Medici di famiglia dipendenti, l'Ordine: "Meglio lasciare la scelta al professionista". Sulla scuola: "Ci battiamo per un ruolo da protagonista dell'Università"
Il governo lavora a una riforma in materia sanitaria ma tra le poche indicazioni filtra il tentativo di far diventare i medici di medicina generali da liberi professionisti a dipendenti. Il dirigente generale del Dipartimento salute e politiche sociali della Provincia: "In passato un gruppo di Regioni avrebbe lavorato su questo tema, ma non c'era il Trentino"
TRENTO. Il governo lavora a una riforma della sanità e, tra le varie misure, un punto d'arrivo sarebbe quello di trasformare i medici di medicina generale da liberi professionisti a dipendenti del sistema sanitario nazionale. Una decisione viene affrontata informalmente dagli addetti ai lavori. Poco si è visto e altrettanto poco si conosce dei contorni di questo piano.
"Si deve capire l'obiettivo", le parole a il Dolomiti di un medico di medicina generale (Qui articolo). Sicuramente l'ipotesi fa discutere. Il tema, ovviamente, è molto delicato, e proprio per questo anche da parte della Provincia di Trento c’è molta prudenza nel commentare questo possibile cambiamento.
"Al momento non abbiamo un documento pubblico condiviso", spiega a il Dolomiti Antonio D'Urso, dirigente generale del Dipartimento salute e politiche sociali. "In passato un gruppo di Regioni avrebbe lavorato su questo tema, ma non c'era la Provincia".
Se da un lato il mondo sindacale è già in rivolta, dall’altro il mondo istituzionale cerca di attendere, anche per capire meglio il piano attraverso segnali più chiari che dovrebbero arrivare dal ministero o dalla conferenza delle Regioni.
Oggi i medici di medicina generale sono lavoratori autonomi pagati dal servizio sanitario nazionale, il che permette loro di organizzare autonomamente il proprio tempo e il proprio lavoro. Se la bozza di riforma entrerà in vigore, i nuovi medici di base diventeranno dipendenti del Servizio sanitario nazionale, proprio come i medici ospedalieri.
"Il mio parere personale - dice Giovanni de Pretis, presidente dell'Ordine dei medici di Trento - è che sarebbe importante lasciare la scelta al professionista nel caso di nuove assunzioni". Dalla continuità assistenziale alla mobilità interna tra le varie sedi, dalle ferie alle sostituzioni: sono tanti gli aspetti da valutare. "Chiaro che l'organizzazione sarebbe diversa con il passaggio a un lavoro dipendente e, per questo, sarebbe importante lasciare la discrezionalità e trovare un modo di far convivere questi due metodi".
Entrano poi in gioco le nuove Case di Comunità. Queste prevedono (per hub 24h mentre spoke 12h) la presenza del medico di medicina generale che, a partire dal prossimo marzo, vedrà tra l'altro la nascita del nuovo ruolo unico di medicina generale con l’unione tra i medici di base e di continuità assistenziale.
I medici hanno i loro studi con una situazione diversificata sul territorio nazionale. Il principio guida è che questi medici ruotino all'interno delle Case di comunità, ma sappiamo benissimo che alcuni professionisti arrivano fino a 1.800 pazienti e il tempo a disposizione sarebbe davvero poco.
Regioni e ministero si chiedono quindi come poter togliere un medico di base dal proprio territorio per metterlo nelle Case? "Un tema non semplice”, sottolinea D'Urso. Proprio per questo una delle novità della riforma stabilirebbe che i medici dipendenti dovranno operare “sia negli studi sia nelle Case della comunità”.
Una gestione dell'orario, quindi, non più a proprio piacimento. E qui si scontra un mondo: “La dipendenza ci porterebbe a lavorare solo nelle Case di comunità, mentre oggi abbiamo trovato un bilanciamento con la possibilità di mantenere gli studi vicino ai cittadini. Rischiamo di vederci ridurre la possibilità di garantire un’assistenza per scelta fiduciaria da parte del cittadino”, spiegano dalla Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri.
Attualmente c'è una forte carenza di medici di medicina generale, un settore che annaspa e che cerca soluzioni. "Molti bandi finiscono deserti - aggiunge de Pretis - anche nelle scuole ci sono più posti potenziali rispetto agli iscritti. La questione non è solo economica ma di attrattività della professione: una scelta unilaterale del datore di lavoro rischia di spingere un professionista a orientarsi verso un'altra specialità. Aspettiamo di avere maggiori dettagli ma crediamo sia fondamentale trovare un equilibrio".
C'è stato poi un cambio radicale nell'ultimo anno: si è passati dall'Ordine dei medici e da Fbk alla gestione ibrida che vede l'Azienda provinciale per i servizi sanitari in primo piano e solo un ruolo marginale per l’Università di medicina di Trento.
"La scelta è stata politica e, pur non vedendo grandi vantaggi in questa decisione, collaboriamo attivamente nel comitato di indirizzo. Più che per un nostro maggior protagonismo, noi ci battiamo per una maggior presenza sempre più importante dell'Università per le competenze e la titolarità sulla formazione".
La proposta è di un progetto pilota guidato dall'Ateneo. "Una scuola di specializzazione trainata dall'Università sarebbe molto prestigiosa. Un diploma di abilitazione certificato a livello universitario rappresenterebbe un vantaggio anche a livello di attrattività e probabilmente ci sarebbe una maggior adesione alle proposte del Trentino".