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Lo slancio della Liberazione e la fatica della libertà: il 25 aprile compie 75 anni

Il 25 aprile non si celebra solo la Liberazione dal nazifascismo ma pure il trionfo della libertà sancito dal testo costituzionale. Fascismo e antifascismo non sono dunque parole polverose da chiudere in un cassetto del passato, ma concetti che ci permettono di distinguere in noi stessi come possiamo vivere liberi

Di Davide Leveghi - 25 aprile 2020 - 11:02

TRENTO. “Chi è il ribelle?”, chiedeva un opuscolo distribuito a mano nel Piemonte della guerra civile. “E’ il fuorilegge, è il bandito che per dieci lire al giorno, che riceve da agenti inglesi, americani e russi, dà la sua vita per eseguire gli ordini dei massoni, degli ebrei, dei bolscevichi, dei plutocrati, degli affamatori del popolo e dei capitalisti di Londra, Washington e Mosca”. Un soggetto che vive “nascosto nelle montagne e fra boschi inaccessibili”, che “vuole il caos, il disordine, l’anarchia”, il “sangue, la rovina e la distruzione!”, che al servizio dello straniero “uccide senza pietà alle spalle, coloro che combattono per l’ideale nobile della ricostruzione della Patria”.

 

 

Il catechismo del ribelle” è uno dei tanti documenti sottratti alle forze nemiche contenuti negli archivi della penisola, in questo caso dell’Istituto piemontese della Resistenza. Con il suo stile semplice e ridondante indirizzava alla popolazione un chiaro messaggio, veicolando un’immagine efferata del partigiano: se ne vedete uno non indugiate e denunciatelo.

 

A questo elemento ne aggiungeva un ulteriore, che in qualche modo si pone in netta contraddizione con il carattere barbaro del solo infido bandito al soldo della straniero: “Chiunque è in relazione con i ribelli – si legge nella prima facciata – o li aiuta in qualunque modo o sotto qualsiasi forma, è partecipe dei loro delitti e dei loro misfatti e quindi sarà ucciso senza pietà, i suoi beni verranno confiscati, le sue case incendiate, i suoi parenti passati per le armi. Perché non bisogna, in lurida combutta con i due volte traditori del paese, attentare alla vita di quanti lavorano per la libertà, l’indipendenza e la ricostruzione della Patria. MORTE AI RIBELLI, morte a chi aiuta i ribelli!”.

 

 

Al di là dunque della barbarizzazione del nemico, della sua disumanizzazione – fenomeno che funziona in tutte le direzioni, basti pensare al celebre romanzo di Elio Vittorini Uomini e no – appare curioso notare come nel presentarsi come forza che combatte “per l’ideale nobile della ricostruzione della Patria”, quella fascista repubblicana, autrice dell’opuscolo, stabilisca per i collaboratori dei “ribelli” la più brutale della risposte: la rappresaglia contro civili innocenti, in questo caso i parenti.

 

Il documento, a più di 70 anni di distanza, ci apre uno spiraglio per capire cosa sia stato il fascismo, in questo caso nella sua forma estrema del fascismo repubblicano degli ultimi due anni di guerra (e di vita): un’ideologia, un movimento, un regime, sì, ma anche l’idea odiosa che non esista altro al di là da sé, che la paura verso l’altro, l’odio verso l’altro, debbano essere la nostra regola del vivere quotidiano. E sebbene l’opuscolo si riferisca a un contesto di guerra, una guerra civile e asimmetrica, combattuta dai fascisti contro un nemico interno assieme ad un occupante, mentre un altro esercito risaliva la penisola, se siamo disposti a accettarlo esso ci comunica qualcosa che trascende le ragioni per cui fu creato.

 

Il 25 aprile va immaginato come un momento di autoriflessione non solo nazionale, ma democratica. Se le sue forme sono cambiate nel tempo rispetto al contesto e alle evoluzioni della storia, i suoi pilastri sono sempre rimasti gli stessi: celebrare la democrazia nata dalla lotta contro il totalitarismo fascista. Ha ragione Francesco Filippi, pertanto, quando sostiene, di contro al mito di una memoria condivisa o alle strampalate proposte di qualche politico (guarda a caso ex-fascista) di trasformarlo in un giorno di ricordo delle vittime del Covid-19, che sia e debba continuare ad essere una festa divisiva.

 

La linea tracciata dall’esperienza resistenziale e cristallizzata in una data simbolica è quella sancita dalla Costituzione tra la libertà di pensiero e un’idea liberticida che uccide il libero pensiero. La problematicità di questa festa non dipende solo dunque dalla polarizzazione in cui si è impropriamente incarnata di “rossi” contro “neri”, ma dal fatto che il fascismo, che in forma di regime ha governato per vent’anni ma che come idea o movimento ha attraversato un periodo ben più vasto, giungendo fino a noi, è entrato a far parte del Dna di questo Paese. Ne è il volto oscuro, l’anima buia che ha portato milioni di persone a conformarsi ad una visione del mondo in cui la libertà non ha spazio, in cui il diverso dev’essere fatto rientrare nei ranghi o eliminato (“L’ordine è la virtù dei mediocri”, si dice a un certo punto nel capolavoro di Ettore Scola Una giornata particolare).

 

...quando poi, ferito cade, non piangetelo, dentro al cuore, perché se libero, un uomo muore, non gli importa di morire...

 

Ma c’è un ulteriore aspetto, questa volta di tipo semantico, che ci può far capire quale significato abbia, al di là delle libere convinzioni politiche democratiche, questo rito civile che è il 25 aprile. “Liberazione” è una parola bellissima quanto effimera. Perché l’atto di liberarsi non vuol dire continuare a essere liberi, e seppur richieda uno sforzo imponente e magnifico rimane pur sempre un atto, un gesto, uno slancio. E senza scomodare troppo forzati paragoni con la situazione che stiamo vivendo di restrizione delle libertà causata dall’epidemia, guardarsi indietro ridando un senso storico a questa parola sprigiona nella lugubre realtà della vita ai tempi del contagio un tratto che percorre tutta la storia dell’umanità: l’oppressione della libertà conquistata e tanto difficile da tenersi stretta.

 

La Liberazione ci ha in conclusione insegnato una cosa: che è soprattutto un’esplosione di gioia, un’emozione splendente, una speranza e un faro ma che la libertà che ne scaturisce va coltivata, difesa e, se possibile, potenziata.

 

Questo articolo è il settimo di una serie: Attra-Verso la Liberazione vuole essere una lente tramite cui vedere la lotta resistenziale senza le distorsioni del falso mito della memoria condivisa e senza l’agiografia che per decenni ha contraddistinto la narrazione della conquista della libertà contro la tirannide nazi-fascista. La grandezza della scelta partigiana, infatti, emerge dallo stesso racconto del contesto, nella sua durezza, nella sua complessità e problematicità, nel suo immenso e meraviglioso valore.

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