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Ambiente

Dall'Università di Friburgo, un nuovo metodo per misurare la temperatura del permafrost, cruciale per la gestione delle frane in alta montagna

Dall'Università di Friburgo arriva un nuovo metodo per misurare la temperatura del permafrost, la cui fusione a causa delle temperature in aumento desta grande preoccupazione nell'arco alpino (e non solo) per l'aumento del rischio di frane

di
Sofia Farina
03 agosto | 19:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Un team di ricercatori dell'Università di Friburgo ha sviluppato un nuovo metodo per misurare la temperatura del permafrost, la cui fusione a causa delle temperature in aumento desta grande preoccupazione nell'arco alpino (e non solo) per l'aumento del rischio di frane. 

 

Il permafrost è il terreno gelato, formato da ghiaccio, suolo, roccia, sedimenti, presente in zone polari e montane. La maggior parte di esso si trova nell'emisfero nord della Terra, dove occupa ben 23 milioni di chilometri quadrati, in vaste zone della Siberia, del Canada, dell'Alaska e della Groenlandia, ma anche sulle nostre Alpi.

 

Il permafrost è composto da diversi livelli: lo strato attivo superficiale che fonde in estate e sul quale cresce la vegetazione; il permafrost sempre gelato; e lo yedoma, che è quello formatosi tra 1.8 milioni e 10.000 anni fa, che è ricco di materiale organico.


Foto di Wikimedia Commons

La fusione del permafrost è un processo che desta molta attenzione nella comunità scientifica e non solo, perché può avere un impatto drammatico sul nostro pianeta e sugli organismi che lo abitano. Infatti, con l'aumento delle temperature globali, il permafrost fonde in profondità, causando frane, valanghe, inondazioni e rischio di cedimenti strutturali superficiali a causa della trasformazione del permafrost in un impasto di acqua, sabbia e terra. Questi fenomeni, chiaramente, impattano su infrastrutture come strade, edifici e tubazioni potrebbero essere danneggiate sprofondando nel terreno fangoso.

 

Inoltre, la fusione ha anche un altro pericoloso effetto secondario, quello del rilascio di grandi quantità di metano e anidride carbonica in atmosfera, anticamente intrappolate nel terreno per millenni. Infatti, la materia organica nel permafrost contiene molto carbonio, e finchè rimane congelata, questo rimane intrappolato nel permafrost, mentre con la fusione i gas serra vengono rilasciati in atmosfera, amplificando gli effetti dei riscaldamento globale.

 

Un team di scienziati dell’università di Friburgo ha recentemente messo a punto un nuovo metodo di misurazione della temperatura del permafrost, basato sulla misurazione della resistenza elettrica del materiale.

 

Questa scoperta è di particolare interesse perché potrebbe permettere di prevedere meglio eventuali instabilità del terreno dovute alla fusione. Infatti, finora si perforava il terreno fino a cento metri di profondità per misurarne la temperatura, ma si tratta di una tecnica complicata e costosa e che fornisce delle temperature puntuali, senza garantire informazioni sull'intero volume del materiale ghiacciato.


Foto di  Craig McCaa

L'intuizione del team di ricercatori è stata quella di far passare della corrente continua attraverso il terreno e poi, con due elettrodi, misurarne la resistività elettrica e in base a quella determinare la temperatura. In questo modo è possibile misurare il permafrost su vaste aree e valutare la quantità di ghiaccio, e quindi fare delle previsioni più accurate sulla sua evoluzione.

 

Il principio fisico alla base di questo metodo è quello della conducibilità elettrica: il ghiaccio conduce meno l’elettricità dell’acqua liquida e quindi ha una resistività maggiore, che permette di derivare che questa è più alta quanto meno acqua continene il terreno.

 

Dalle misurazioni viene creata un’immagine tridimensionale, dalla quale i ricercatori derivano poi la quantità di permafrost. La ricostruzione viene poi validata mediante il confronto con dei dati puntuali ottenuti con le trivellazioni.

 

Un esempio di applicazione di questa metodologia è dato dall'analisi dello stato delle pendici dello Stockhorn, vicino a Zermatt (VS): la sua temperatura è aumentata di circa un grado negli ultimi 20 anni e conseguentemente il punto di congelamento si è quindi abbassato di diversi metri. Grazie alla misurazione della resistenza i ricercatori sono stati in grado di quantificare per la prima volta la perdita di permafrost, scoprendo che il 15% del ghiaccio è sparito tra il 2015 e il 2022.

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