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La “vigilia dell’insurrezione”: le violenze fasciste dell’ottobre 1922

Nel mese di ottobre del 1922, il fascismo comincia le sue manovre per il decisivo assalto al governo. E mentre i dirigenti cominciano a organizzare la “marcia su Roma”, le violenze continuano ad attraversare il Paese, non risparmiando nemmeno i membri dell’esecutivo. Prosegue la rubrica “Cos’era il fascismo”

Di Davide Leveghi - 26 settembre 2021 - 17:53

Alla vigilia dell’insurrezione, tutti gli avversari del fascismo, le organizzazioni sindacali dei lavoratori, i comunisti, i partiti socialista, repubblicano, cattolico, democratico, liberale, sono fuori combattimento. Lo sciopero generale, strozzato definitivamente in agosto, non può più spezzare la schiena dell’insurrezione: gli operai non oseranno abbandonare il lavoro per scendere in strada. Le sanguinose rappresaglie che hanno schiacciato lo «sciopero legalitario» hanno spento per sempre lo spirito combattivo del proletariato” (da Tecnica del colpo di Stato, di Curzio Malaparte)

 

TRENTO. Il 28 ottobre 1922 nutrite colonne di squadristi premevano alle porte di Roma. Divenuto ormai, come per definizione di un suo importante gerarca, “Stato in potenza”, il fascismo si preparava alla presa del potere, costringendo il re con una dimostrazione di forza ad affidare il governo a Benito Mussolini.

 

L’azione, nondimeno, era già stata preparata da fine settembre. In una prima riunione, tenutasi a Roma il 29 settembre del ’22, Mussolini e una decina di dirigenti del Partito nazionale fascista avevano fissato i punti cardine in vista di una possibile marcia sulla capitale: nessuna violenza nei confronti dell’esercito, accettazione dell’ordinamento monarchico e sostituzione del sistema liberaldemocratico con un nuovo regime.

 

Decisivo per la messa a punto della “rivoluzione” sarebbe dovuto essere l’esercito fascista. In una seconda riunione, riservatissima, tenuta a Milano a metà del mese, il comando degli squadristi venne affidato ad un quadrumvirato composto dai gerarchi Italo Balbo, Michele Bianchi, Emilio De Bono e Cesare Maria De Vecchi. Da Perugia, quartier generale stabilito per l’azione, i quattro avrebbero così guidato la presa al potere, mobilitando le forze per l’occupazione dei principali centri edifici pubblici e concentrandole alle porte della capitale, in attesa che il governo Facta cedesse alle minacce. Il giorno fissato per la conquista del potere era appunto il 28 ottobre.

 

Come noto, il preludio alla marcia fu l’adunata indetta a Napoli per i giorni 24, 25 e 26. Migliaia di camice nere diedero sfoggio della propria potenza, nel tentativo di sondare gli umori del Paese. Proprio nella città partenopea, intanto, Mussolini, i quadrumviri ed altri importanti dirigenti fascisti mettevano a punto gli ultimi dettagli dell’offensiva, mediando fra le proposte più radicali del capo del partito e quelle più graduali e filomonarchiche di De Vecchi e De Bono.

 

Anche in quel caso, per Mussolini risultò alquanto complicato frenare l’impeto dei più oltranzisti. Mentre su Roma si operavano le pressioni del caso, diverse città videro gli squadristi impegnati in scontri a fuoco con le forze dell’ordine. A Bologna e a Cremona, ad esempio, l’assalto alle caserme ed alle prefetture venne respinto, mentre decisamente più agevole fu la conquista delle posizioni cruciali in Toscana, a Trieste o a Napoli.

 

Come scrive lo storico Mimmo Franzinelli in Squadristi, lo squadrismo nell’occasione della marcia su Roma sì “rivestì il ruolo di attore non protagonista”, ma “ciò accadde proprio perché nei due anni precedenti aveva ben lavorato per l’avvento del fascismo al potere”. Negli ultimi giorni dell’ottobre ’22, dunque, il fascismo non fece altro che tirare le fila dell’alacre e brutale lavoro svolto dalle sue squadre negli anni precedenti.

 

L’offensiva decisiva era stata lanciata ben prima della fine di ottobre. La primavera-estate del ’22 avevano da una parte sancito la definitiva “Caporetto socialista”, con il fallimento dello sciopero legalitario (QUI l’articolo), dall’altra eliminato quasi del tutto ogni residua amministrazione invisa alle forze nazionali e fasciste (QUI la cronaca delle violenze nell’agosto ’22 e QUI quella del settembre ’22). La prima a capitolare nel mese di ottobre fu proprio quella della Venezia Tridentina, affidata al commissario civile Luigi Credaro, liberale tollerante verso le istanze autonomistiche sia della minoranza tedesca che delle genti trentine (QUI l’articolo).

