
“È ovvio – conclude – che domani non puoi dire a un maestro di sci o a chi ha un hotel o ristorante: 'Si chiude tutto, non può funzionare così'. Non è neanche giusto. Però, rispetto a quando sono diventato maestro di sci io ormai 15 anni fa, mi piacerebbe che chi lo sta diventando oggi capisse che non c'è solo quello. Va bene diventare un maestro di sci, ma serve una visione un po’ più critica e ampia, capace di includere altri modi di lavorare con la montagna. Anche perché un modello socio-economico imperniato sullo sci è sempre più fragile e dovrebbe quindi essere gradualmente affiancato da un nuovo modo di intendere la montagna, più vicino alle caratteristiche ambientali del presente”.
Eppure oggi, nonostante nevichi sempre meno, le montagne si continuano a riempire di nuovi e costosi impianti da sci, di nuovo acciaio, di nuovo cemento, di nuovi cannoni sparaneve, di nuove disco-baite pensate per gli Après-ski, di nuove piste di bob. Milioni e milioni di euro, spesso pubblici, investiti per tenere in vita un settore che sta camminando sempre più rapido verso il tramonto.
“Questa forza di inerzia – scrive Marco Albino Ferrari in Assalto alle Alpi – si basa su un argomento potentissimo: ‘Si è sempre fatto così’”.
“La forza del cambiamento - prosegue - deve essere supportata da nuovi argomenti, il decisore deve persuadere, deve indicare un'alternativa. Cambiare significa decidere di adattarsi, avere una visione morbida, includente la novità; al contrario rimanere se stessi significa rimandare la decisione, significa essere resilienti (parola di gran moda, ma che tradisce il senso stesso per cui viene usata). Ed è esattamente questo uno dei drammi che stiamo vivendo sulle Alpi: non si ha la forza di decidere, di assumersi la responsabilità indicando l'alternativa a un'economia alpina basata in inverno quasi su una sola voce: lo sci di pista. La stazione è in crisi?, Allora continuiamo con l'accanimento terapeutico”.