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Storia

Le montagne della Libertà: alle origini della Resistenza fra Veneto e Trentino

Sulle montagne di Recoaro Terme, fra Veneto e Trentino, nell’inverno 1943-44 si formò il primo nucleo partigiano delle brigate “Garemi”: lassù un pugno di uomini cercava la libertà dall’oppressione nazifascista

di
Michele Santuliana
21 gennaio | 12:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

11 gennaio 1944. L’albergo Spitz, sull’omonimo monte, è un vecchio edificio di pietra. Meta di escursioni per i villeggianti che d’estate affollano Recoaro per la cura delle acque, durante l’inverno è disabitato. Intorno soltanto neve e silenzio. La posizione, a 1125 metri, domina la sottostante “Conca di smeraldo” ed è  raggiungibile senza troppe difficoltà. Certo, ha lo svantaggio di essere difficilmente difendibile in caso di attacco, ma per il momento andrà bene.

 

È questo che pensano i giovani che lo raggiungono in quel lontano giorno di ottant’anni fa, la cui storia è raccontata da Giorgio Fin e Giancarlo Zorzanello nel volume Con le armi in pugno. Alle origini della Resistenza armata nel Vicentino: settembre 1943-aprile 1944 (Cierre, 2019). Sono sedici, forse diciassette, disarmati: sei, guidati da Giovanni Garbin “Marte”, provengono da Schio, gli altri, saliti da Vicenza e da Padova, sono agli ordini di Raimondo Zanella “Giani”. È lui ad aver assunto il comando del gruppo. Nato a Cadoneghe, in provincia di Padova, ha trent’anni non ancora compiuti, è cresciuto in una famiglia antifascista e da tempo è iscritto al P.C.I. clandestino. Dal partito ha ricevuto ordini precisi: condurre in montagna il primo nucleo di quello che dovrà diventare un reparto partigiano.


L'albergo Spitz in una cartolina degli anni Trenta. Collezione Claudio Pozza.

Siamo agli inizi del 1944: il nord Italia, dopo l’8 settembre 1943, è stato occupato dalle forze armate tedesche e le province di Bolzano, Trento e Belluno sono state annesse direttamente al Reich, a formare l’Operationszone Alpenvorland, la Zona di operazioni delle Prealpi. Territorio tedesco, dunque. I fascisti da parte loro si sono riorganizzati e hanno dato vita alla Repubblica Sociale Italiana, uno stato vassallo dei nazisti, che dà la caccia a sbandati, renitenti, oppositori politici ed ebrei. In questo contesto la valle dell’Agno, che da Montecchio Maggiore si snoda in direzione nord ovest fino a Recoaro, riveste un ruolo chiave: dal passo di Campogrosso si raggiunge infatti rapidamente la Vallarsa, e quindi il Reich. Inoltre Recoaro, coi suoi alberghi, è una località ideale per alloggiare truppe, protetta com’è dalle montagne. Per questo prima i fascisti e poi i tedeschi arrivano in massa a partire dalla fine del 1943. Dal settembre 1944 Recoaro ospiterà il comando supremo delle forze armate tedesche in Italia, guidate dal feldmaresciallo Albert Kesselring.

 

I membri del gruppo sanno che dovranno operare in un territorio difficile, ma possono contare sull’appoggio della popolazione locale e sul sostegno del partito e del C.L.N. Sono antifascisti e renitenti e sono decisi a combattere contro i nazifascisti. Per ora, tuttavia, non possono che aspettare ordini e soprattutto equipaggiamenti. “Giani” e “Marte” assicurano che arriveranno. E invece il primo ad arrivare, il 16 gennaio, è il parroco della vicina frazione di Fongara, don Severino Giacomello. La valle è piccola, e qualcuno ha notato che dal comignolo del vecchio albergo da alcuni giorni sale un filo di fumo. L’incontro non avrà conseguenze per il gruppo, ma lo avrà per il sacerdote. I fascisti infatti hanno le loro spie e qualche giorno dopo due individui, che si spacciano per antifascisti, si recano a Fongara. Il parroco li accoglie e, ingannato, si lascia sfuggire alcune parole di troppo. È quello che i fascisti cercano: il 25 gennaio don Giacomello è convocato in questura, quindi arrestato e trattenuto per tre mesi in carcere. Solo l’intervento diretto del vescovo di Vicenza gli consentirà di tornare in libertà.

