Gli effetti del cambiamento climatico in area montana: un monitoraggio di Arpa Piemonte al Buco di Viso e lungo l'arco alpino
Il monitoraggio del permafrost fornisce un importante contributo alla comprensione dei cambiamenti climatici in area montana, dei rischi naturali in alta quota e sul ciclo idrologico delle terre alte. Grazie al progetto europeo Alpine Space PermaNET, Arpa Piemonte ha installato cinque stazioni distribuite in tutto l'arco alpino della regione: il pozzo di 100 metri al Colle Sommeiller mostra come nella roccia sia in atto un riscaldamento che in alcuni casi interessa anche le parti più profonde. Uno studio ancora in fase preliminare sta analizzando la temperatura della roccia all'interno del Buco di Viso
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
L’inverno 2024 in Piemonte è stato il più caldo registrato negli ultimi 70 anni. Lo dicono i dati diffusi recentemente da Arpa Piemonte, con una media regionale di 4,5°C, ovvero quasi +3°C in più rispetto alla norma del trentennio di riferimento 1991-2020. La mappa delle anomalie termiche invernali, inoltre, mette in luce come le zone montane e pedemontane facciano registrare “anomalie anche più calde rispetto alle zone pianeggianti, con punte di oltre +3.5°C in più rispetto alla norma”.
Il Dipartimento Rischi Naturali Ambientali di Arpa Piemonte si occupa anche degli effetti del cambiamento climatico in alta quota, grazie al lavoro ormai ultradecennale di monitoraggio di un elemento caratteristico dei territori di alta montagna: il permafrost. Tra i funzionari che ne fanno parte, c’è il geologo Luca Paro: “Innanzitutto, è bene spiegare che cos’è il permafrost, che molti confondono con il ghiaccio - spiega -. Tra le componenti della criosfera, la porzione della Terra in cui l’acqua si trova allo stato solido, è sicuramente l’elemento più difficile da osservare benché sia il più diffuso al mondo. Viene definito come terreno o roccia che presenta una temperatura minore o uguale a 0 °C per almeno due anni consecutivi, indipendentemente dalla presenza di ghiaccio”.
Lo studio e il monitoraggio del permafrost sono relativamente recenti e negli ultimi anni hanno avuto un forte impulso grazie all’attenzione crescente posta dalla comunità scientifica e dall’opinione pubblica ai cambiamenti climatici e agli effetti del riscaldamento globale nelle aree alto alpine. “Il monitoraggio del permafrost fornisce un importante contributo alla comprensione dei cambiamenti climatici in area montana, dei rischi naturali in alta quota e sul ciclo idrologico delle terre alte - continua Paro -. Grazie al progetto europeo Alpine Space PermaNET, Arpa Piemonte ha avuto la possibilità di creare nel 2009 una rete di monitoraggio del permafrost alpino e ha implementato un servizio istituzionale specifico, B3.19, nell’ambito del quale vengono condotte tutte le attività di studio e monitoraggio del permafrost nelle Alpi piemontesi”. Cinque stazioni sono distribuite in tutto l'arco alpino della regione: Passo del Monte Moro (Macugnaga), a quota 2870 metri; Passo dei Salati - Corno del Camoscio (Alagna Valsesia), a quota 3020 metri; Colle Sommeiller (Bardonecchia), con tre pozzi di 5, 10 e 100 metri a quota 2985 metri; Passo de La Colletta (Bellino) a quota 2850 metri; Passo della Gardetta a Canosio, quota 2500 metri. “In questi fori, che sono profondi da 30 a 100 metri, abbiamo inserito catene di termometri che da 15 anni circa (alcuni, a causa di infiltrazioni d’acqua sono stati ripristinati in un secondo tempo) misurano la temperatura interna”.
Il più interessante, aggiunge il geologo, è il pozzo di 100 metri al Colle Sommeiller, che mostra come nella roccia sia in atto un riscaldamento che in alcuni casi interessa anche le parti più profonde: “Dal 2013, a 65 metri di profondità il terreno si è scaldato ed è passato a temperature positive, dunque non è più permafrost. Questo, in ambiente alpino, può comportare dei problemi perché se abbiamo una superficie che fa da interfaccia tra qualcosa che è ghiaccio e qualcosa che non lo è, abbiamo una superficie di potenziale instabilità. Lo abbiamo visto sul Monviso nel dicembre 2019, quando un settore della parete nordest è stato interessato da un crollo in massa di grandi dimensioni. Tenendo conto della quota e dell'esposizione del settore di parete crollato si può ipotizzare che, oltre alla fratturazione della roccia, abbia rivestito un ruolo determinante nell'innesco del processo la degradazione del permafrost. A questa degradazione sono probabilmente collegati i numerosi fenomeni gravitativi degli ultimi anni sviluppatisi circa alle stesse quote, in particolare quello della cresta Sud del Rocciamelone (dicembre 2006) e quello del Monte Rosa (dicembre 2015)”. Il fatto che alle stesse quote, su versanti analoghi, si verifichino instabilità più o meno pronunciate con la stessa stagionalità può essere interpretato come “un segnale legato al cambiamento climatico. Quantificare questo cambiamento è importante per sancire che è in atto. Stabilirne la velocità è il nostro oggetto di ricerca perché ci offre uno strumento utile a capire quanto tempo abbiamo a disposizione per agire e soprattutto che tipo di risposta dare”.
Nel 2013 il Dipartimento Rischi Naturali Ambientali di Arpa Piemonte ha iniziato a monitorare anche più in superficie la roccia con piccoli sensori che penetrano all’interno di un metro al massimo: un monitoraggio di temperatura in un breve intervallo che serve a capire come avvengono i trasferimenti di calore. “Intorno al 2017, ne abbiamo inseriti alcuni all’interno del Buco di Viso - racconta Paro -: è il primo traforo alpino, un vero e proprio unicum nel suo genere che mette in relazione due mondi diversi, il versante francese con l’area del Queyras e il lato italiano. Fu aperto nel quindicesimo secolo per interessi di scambio commerciale tra il Marchesato e il Delfinato, in un momento storico in cui le temperature medie globali si stavano raffreddando. Un periodo particolare della storia di quell’ammasso roccioso che da metà Ottocento in poi è andato via via scaldandosi. Oggi abbiamo a disposizione circa sei anni di dati, dai quali si inizia a intravedere una leggera tendenza al riscaldamento, anche se lo studio è ancora in una fase preliminare”.