Il vino dell'Etna è tra i più alti d'Europa. Viti ardite e ardenti, una viticoltura di mare e d'alta montagna in forte crescita tra storia, ingegno e fatiche
Il vino dell'Etna ha avuto una crescita esponenziale nell'ultimo decennio: neppure 700 ettari nel 2013, curati da un paio di centinaia di produttori, per giungere a quasi 1200 ettari e circa 400 viticoltori, per offrire quasi quasi 6 milioni di bottiglie Doc nel 2023
Ardite, pure ardenti. Perché viti che sfidano tempi e modi di una coltivazione a dir poco ancestrale e nel contempo moderno duello, tra il facile e appunto l’ardito, per ottenere un bere ‘montanaro’ assolutamente intrigante. Sono i vini dei vigneti d’alta quota sulle pendici dell’Etna. Vulcanici in tutto. Anche per i successi che riscuotono negli ultimi anni.
Sono ossimori di una viticoltura contemporaneamente di mare e d’alta montagna, vini che sanciscono legami di un crocevia di culture, sedimentate sulle pentici basaltiche del vulcano più riottoso d’Europa.
Viti come indicatori ambientali. Sanciscono limiti, scandendo il ritmo del territorio. Cultivar d’alta quota coltivate in filari che vegetano a quasi 1.300 metri, praticamente tra i più alti d’Europa. Dalla loro parte hanno storia, ingegno, fatiche e amori per la cura della terra e per l’evoluzione del vino.
Piante coltivate da millenni, radici nella diaspora dei superstiti della guerra di Troia, i primi girovaghi greci cultori del dio Dioniso, e dunque forieri di storie, tecniche e riti enoici. L’uva si pigiava (con i piedi) in palmenti, rudimentali quanto fondamentali vasche scavate nella pietra lavica, per dar vita a vini ancestrali, il rito più importante che il sorso. Sull’Etna si contano ancora alcune centinaia di queste strutture, microscopiche case-cantina dotate di palmenti ora usati come archetipi. Usati per valorizzare ogni dettaglio del carattere dei vini etnei, pregni di fascino e in gran spolvero, al punto da essere (di fatto) tra i vini attualmente più alla moda.
Merito di vignaioli veraci custodi di un areale vitivinicolo unico al mondo, talmente suggestivo da scatenare una corsa all’acquisto di terreni per certi versi impensabile. Con decine di aziende vitivinicole siciliane (non mancano intrecci societari con imprenditori di blasonate aree vitate del nord Italia) che hanno trasformato il vulcano in un business tra i più appaganti. Senza però svilire il fascino di questa montagna ardente.
Una crescita esponenziale: neppure 700 ettari nel 2013, curati da un paio di centinaia di produttori, per giungere a quasi 1200 ettari e circa 400 viticoltori, per offrire quasi quasi 6 milioni di bottiglie Doc nel 2023.
Vendemmie mirate, ogni azienda mediamente s’avvale di neppure un paio d’ettari di vigna, territorio fortemente parcellizzato, con differenze climatiche repentine, che cambiano a seconda dei quattro versanti etnei, con specifiche 133 aree chiamate Contrade, riconosciute da un apposito disciplinare di produzione.
Nerello Mascalese e, in misura minora Nerello Cappuccio, per i vini rossi, rosati e spumanti, Carricante e, in misura minore, Catarratto per i vini bianchi: sono i vitigni locali maggiormente impiegati per i vini Etna Doc.
I vini da vitigni a bacca rossa hanno conquistato da tempo il palato dei consumatori più esigenti, mentre i bianchi del vulcano rappresentano la categoria che recentemente più è cresciuta anche in termini di qualità, al punto che questa tipologia può tranquillamente competere ai più alti (non solo per quota montana) livelli internazionali.
Impossibile sintetizzare in poche righe il fascino e la nomea degli Etna Doc prodotti da una serie di minuscole quanto preparate cantine, vignaioli e giovani enologi che operano in sintonia con aziende d’alto lignaggio. Nomi come Planeta, Donnafugata, Firriato, Graci, Nicosia, e altri interpreti della più importante produzione vinicola siciliana. Curioso e determinante è il ruolo di alcune aziende che davvero coltivano l’Etna a quota oltre i 1000 metri, campi vitati come fossero sulle pendici delle Dolomiti.
Proprio sul confine più a sud del vulcano, nel comune catanese di Nicolosi, è coltivato il vigneto sul monte Mompeluso, un cornetto vulcanico oggi spento. Piante ‘ad alberello’ su un pendio davvero a prova di equilibrio, pendenze oltre al 30%. Vigne circondate da boschi e ulivi, spazi dove maturano pure cereali antichi che resistono al freddo come la Segale Irmana, una cultivar a rischio d’estinzione.
La gestione agricola è della famiglia Serafica, fondata nel 1950 da Andrea Serafica rientrato dall’America proprio per curare i vigneti più a sud del versante etneo. Figli e nipoti hanno ristrutturato i vigneti, costruito una cantina con attività pure didattiche, per diffondere giuste nozioni di cultura enoica.
Gestione fortemente improntata all’ecosostenibilità, in sinergia con tradizione e tecnologia d’avanguardia. Impostazione biologica per una economia circolare che riutilizza i sottoprodotti della lavorazione delle materie prime, impianti solari termici e fonti energetiche green.
Tra la gamma dei loro vini alcuni sono particolarmente legate all’altitudine: quelli della Vigna Mompeluso e specialmente i due legati all’inconfondibile stilema dell’habitat vulcanico, pure con il rafforzativo delle condizioni climatiche sfruttate dai vigneti. Sono il vino bianco ‘Grotta della neve’ e il portentoso Etna rosso ‘Grotta del gelo’.
Grotta nel nome, come rafforzativo, in onore dell’origine, viti attigue alle caratteristiche grotte vulcaniche, cunicoli con spettacolari gallerie, uniche quanto suggestive.
Vitigni e territorio, per bere centellinando nozioni storiche, suggestioni e sogni assolutamente vulcanici. Lo ribadisce Maria Ausilia, giovane imprenditrice della famiglia Serafica: “Fortunatamente abbiamo l’onore di produrre dei vini in una parte del mondo che tutti ci invidiano, in cui produciamo dei vini unici che pian piano stanno riuscendo ad essere apprezzati a livello commerciale e produttivo. Per noi si tratta di una grande possibilità, soprattutto per renderci ambasciatori di un territorio già fortunato di per sé”.
Il vino è unione, allegria, consente di creare delle sinergie che portano a importanti momenti di confronto e di scambio per instaurare delle relazioni decisamente legate alla cultura delle ‘terre alte’. Comprese quelle dell’Etna.
Nato a Stravino, micro-borgo rurale in Valle dei Laghi, tra Trento, le Dolomiti di Brenta e il Garda. Per 36 anni inviato speciale Rai in programmi e rubriche agroalimentari, filmmaker, da oltre 30 anni degusta vini per la guida del Gambero Rosso e ha pubblicato numerosi testi di cultura enogastronomica. È editorialista e colonna del quotidiano online ilDolomiti.it e per l'AltraMontagna racconterà di enogastronomia 'eroica', di Terre Alte ed alte quote, di buon vino e buon mangiare.