 

Il gruppo riceve nei giorni successivi un’altra visita. Questa volta a salire allo Spitz è Felice Platone “Astesano”, commissario politico della Delegazione veneta delle brigate Garibaldi: si informa sul morale degli uomini e sulle loro necessità, prima fra tutti quella delle armi, di cui la nascente formazione ha estremo bisogno. Queste – promette – arriveranno presto. E difatti il 23 gennaio giunge il primo rifornimento: quindici fucili e quattro mitragliatrici sottratte, nei giorni convulsi dell’8 settembre, da Severino Visonà “Nave” e Pietro Tovo, detto “Piero Stella”, a militari italiani di stanza a Valdagno.

 

Ma ora è un altro il problema che assilla la banda partigiana: l’albergo Spitz diviene ogni giorno più insicuro. Troppe persone sanno che lì si sono installati dei forestieri. Così matura la decisione di spostarsi. A fine gennaio il gruppo lascia il vecchio rifugio, sale di notte alla conca di Pizzegoro e da qui percorre la ripida china di Monte Falcone fino a malga Campetto. La marcia, appesantita dagli equipaggiamenti e resa ancor più difficile dalla neve e dal vento, ha tuttavia buon esito e i partigiani riescono a raggiungere la malga, che trovano gelida e spoglia. L’edificio infatti è stato costruito per funzionare nei mesi estivi, e non certo per ospitare uomini in pieno inverno, ma consente di dominare completamente la zona, consentendo di avvistare movimenti da lontano; inoltre la sua posizione, fra le valli dell’Agno e del Chiampo, permette al reparto, se attaccato, di sganciarsi.


Malga Campetto oggi.

Presto il gruppo si arricchisce di nuovi arrivi, fino a contare ventisei partigiani. Si dà anche un nome, diventando il Distaccamento garibaldino “Fratelli Bandiera”. Sarà questo il primo nucleo delle future brigate d’assalto “A. Garemi”, che nei mesi seguenti si struttureranno nelle valli del Vicentino e del Veronese, al confine col Trentino. Ma diverse prove attendono la neonata formazione, la prima delle quali molto presto. Dal 16 al 18 febbraio 1944 la zona è infatti investita da un pesante rastrellamento messo in atto da circa 300 nazifascisti. I partigiani, avvertiti per tempo, si dividono in pattuglie e operano una difesa mobile, riuscendo a sganciarsi e a fuggire in direzione ovest, senza perdite sensibili, causando al nemico una ventina di caduti. Dopo lo scontro i patrioti si rifugiano nelle contrade delle valli dell’Agno e del Chiampo, accolti e nascosti dalla popolazione, che li rifocilla e li nasconde.


Malga Campetto vista dall'alto. Sullo sfondo la valle dell'Agno.

Nelle settimane successive i membri del “Fratelli Bandiera” prendono strade diverse: alcuni ritornano in pianura, altri si spostano sulle colline di Schio o sull’Altipiano dei Sette Comuni. Ma già una decina di giorni dopo il rastrellamento il gruppo si ricompone grazie all’arrivo di altri giovani in fuga dai bandi di arruolamento della R.S.I. e che sono venuti a conoscenza che sulle montagne sopra Recoaro c’è chi combatte, armi in pugno, contro i nazifascisti. Fra loro il diciannovenne vicentino Silvio Apolloni “Leo”, destinato, meno di due mesi dopo, a essere il primo caduto del distaccamento, e il ventunenne di Cittadella Luigi Pierobon, studente di Lettere presso l’Università di Padova. Di formazione cattolica, Pierobon si distinguerà fino a diventare, col nome di battaglia “Dante”, il primo comandante del battaglione “Stella”, una delle formazioni più importanti che presero origine dai giovani di Malga Campetto. Accanto a lui, primo commissario politico dello “Stella”, sarà Clemente Lampioni “Pino”, che aveva preso parte al combattimento del 16 febbraio. Caduti, a causa di una delazione, nelle mani dei nazifascisti mentre si trovavano a Padova, Pierobon e Lampioni saranno uccisi lo stesso giorno, il 17 agosto 1944. A Pierobon, il cui nome figura tra i caduti menzionati nel monumento alla Resistenza dell’Università patavina, è stata conferita la medaglia d’oro al valor militare.

 

Oggi dell’albergo Spitz non restano che alcuni lacerti di muro, immersi in un bosco di faggi che d’autunno si trasforma in un tripudio di luci e colori. Malga Campetto invece è ancora in piedi, silenziosa e deserta. Gli escursionisti che la visitano possono leggere una targa commemorativa apposta dalle sezioni ANPI della valle dell’Agno: «Qui, da Malga Campetto di Recoaro, / la lotta armata delle formazioni garibaldine / “A. Garemi” contro gli oppressori nazifascisti / si irradiò sui monti e nelle pianure del Vicentino, / nell’alto Veronese e nel Trentino / per la libertà, la democrazia, la giustizia».

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