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La "marea nera" conquista la Venezia Tridentina: la vittoria fascista a Bolzano e Trento

Nei primi giorni dell'ottobre 1922, Bolzano e Trento si trasformano in teatro di una prova di forza fascista. Lo scopo delle migliaia di camicie nere giunte in Venezia Tridentina è di eliminare l'amministrazione liberale ed ogni spiraglio autonomistico. Sarà un test in vista della marcia su Roma. Continua la rubrica "Cos'era il fascismo"

Di Davide Leveghi - 03 ottobre 2021 - 11:24

Si permise che le prime squadre fasciste girassero alcune in divisa, con l’elmetto, alcune manifestatamente armate di rivoltella, senza procedere nemmeno ad un arresto, né a Bolzano né a Trento, dove pure la concentrazione non poté avvenire istantanea, ma poco per volta. [I carabinieri] dimostrarono nella resistenza di fronte ai fascisti una risolutezza e modalità di azione assai diversa che avrebbero dimostrata se si fossero trovati di fronte ad appartenenti ad altri partiti, pur trattandosi di respingere azioni di violenza ugualmente antistatali e rivoluzionarie” (dall’inchiesta sull’occupazione fascista di Trento e Bolzano dell’ottobre 1922, dirigente generale di Pubblica sicurezza Paolo Di Tarsia)

 

L’ultima azione fascista su Bolzano e su Trento non è stata eseguita da un partito, ma da uno Stato in potenza. Non è stata l’affermazione di un postulato programmatico, ma l’applicazione di un principio di politica statale” (ne Il Popolo di Trieste, 14 ottobre 1922, Francesco Giunta)

 

TRENTO. Erano le prime giornate di un movimentato mese d’ottobre (QUI l’articolo). Il fascismo si avvicinava a larghi passi alla conquista del potere e per centrare l’obiettivo andavano prima eliminate le amministrazioni sfavorevoli. Proprio per questo, mentre diverse città venivano messe a ferro e fuoco (QUI le violenze in agosto, QUI quelle in settembre), non senza resistenza (QUI i fatti di Parma), Trento e Bolzano si trasformarono in scenario di minacciose adunate volte ad abbattere il governo liberale.

 

Dal luglio 1919, infatti, la Venezia Tridentina era amministrata da un Commissario civile, Luigi Credaro, subentrato al generale Guglielmo Pecori Giraldi. Incline ad ascoltare le lagnanze e le rivendicazioni tirolesi, dopo la traumatica separazione da Innsbruck, Credaro era ben presto finito nel mirino dei nazionalisti italiani, giudicato troppo morbido verso le manifestazioni di tedeschità della popolazione.

 

In un clima di crescenti tensioni (QUI un approfondimento), il 1922 si caratterizzò per l’assalto finale all’amministrazione liberale. La schiacciante vittoria del Deutscher Verband, la lista tedesca presentata alle politiche, “legittimò” i fascisti ad intervenire con decisione, rivendicando spazi sempre più vasti per “l’italianità cha avanza” – la definizione è di Ettore Tolomei, comparsa in una celebre invettiva dell’estate ’22.  

 

“Siamo daccapo? – incalzava il nazionalista roveretano nella nota invettiva ‘Voce dell’Alto Adige ai fratelli che salgono’, riferendosi a Credaro – è l’ora d’un’altra spinta? Mentre noi si lavora e si tace, questi furbi, questi piccoli furbi della politica d’oggi, che la storia dirà mentecatti, costruiscono lentamente, con mani subdole, il loro edificio d’opportunismo falso e miserabile, finché venga un generoso impeto d’indignazione pubblica a rovesciarlo. Uniamoci, spalla a spalla, quanti siamo onesti e sinceri. Buttiamolo giù”.

 

Da parte sua, Credaro si vide ridurre non poco lo spazio di manovra. Ogni proposta moderata finiva per cozzare contro il massimalismo fascista, culminato appunto nella marcia che portò migliaia di camice nere ad occupare Bolzano. L’1 ottobre prese avvio l’azione: sotto il comando di Achille Starace, Roberto Farinacci, Francesco Giunta e Alberto De Stefani le squadre provenienti dall’Italia settentrionale diedero atto di quanto paventato in un precedente ultimatum, consegnato alle autorità cittadine ad inizio settembre. Tra le richieste fasciste, figuravano le dimissioni del sindaco, Julius Perathoner, la destinazione del più bel complesso scolastico cittadino, le Elisabethschule, alle scuole elementari e medie italiane, ed infine la bilinguità degli atti amministrativi e delle scritte pubbliche.

 

Rimasti senza risposta – molte delle richieste erano volutamente poste a chi non ne aveva competenza – i fascisti passarono così all’azione. Occupata la scuola, la ribattezzarono “Regina Elena”, in onore della moglie di Vittorio Emanuele III, strizzando pertanto l’occhio alla monarchia. Nel frattempo, la città venne messa a ferro e fuoco, tra scorribande impunite, l’occupazione del municipio e qualche tafferuglio con i carabinieri. “Dopo quattro anni di redenzione – scriveva De Stefani in un messaggio inviato a Roma – soltanto oggi per l’azione fascista l’effigie del Re d’Italia ha potuto penetrare nel palazzo comunale di Bolzano. Codesto governo ha il dovere di colpire i responsabili e di far rispettare il Re e la Nazione. Altrimenti dall’Alpe al mare, l’Italia tutta si solleverebbe contro di voi”.

 

Ottenuti a Bolzano i risultati sperati, la massa nera si mosse a quel punto nel capoluogo regionale, sede del Commissariato guidato da Credaro. Concentrati in forze di fronte al Palazzo del governo, in Piazza Dante, i fascisti pretesero le dimissioni del commissario. Il 4 ottobre, Luigi Credaro le rassegnò, affidando il potere alle autorità militari. Il giorno 17 ottobre, il governo Facta chiuse la pratica liquidando il Commissariato civile per la Venezia Tridentina e nominando un prefetto.

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