Coronavirus, Pat e Apss confermano: “Contagi elevati conseguenza del turismo e vicinanza con Lombardia e Veneto”
Fugatti, anche se il 5 marzo invitava a venire in Trentino, alle minoranze ammette: a pesare sul numero dei contagi soprattutto il turismo lombardo, poi aggiunge che qualora dovessero emergere delle responsabilità non saranno negate
TRENTO. “Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”, usava dire la regina dei gialli Agatha Christie, certo un concetto che non può essere applicato nel campo scientifico ma che perlomeno può comunque indirizzare in un certo senso le ricerche, questo per sottolineare come Il Dolomiti, prima di tutti, avesse rilevato il possibile rapporto fra l’elevato tasso di contagi registrato in Trentino e la tardiva chiusura degli impianti sciistici, avvenuta soltanto il 10 marzo (con la Pat che avrebbe preferito chiuderli il giorno seguente).
Ad ogni modo, anche se l’analisi dovrà per forza essere più approfondita e potrà avvenire solo a emergenza conclusa, sia dal presidente della Pat, Maurizio Fugatti che dall’Azienda sanitaria arrivano le prime, seppur parziali e talvolta contraddittorie, ammissioni. Ma procediamo con ordine. Nella giornata di ieri, 30 marzo, le minoranze hanno avuto un lungo confronto con il presidente Fugatti e i vertici di Apss, ovvero il direttore generale Paolo Bordon, il direttore del dipartimento salute e politiche sociali Giancarlo Ruscitti (che recentemente si è visto alzare lo stipendio) e il capo della protezione civile Raffaele De Col.
Un confronto durato tre ore nelle quali è stato tracciato un quadro della situazione del Trentino di fronte all’epidemia da covid-19 inevitabilmente in chiaro scuro. Nel comunicato ufficiale a proposito dell’elevato numero di decessi e dei moltissimi contagi si legge come sia stato lo stesso Fugatti a mettere in relazione i numeri con: “La vicinanza al veronese e al bresciano – aggiungendo – perché il turismo, soprattutto lombardo ha pesato”. Una prima parziale ammissione dunque, soprattutto alla luce del suo intervento postato sui social il 5 marzo, dove, il presidente della Pat invitava a “visitare il Trentino” perché “l’Italia è un paese sicuro”, eppure il bollettino della protezione civile dello stesso giorno parlava di 2858 persone contagiate (di cui 2251 in Lombardia, 698 in Emilia-Romagna e 407 in Veneto) con ben 148 decessi. Il 2 marzo in trentino era stato registrato il primo caso, tre giorni dopo erano già 7. Il 9 marzo invece, giorno prima della chiusura delle piste in Lombardia e Veneto venivano certificati rispettivamente 5469 e 744 positivi al coronavirus. Perfino le Rsa vennero “blindate” tardivamente e solo dopo l’intervento dell’Unione provinciale per Istituzioni per l'Assistenza (Upipa) che bloccò le visite dei parenti e minacciò: “Pronti ad opporci se dalla Pat arrivano disposizioni più morbide”.
Nonostante questi numeri nella conferenza stampa di ieri, 30 marzo, Bordon rispondendo alla domanda sul perché i dati trentini risultino peggiori della media italiana, sottolineava: “Difficile immaginare per chiunque che fosse il turismo”, da un lato si ammette implicitamente che questo abbia giocato un ruolo fondamentale, dall’altro però si cerca di aggirare il problema sottolineando come fosse complicato immaginare che un grande flusso di persone proveniente dalle zone maggiormente colpite avrebbe potuto portare il coronavirus anche in Trentino. Tuttavia i dati raccontano un’altra storia, ben prima del 9 marzo i vertici della Provincia avrebbero dovuto capire i rischi connessi alla venuta di centinaia di veneti e lombardi. È lo stesso Bordon a confermarlo in conferenza stampa quando afferma: “In particolar modo il turismo di gente che proviene da zone a noi vicine come quelle lombarde di cui molti hanno seconde case e frequentano abitualmente gli splendidi luoghi di vacanza delle località turistiche trentine, sono diventate la ‘minaccia’ perché in quella fase di grande frequentazioni delle piste e delle località sciistiche trentine si è manifestato un contagio diffuso in particolar modo partendo dagli operatori turistici, maestri di sci, personale degli impianti di risalita e lavoratori della ristorazione, questo è stato sicuramente un problema che ha avuto delle ricadute importanti”.
Per quanto riguarda le Rsa, Ruscitti ha spiegato che le zone nelle quali alcune strutture hanno rilevato più ospiti infetti sono “non a caso quelle”, quelle nelle quali vi sono molti soggetti provenienti dalle vicine province di Verona e di Brescia, ad esempio l’Alto Garda e Ledro. Questo con buona pace del direttore generale dell’Apss che, sempre in conferenza stampa, ha voluto ricollegare i decessi “all’età media elevata”, ciò però non spiega perché alcune strutture sono state colpite così duramente mentre altre sono state risparmiate. La dimostrazione arriva dalla struttura del San Pancrazio di Arco, a citare il caso è Ruscitti durante l’incontro con le minoranze, che pur trovandosi in una delle zone maggiormente colpite ospitando solo trentini ha rilevato pochissimi casi. Dal canto suo Bordon ha segnalato che i focolai più attivi sul territorio si trovano nei territori vicini a Bergamo e Brescia come nella zona Vermiglio-Tonale. Altri sono a Canazei-Campitello di Fassa, in val Rendena, nel Chiese e nell'Alto Garda. In queste zone si procederà ad un'indagine approfondita sulle cause aumentando il numero dei tamponi e delle analisi sierologiche sulla popolazione. Dati questi che erano già stati rilevati da Il Dolomiti (QUI articolo).
Infine le conferme arrivano anche da Fugatti che ha ricordato come i numeri del Trentino siano tra i più alti in Italia subito dopo quelli di Lombardia, Valle d'Aosta, Marche e Piemonte, ipotizzando che questi numeri siano imputabili “alla maggiore contiguità del nostro territorio con le zone del bresciano e del veronese”. Sostanzialmente, alla luce delle dichiarazioni dei vertici di Pat e Apss, è possibile ritenere che Rsa e stazioni sciistiche siano state il tallone d’Achille del Trentino, frutto avvelenato anche di scelte politiche sbagliate. In questo contesto poi emerge l’assordante silenzio dell’assessora competente, Stefania Segnana, che perfino in conferenza stampa è spesso ridotta a un ruolo marginale. Durante l'incontro con le minoranze è stato lo stesso Fugatti a rimarcare che, qualora nel lungo periodo dovessero emergere delle responsabilità, non saranno negate.