 

Nella giornata dell’1 ottobre, a cadere sotto il controllo dei fascisti ci fu pure la Reggenza di San Marino. La piccola repubblica, libera e indipendente, si dimostrava incapace di mantenersi estranea agli eventi in corso nella penisola. E così, il partito popolare, al potere sul Monte Titano, fu costretto a lasciare spazio ad un governo filofascista, da subito protagonista di violenze scatenate assieme agli squadristi italiani contro tutti gli avversari politici.

 

Il domino delle amministrazioni costrette alle dimissioni continuava così a veder cadere una tessera dopo l’altra. Dopo Bolzano (1-2 ottobre) e Trento (4-5 ottobre), le camice nere procedevano all’occupazione delle sedi municipali di Torre Annunziata (9 ottobre), Vicenza e Bassano (14 ottobre), Belluno (15 ottobre), Verona (23 ottobre). A Vicenza, gli squadristi prendono possesso del Comune durante la notte. Il sindaco e gli assessori sono svegliati, prelevati dalle abitazioni e costretti a firmare le proprie dimissioni sotto la minaccia delle armi. L’azione è festeggiata con lo sventolio di un tricolore e di gagliardetti con il teschio dal balcone del palazzo municipale.

 

Tutta la penisola, nelle settimane precedenti alla marcia sulla capitale, continua ad essere percorsa dalle violenze fasciste. Quando gli avversari reagiscono, ferendo o uccidendo gli assalitori, la rappresaglia è efferata. A Torino, il giorno 2, durante una sparatoria con i comunisti perde la vita lo squadrista Doglia. Per ritorsione le camice nere devastano la Casa del popolo di Barriera San Paolo e incendiamo quella del Parco regio. Lo stesso giorno, a Fossombrone, negli Appennini pesaresi, la spedizione squadrista contro il comunista Giuseppe Valenti finisce in tragedia. Due squadristi vengono infatti colpiti, dopo che il fuggitivo, barricatosi in una stalla, aveva cominciato a rispondere al fuoco con un moschetto. L’indomani le squadre – tristemente note – "Asso di bastoni" e "Ramazza" incendiano le abitazioni degli antifascisti del luogo, ammazzano un socialista e si danno alla caccia del Valenti. Questi, datosi alla macchia, viene catturato in un cascinale e massacrato di botte su ordine del caposquadra Raffaello Riccardi. Morirà nella giornata dell’8 ottobre.

 

A Casignana, in provincia di Reggio Calabria, il giorno 4 ottobre si inaugura la sede del fascio, alla presenza di Giuseppe Bottai. Mentre l’importante esponente del Pnf si sta allontanando, una fucilata ferisce uno squadrista. È l’inizio del caos: i fascisti, per rappresaglia, devastano l’abitazione del presidente della cooperativa Garibaldi, mentre i carabinieri arrestano una decina di militanti delle sinistre. Le ritorsioni, d’altronde, venivano rovesciate brutalmente sugli antifascisti ogniqualvolta uno squadrista rimanesse ferito o ucciso durante le spedizioni; molto più spesso, però, le puntate fasciste finivano solamente con vittime nel fronte opposto.

 

Nel Forlivese, il giorno 1, perdeva la vita il comunista diciassettenne Luigi Grandi, freddato da due colpi di pistola dopo essersi rifugiato in una chiesa. Il giorno dopo toccava al repubblicano Tonino Orlandi e al comunista Nazareno Giovannoni. Il giorno 4, a Chivasso, in provincia di Torino, il segretario di sezione della Gioventù comunista Carmelo Bretto veniva assassinato a colpi di mazza chiodata.

 

Tra gli obiettivi delle spedizioni non v’erano tuttavia solo i militanti antifascisti. L’impunità diffusa permise infatti di prendere di mira anche importanti rappresentanti pubblici, compresi i membri del governo. Il giorno 8 ottobre, il sottosegretario ai Lavori pubblici Mario Augusto Martini, in visita ad Antella, nel Fiorentino, assieme al deputato popolare Giovanni Bacci per l’inaugurazione di un cippo ai caduti, viene violentemente contestato e costretto a fuggire scortato.

 

L’onorevole Giuseppe Sbaraglini, del Partito socialista unitario, venne raggiunto nella giornata del 12 ottobre da un bando dall’Umbria. Il suo studio devastato. Un altro “foglio di via” raggiunse a Venezia il deputato socialista Angelo Galeno. Ciò avvenne il giorno 16 ottobre, dopo che questi era stato sequestrato e accompagnato alla stazione, affinché, scortato e tra le grida ostili, venisse caricato su un treno. Il giorno 20, infine, il deputato comunista Egidio Gennari, direttore del periodico Il Lavoratore, veniva accoltellato al ventre nel piazzale del Tribunale di Trieste. Qualche giorno prima era stato condannato a pagare un’ammenda, proprio nel capoluogo giuliano, per diffamazione: aveva osato tacciare di disumanità verso i propri soldati un generale del Regio esercito italiano.

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