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Storia

"So di essere fra montagne amiche, so che le nostre pallottole valgono di più di quelle tedesche. Basterà sparare al momento giusto": con la IV banda di Nuto Revelli nell’aprile 1944

A fine aprile 1944 un pesante rastrellamento tedesco investiva le formazioni “Giustizia e Libertà” nelle valli del cuneese: la IV banda di Nuto Revelli riusciva però a sganciarsi infliggendo gravi perdite agli attaccanti 

di
Michele Santuliana
20 aprile | 12:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

«So di avere di fronte quasi una divisione di Alpenjäger: so di essere fra montagne amiche, so che le nostre pallottole valgono di più di quelle tedesche. Basterà sparare al momento giusto». Così Nuto Revelli scrive nel suo capolavoro La guerra dei poveri (Einaudi, seconda edizione 1979) sotto la data del 20 aprile 1944.

Da un mese, con la IV banda “Giustizia e Libertà”, di cui era comandante, aveva occupato il Vallone dell’Arma, che dal borgo di Demonte, in provincia di Cuneo, si dirama in direzione nord-ovest correndo parallelo alla Valle Stura, più a sud.

 

Poche ore prima, all’alba di quel 20 aprile, aveva avuto inizio l’Aktion Tübingen, una massiccia operazione antipartigiana condotta da reparti scelti tedeschi – truppe di provata esperienza supportate da mezzi pesanti e artiglieria – che per nove giorni, fino al 29 del mese, attaccarono i reparti partigiani attestati fra le Valli dell’Arma e Stura: l’obiettivo dei tedeschi era di chiudere le forze partigiane in una sacca ed eliminarle, ripulendo così una zona vitale per i collegamenti con la Francia.


Nuto Revelli nell'estate 1944

Revelli, già valoroso ufficiale del battaglione “Tirano”, inquadrato nella divisione “Tridentina”, aveva partecipato alla Campagna di Russia e alla disastrosa ritirata del gennaio-febbraio 1943. In Russia lui, ufficiale effettivo  uscito dall’Accademia militare di Modena, partito per la guerra convinto di stare dalla parte giusta, aveva sperimentato una profondissima crisi di coscienza: al pari di Mario Rigoni Stern, sottufficiale del “Vestone”, aveva visto cos’era la guerra che l’Italia conduceva a fianco della Germania nazista; ma aveva anche toccato con mano la corruzione delle retrovie, mentre in prima linea i soldati pativano la mancanza di tutto; infine, durante la ritirata, nell’orrore e nella disperazione, aveva finalmente aperto gli occhi su fascismo e nazismo. Concludendo la prima parte de La guerra dei poveri, dopo un discorso di propaganda a cui aveva assistito una volta uscito dalla sacca, scrive parole dure, senza mezzi termini: «Cialtroni! Più nessuno crede alle vostre falsità, ci fate schifo: […] chi ha fatto la ritirata non crede più ai gradi e vi dice: “Mai tardi… a farvi fuori!”».

 

Dopo l’8 settembre Revelli organizza dapprima una formazione partigiana di pianura che battezza “1a Compagnia rivendicazione caduti”, poi prende i contatti con la formazione “Italia Libera” di Duccio Galimberti e Dante Livio Bianco, esponenti di spicco di “Giustizia e Libertà”. All’inizio Revelli è scettico, vorrebbe che la politica rimanesse fuori dalle formazioni partigiane, ma poi, grazie soprattutto all’influsso di Bianco, cambia idea: comprende che, cacciati i tedeschi e sconfitti i fascisti, occorre una prospettiva politica per l’Italia del futuro.

 


Paraloup, estate 2022 - foto dell'autore

Il 7 febbraio 1944 Revelli sale a Paraloup, una borgata che sorge a 1360 metri di quota. Scrive Giuseppe Mendicino in Nuto Revelli. Vita guerre libri (Priuli & Verlucca, 2019), «Paraloup non è un luogo di alta montagna […], Cuneo è davanti agli occhi, ma è comunque uno spazio libero e lontano, immerso nel silenzio di monti frequentati da pochi contadini e pastori». Questo «spazio libero» diventa in quei mesi una vera e propria officina di democrazia per circa duecento giovani saliti lassù: si condividono le fatiche della guerra partigiana, il freddo, la fame, si impara a maneggiare le armi, ma anche si discute. E per molti, cresciuti sotto il fascismo, è la prima volta. Annota ancora Revelli ne La guerra dei poveri: «Niente gradi, divise, stellette. Esiste una gerarchia non rigida, ma quasi elettiva: comanda chi meglio sa condurre gli uomini al combattimento».

