Lavoro bestiale e mondi rurali: torna la scuola di Fornara per alimentare conoscenza e riflessioni collettive nell’Appennino centrale
L’Appennino in mutazione ha bisogno di strumenti che possano offrire chiavi di lettura e prospettive radicali di cambiamento per contrastare la speculazione e lo sfruttamento di territori considerati al margine, vuoti e senza possibili futuri. Da questo bisogno nasce la Scuola di Fornara, un’esperienza di formazione critica sui temi della montagna e delle aree interne, che avrà luogo tra il 4 e l’8 settembre a Fornara di Acquasanta Terme (AP), una piccola frazione lungo la via Salaria, alle porte del Parco Nazionale dei Monti del Gran Sasso - Laga
A cura di Francesca Sabatini e Annalisa Spalazzi
Boschi, agroecologia, bioedilizia, infrastrutturazione post-emergenza e lavoro bestiale nei mondi rurali. L’Appennino in mutazione ha bisogno di strumenti che possano offrire chiavi di lettura e prospettive radicali di cambiamento per contrastare la speculazione e lo sfruttamento di territori considerati al margine, vuoti e senza possibili futuri. Strumenti che possono arrivare dall’incontro tra la ricerca critica e chi realizza pratiche sui territori. Da questo bisogno nasce la Scuola di Fornara, un’esperienza di formazione critica sui temi della montagna e delle aree interne, nata all’interno del percorso di ricerca indipendente sul post-terremoto dell’Appennino centrale (2016-2017) del gruppo di ricerca Emidio di Treviri. Quest’anno, la Scuola avrà luogo tra il 4 e l’8 settembre a Fornara di Acquasanta Terme (AP), una piccola frazione lungo la via Salaria, alle porte del Parco Nazionale dei Monti del Gran Sasso - Laga.
Nata nel 2017, ogni anno la Scuola di Fornara propone seminari, workshop e laboratori sulle questioni delle terre alte in prospettiva ecologica. Muovendo dalle modalità dell’autogestione, la Scuola è uno spazio di incontro tra conoscenza accademica e conoscenze implicate nella trasformazione sociale, mettendo in contatto studiosi, ricercatrici, militanti e operatori di vari settori, con i processi e le vertenze che si sviluppano sui territori.
Da un lato, la Scuola coinvolge studiose delle discipline interessate all’ecologia e l’ambientalismo scientifico, a partire da (e non limitato a) studi sociali, antropologici, economici, geografici, agro-forestali e politici con approccio critico rispetto ai temi dello sviluppo territoriale. Dall’altro, la Scuola coinvolge attori del territorio piceno coinvolto dal sisma del 2016-2017, scelto dal collettivo Emidio di Treviri come punto di osservazione per indagare le dinamiche di sviluppo e di organizzazione delle terre alte.
Come emerge dalle ricerche e dalle iniziative di Emidio di Treviri, il cratere appenninico è un’area marginale a vocazione prevalentemente rurale in cui la condizione del post-disastro impone di riflettere sulle relazioni tra presenza antropica e paesaggio: tra gli esseri umani e i sistemi ecologici in cui si sono (co)evoluti. Partendo da questa premessa, ogni anno la Scuola ha indagato temi e prospettive specifiche e, quest’anno, riflette sulle relazioni tra lavoro animale e umano nei territori rurali marginali.
Nelle terre alte, nelle aree collinari e di montagna, dove le macchine agricole della rivoluzione fossile faticano ad adattarsi alle asperità del territorio, gli animali hanno conservato più a lungo una funzione di co-costruttori di paesaggi produttivi biodiversi. Tuttavia, a causa dello spopolamento e della crisi delle attività produttive - agricole e zootecniche - d’altura, boschi e pascoli subiscono sempre più spesso l’abbandono. Tra ritorno del selvatico e proliferazioni incontrollate, la montagna è il luogo in cui più acutamente emerge l’esigenza di un riflessione sugli intrecci tra lavoro umano e animale, e sulla necessità di elaborare un’etica ecologicamente informata delle relazioni interspecie, a partire dalla realtà dei territori e da un approccio ecologico-materialista e non solo etico-estetico del riabitare.
Nel passaggio dal regime metabolico solare a quello fossile-minerario, il rapporto con gli animali è profondamente mutato. Questa trasformazione è particolarmente evidente in agricoltura. La rivoluzione fossile ha condotto a pensare l’agricoltura unicamente in funzione della produzione alimentare e della massimizzazione del profitto. Ha condotto a separare coltivazione e allevamento, intensificando l’una come l’altra, all’interno di un paradigma produttivista insostenibile dal punto di vista della vita animale, della dignità del lavoro e del consumo di risorse.
