Contenuto sponsorizzato
Storia

«Mare di fiamme» sul Pasubio: la grande mina austriaca del 13 marzo 1918

All’alba del 13 marzo 1918 una gigantesca esplosione devastava il Dente italiano sul Pasubio, seppellendo una quarantina di soldati italiani e cambiando per sempre l’aspetto della montagna

di
Michele Santuliana
13 marzo | 12:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

«L’istantaneo, profondo scuotimento del terreno ed un cupo tuono dimostrarono riuscito il brillamento; seguì poi con forte frastuono la fuoriuscita di masse di pietrame dalle parti laterali del Dente nemico, e lo scuotimento della parte superiore dello stesso. […] L’intero massiccio del Dente sembrò un mare di fiamme dal quale emergevano vampe fino a 30 metri di altezza. La potenza della fiamma, che durò circa 30 minuti, si manifestò attraverso i vani e le gallerie non intasate anche sul nostro Dente». 

 

Con queste parole il generale Moritz Brunner, testimone oculare dell’evento, descriveva nel 1921 lo scoppio della grande mina austriaca del 13 marzo 1918. La deflagrazione era l’esito finale di una guerra insidiosa, sotterranea, invisibile per la maggior parte del tempo ma dagli esiti spaventosi una volta che i preparativi erano compiuti. Una guerra che sul Pasubio aveva visto contrapposti italiani e austriaci sin dal settembre 1917


Gli effetti della mina sul Dente italiano visti dal Dente austriaco - K.u.k. Kriegspressequartier, Lichtbildstelle - Wien

 

Saldamente trincerate sui rispettivi “Denti”, i due speroni rocciosi sulla dorsale al centro del massiccio che separa le valli vicentine dal Trentino, entrambe le parti in lotta si erano impegnate nell’impresa di far saltare il caposaldo avversario, preludio alla sua conquista. Aveva così preso avvio un’attività frenetica, con lavori di scavo sotterraneo e reparti addetti all’ascoltazione dei progressi nemici. Era una gara contro il tempo: terminare la camera sotterranea, riempirla di esplosivo e farla saltare, il tutto con l’obiettivo di anticipare un nemico che, spesso a pochissimi metri di distanza, stava compiendo esattamente le stesse mosse.

 

Non era una novità la guerra di mine. Con lo stabilizzarsi dei fronti e le sanguinose offensive che dalle Fiandre all’Isonzo dissanguavano le armate di tutti i paesi belligeranti, i comandi militari attuarono il proposito di far saltare in aria, mediante camere sotterranee stipate di esplosivi, quelle posizioni che non si sarebbero potute conquistare con gli assalti frontali. Il piano era sempre lo stesso: sconvolta la posizione, eliminati i difensori e disorientato l’avversario, si puntava a conquistare d’assalto quanto restava, prima di un’eventuale reazione nemica.

 

Sul fronte italo-austriaco furono molte le mine fatte brillare nel corso della Grande Guerra, in particolare fra il 1916 e il 1918: dal Lagazuoi al Col di Lana, dal Cimone di Arsiero all’Altipiano dei Sette Comuni, dove si ricorda in particolare la mina italiana che, sotto la Lunetta di monte Zebio, deflagrò accidentalmente, forse a causa di un fulmine, l’8 giugno 1917, alla vigilia dell’offensiva che passò alla storia come “battaglia dell’Ortigara”.

 

Dopo i cruenti combattimenti del 1916, sul massiccio del Pasubio il fronte era tornato stabile. L’inverno 1916-17 poi aveva portato alla stasi pressoché completa dei combattimenti: sepolti sotto metri di neve, alle prese col gelo, con le tormente continue e con le valanghe, che travolgevano sovente intere colonne di rifornimenti, i contendenti si trovarono a dover lottare soprattutto con la montagna. Con il 1917, dinnanzi a linee fortificate praticamente imprendibili, maturò l’idea di sperimentare la guerra di mine come unica strategia in grado di scalzare il nemico dalle sue formidabili posizioni. 

//www.europeana.eu/item/9200291/bildarchivaustria_at_Preview_15625483

Osservatorio austriaco sul Pasubio -  K.u.k. Kriegspressequartier, Lichtbildstelle - Wien - 

 

I primi a raggiungere l’obiettivo furono gli austriaci, il 29 settembre 1917. Il 2 ottobre seguì il brillamento della prima mina italiana. Durante i mesi successivi si accese un vero e proprio duello fra le parti, con cinque mine fatte esplodere dagli austriaci e quattro dagli italiani, fino alla data fatidica del 13 marzo 1918. Entrambi gli schieramenti erano pronti a far detonare i propri ordigni, gli italiani di una camera riempita con 13 quintali di gelatina pronta a esplodere alle 8:00, gli austriaci di una mina immensamente più potente, 50 tonnellate di esplosivo, che deflagrò alle 4:30 dello stesso giorno.

 

L’esplosione, come descritto dal generale Brunner, fu devastante: seppellì 41 soldati italiani e ne ferì altri 33; ma anche gli austriaci contarono alcuni caduti, a causa dei gas velenosi rilasciati dall’esplosione e che risalirono i cunicoli del loro caposaldo. Fu, questa, l’ultima mina. Impossibile continuare la lotta: le viscere della montagna erano state sconvolte a tal punto che la roccia fra i due Denti era divenuta instabile; i risultati, in termini di terreno guadagnato, nulli.


Il Dente italiano oggi

 

L’aspetto della montagna cambiò per sempre in quel settore: franò la parte del Dente italiano più vicina alla selletta, e ancora oggi chi si avventura lassù può notare gli effetti dell’esplosione. Il sentiero che scende fra i due speroni di roccia passa infatti fra giganteschi macigni che il tempo ancora non ha eroso.

 

Al centro della selletta una piccola croce celebra il ricordo di quanti persero la vita in quel giorno lontano, come recitano le parole finali di Monte Pasubio di Carlo Geminiani, messe in musica dal Maestro Bepi De Marzi: Su la strada del Monte Pasubio / ze rimasta soltanto 'na crose. / No se sente mai più 'na vose, / ma solo el vento che basa i fior.

 

Intorno, la montagna sconvolta custodisce i segreti di chi visse quel tempo di furia insensata, silenzioso monito di pietra per un presente ancora travolto dalla violenza delle armi.

 

 

SOSTIENICI CON
UNA DONAZIONE
Contenuto sponsorizzato
recenti
Sport
| 22 gennaio | 13:00
Donato al Museo etnografico Dolomiti, è stato esposto dopo un’accurata ripulitura e manutenzione che lo ha portato all'originario splendore
Ambiente
| 22 gennaio | 12:00
Beatrice Citterio, ricercatrice in trasformazioni territoriali alla libera università di Bolzano, è ospite della nuova puntata di Un quarto d'ora per acclimatarsi, il podcast de L'AltraMontagna che approfondisce i problemi ambientali e sociali sperimentati dalle terre alte tramite la voce di chi le vive, le affronta e le studia
Sport
| 22 gennaio | 11:00
Ad imporsi è stata la Svizzera, che annoverava tra le proprie fila anche ex calciatori di assoluto livello come Benaglio, Mehmedi, Chapuisat e Frei, che in finale ha piegato per 8 a 6 la Germana. L'evento si disputa dal 2010, è giunto alla 13esima edizione e richiama un gran pubblico nella città del Canton Grigioni
Contenuto sponsorizzato