 

Oggi la borgata Paraloup, dopo decenni di abbandono seguito alla fuga dei montanari verso valle, esodo raccontato da Revelli ne Il mondo dei vinti, è diventata un centro culturale e una comunità ospitante a seguito di uno straordinario progetto di recupero portato avanti a partire dal 2007 dalla Fondazione Revelli di Cuneo.

 

Ma torniamo a quei giorni. Il 29 febbraio 1944 tutto è pronto perché il reparto si divida per formare due bande, la I, al comando di Giuseppe Vento “Pino”, resta a Paraloup, la IV, al comando di Revelli, si sposterà nel Vallone dell’Arma il 18 marzo. Revelli non è solo un comandante capace, conduce, come il suo maestro Dante Livio Bianco, gli uomini con rigore morale. Scrive in Le due guerre. Guerra fascista e guerra partigiana (Einaudi, 2003): «Come a Paraloup, anche nel Vallone dell’Arma non facciamo requisizioni. Tutto quanto ci occorre lo acquistiamo. Una delle nostre regole è di rispettare la gente che ci ospita: rispettarla e proteggerla dai fascisti, dai tedeschi, dai banditi, dai delinquenti comuni. Quindi molta disciplina non formale, ma sostanziale. E chi sbaglia paga».

 

E si arriva così a quel 20 aprile, quando vengono avvistati i primi mezzi motorizzati tedeschi. Revelli e i suoi uomini sanno che sono lì per loro. E sanno che sono combattenti temibili, non come i fascisti. Scrive ancora in Le due guerre: «Non sono i fascisti che ci preoccupano. I fascisti – lo grido ben forte, perché li ho visti con i miei occhi – non sono dei combattenti […], arrivano sempre dopo i rastrellamenti, al seguito dei tedeschi. I fascisti sono feroci nelle rappresaglie contro la popolazione, contro gli inermi».

 

Alle 8:40 del 20 aprile cominciano i combattimenti: i partigiani dominano le creste e giocano sul fattore sorpresa. Lasciano venire avanti i tedeschi, quindi fanno saltare il ponte di San Maurizio, minato in precedenza. Revelli attua una difesa elastica della valle: i reparti aprono il fuoco e si sganciano prima che il nemico riesca a circondarli. Alle 15:00 scoppia un violento temporale di pioggia e grandine, che impone una pausa momentanea agli scontri, ma poi le sparatorie riprendono. Proseguiranno per tre giorni e tre notti, coi partigiani che si spostano verso il confine con la Francia, tallonati dai tedeschi.

 

Alle grange di Narbona, sulla displuviale tra le Valli Grana e Maira, i partigiani possono riposarsi. Lì, nella notte tra il 25 e il 26 aprile 1944, Revelli e i suoi uomini compongono una delle canzoni più celebri della guerra partigiana, La Badoglieide, aspro quanto ironico attacco al maresciallo Badoglio e al re Vittorio Emanuele III.

Il 27 i tedeschi individuano la banda e la accerchiano, ma ancora una volta i partigiani riescono a sganciarsi senza perdite, facendo ritorno in Valle Stura, dove i rastrellatori erano già passati.

 

La battaglia è durata oltre una settimana. Non sarà l’ultima; molti saranno ancora i combattimenti che i partigiani dovranno affrontare nei mesi successivi, e molti i patimenti, anche personali, che dovranno sopportare, Revelli in primis. Con un punto fermo però, ben annotato nel diario che diverrà La guerra dei poveri il 29 marzo 1944: «Una certezza ci spinge a pagare di persona: che questa è l'ultima guerra per un mondo migliore».

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