Un tempo fonte di numerose risorse non alimentari (cuoio, lana, ossa, piume, grasso, calore, lavoro, letame..), gli animali sono oggi spesso il risultato della produzione industriale e consumatori di ingenti quantità di materie prime (acqua), prodotti agricoli (mais, soja, etc.) e medicinali, considerato il fiorente mercato dell’industria farmaceutica loro dedicata. I polli e le vacche, oggi più diffusi, hanno ben poco a che vedere, in termini di morfologia e genetica, con i polli e le vacche addomesticati in decine di secoli, fino a inizio Novecento. Negli ultimi decenni, infatti, il paradigma produttivista ha portato all’incremento degli allevamenti intensivi e alla finanziarizzazione dell’agricoltura e dell’allevamento, drogate dai fondi della Politica Agricola Comune che, in modo distorto e a volte mafioso, finiscono per alimentare meccanismi di accumulazione e profitto a favore dei grandi produttori, e a sfavore dei piccoli.
Parallelamente, l’abbandono delle attività agricole e zootecniche d’altura e il conseguente inselvatichimento di intere porzioni di territori, la (quasi) fine del pascolo estensivo, le politiche di ripopolamento di alcune specie e i regimi di tutela ambientale più vincolistici, hanno portato all’aumento della presenza di animali selvatici, generando conflitti e contraddizioni significative che vedono contrapporsi cacciatori, ambientalisti, allevatrici, agricoltori, istituzioni locali. In questa matassa intricata di visioni e interessi conflittuali, la presenza e il ruolo degli animali sono al centro di discorsi conservazionisti, produttivisti, finanziari, socioecologici etc.
Di fronte a questo quadro complesso, negli ultimi tempi si sono diffusi studi e iniziative che cercano di raccontare il lavoro bestiale da diverse prospettive: inchieste sugli allevamenti intensivi e sulla mafia nei pascoli, ricerche e documentari sulla pastorizia femminile, scuole di pastorizia, campagne a sostegno dell’allevamento estensivo, iniziative di promozione e patrimonializzazione della transumanza. Emerge, cioè, una rete di ricercatrici, documentaristi, attivisti e produttrici che ha l’obiettivo di sostenere nuovi e antichi modi di lavorare con gli animali, avendo consapevolezza e cura delle ecologie umane e ambientali. La Scuola 8 di Fornara si inserisce in questo contesto: da una parte per analizzare le relazioni tra il lavoro animale, il lavoro umano, i processi transcalari, le politiche multilivello e i sistemi ecologici; dall’altra, per sostenere la realizzazione di pratiche trasformative territorializzate.
L’organizzazione della Scuola è curata dal gruppo di ricerca Emidio di Treviri, con il supporto logistico e organizzativo di attiviste, abitanti e lavoratrici dell’Ecomuseo del Monte Ceresa, l’Associazione di Promozione Sociale “Ecologie del post-terremoto”, il progetto RISE-APP | Eco-progettazione e sviluppo montano (supportato da ActionAid Italia e Fondazione Realizza il Cambiamento nell’ambito del progetto “The CARE - Civil Actors for Rights and Empowerment” cofinanziato dall’Unione Europea) e la crew di produzione di contenuti media indipendente Nientedimeno - Media. La Scuola conta inoltre sul supporto di ARCI - Nazionale e Legambiente Lombardia, oltre che al patrocinio gratuito di Altronovecento - Fondazione Micheletti.
Per leggere la call della Scuola e candidarsi, si può rispondere al questionario a questo link: https://forms.gle/2j2t7uFaSGimhZTu5 entro il 31 luglio 2024. Per ulteriori informazioni, si può scrivere a emidioditreviri@gmail.org
Nota delle autrici: l’articolo riporta alcune riflessioni elaborate da Emidio di Treviri di cui ci facciamo portavoce come parte del collettivo e dell’organizzazione dell’ottava edizione della Scuola.
Annalisa Spalazzi. Nata in un piccolo paese dell’Appennino Centrale, per diversi anni ha lavorato nelle periferie del Sud e dell’Est Europa occupandosi di programmi di collaborazione e strategie per l’innovazione e cambiamenti climatici, per poi decidere di tornare ad abitare l’Appennino. Oggi dottoranda in geografia economica e scienze regionali al Gran Sasso Science Institute dell’Aquila, nella ricerca, ma anche come abitante e attivista, si occupa di supporto e divulgazione delle pratiche di gestione collettiva delle risorse primarie dell’Appennino, con particolare attenzione ai boschi e alla pastorizia e le forme di economia di comunità che (ri)emergono nelle montagne di mezzo.
Francesca Sabatini. Nata a Napoli e vissuta a Roma, negli ultimi anni sta ritrovando le sue origini appenniniche di Pescocostanzo, in Abruzzo: paese di famiglia, montagne e ritorni. È PhD in Geografia, ha fatto un post-doc all’Università degli Studi dell’Aquila e attualmente è assegnista all'Università del Piemonte Orientale per una ricerca sulle geografie contemporanee della transumanza, in Piemonte e in Abruzzo. Si occupa di aree interne, disastri, turismo, metodi creativi e questioni di genere in geografia. Ha pubblicato una monografia per Guerini, articoli scientifici e racconti per riviste culturali. Fa parte del collettivo Emidio di Treviri e dell'APE Smarginando.