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Storia

Fra le montagne verso la salvezza, storia dell'alpinista Gino Soldà che aiutò a fuggire ebrei ed ex prigionieri

Ottant’anni fa, negli anni bui della Shoah, una rete di salvataggio, di cui faceva parte anche l’alpinista Gino Soldà, aiutò ebrei ed ex prigionieri alleati a fuggire in Svizzera

di
Michele Santuliana
13 gennaio | 12:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Febbraio 1944, stazione di Tirano. Il gruppo scende in fretta dal treno, dopo aver affrontato un viaggio difficile da Vicenza, fra cui un bombardamento americano su Verona. Lo compongono due famiglie, i Klein e i Landmann, più un giovane vicentino. La famiglia Klein è austriaca, ne fanno parte Alexander, la moglie, Agnes Schiller e i figli Oscar, che ha da poco compiuto quattordici anni, e Rosa, che fra non molto ne compirà sette. Agnes è affaticata, non sta bene e per di più è in stato di gravidanza avanzata. Osserva il gruppo e il suo sguardo incontra quello di Friedrich Moses Landmann. I Landmann sono invece di Monaco, ma sono divenuti apolidi dopo che il regime nazista ha tolto loro la cittadinanza. Con lui ci sono la moglie Barbara Eckl e il figlio Walter Heinz, che pure ha da poco compiuto gli anni, sedici per la precisione. Ma anche per lui, come per Oscar, c’è stato poco da festeggiare. Da anni entrambe le famiglie sono infatti in fuga dai nazisti. Il motivo è chiaro, sono ebrei.

 

Dopo innumerevoli peripezie e vani tentativi di raggiungere paesi neutrali, tanto i Landmann quanto i Klein alla fine di settembre 1941 sono stati internati dal regime fascista in provincia di Vicenza, ad Arsiero, un piccolo paese ai piedi delle montagne sulle quali, fra il 1915 e il 1918, ha infuriato la Grande Guerra. Sono alcuni fra gli oltre seicento ebrei provenienti da tutta l’Europa centro-orientale che le autorità fasciste hanno smistato nel vicentino. Con l’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania, nel giugno 1940, le misure contro gli ebrei si sono infatti inasprite e il duce in persona ha stabilito che gli ebrei stranieri presenti sul territorio nazionale fossero internati in appositi campi di concentramento. Tuttavia, dal momento che le strutture predisposte erano insufficienti per accoglierli tutti, il regime ha optato per il domicilio coatto in comuni dotati di edifici adatti ad accoglierli, lontano dalle infrastrutture di interesse militare e con un presidio di polizia sul territorio.   

 

Fino all’8 settembre 1943 la vita dei Landmann e dei Klein ad Arsiero è stata limitata, controllata, precaria: dovevano presentarsi ogni giorno alla locale stazione dei Carabinieri per registrare la propria presenza e, pur risiedendo in abitazioni del paese, non potevano avere contatti con la popolazione. Ma rispetto al rischio immediato di deportazione sono stati relativamente al sicuro. Hanno anche stabilito, nonostante i divieti e i controlli delle autorità, buoni rapporti con la popolazione locale, che, a parte qualche fanatico, non riesce a comprendere i motivi delle persecuzioni da cui queste persone stanno fuggendo. Cos’hanno fatto di male? Non sono in fondo persone normali, oneste famiglie come le altre? 


Rinaldo Arnaldi in divisa da ufficiale.

 

La situazione tuttavia precipita l’8 settembre 1943, quando l’Italia firma l’armistizio con gli Alleati e dal nord arrivano i tedeschi. Ora, con la nascita della R.S.I., gli ebrei sono in tutto e per tutto in un paese ostile, in cui nazisti e fascisti danno loro la caccia. È a questo punto che entra in gioco il giovane che li sta accompagnando: si tratta di Rinaldo Arnaldi, classe 1914, di Dueville, in provincia di Vicenza. Cresciuto in una famiglia cattolica profondamente antifascista, già ufficiale carrista, dopo l’8 settembre ha aderito senza esitazioni alla Resistenza, entrando in contatto, fra gli altri, con Torquato Fraccon


Torquato Fraccon - Foto Archivio Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Vicenza.

 

Nato nel 1887 a Pontecchio Polesine, Fraccon vive a Vicenza da molti anni, dove lavora come dirigente della Banca Cattolica del Veneto. Uomo di profonda fede cristiana, già membro del Partito Popolare, è uno degli esponenti di spicco dell’antifascismo vicentino. Nell’autunno del 1943 è tra i fondatori del C.L.N. provinciale e nei mesi successivi sarà promotore di una formazione partigiana cattolica, il batt. “Valdagno”, che opererà fra le valli dell’Agno e del Leogra e che sarà guidata dall’insigne alpinista Gino Soldà.


Gino Soldà nel 1954.

 

 

Ma Fraccon non si limita a costruire la Resistenza armata sulle montagne: ha infatti messo in piedi una fitta rete di salvataggio, a cui collaborano moltissime persone, che opera per consentire la fuga in Svizzera di ex prigionieri alleati, perseguitati politici ed ebrei. Proprio Soldà, come Arnaldi, è una delle guide che conduce i gruppi di fuggiaschi attraverso le montagne, fino alla salvezza. Un altro nome importante è quello di Luigi Massignan, all’epoca studente di medicina e vicecomandante del “Valdagno”, che diverrà nel dopoguerra un insigne psichiatra, collaboratore e amico del prof. Franco Basaglia.

 

Fra i viaggi condotti dallo stesso Soldà, almeno due furono per famiglie di ebrei. Un altro, descritto dallo storico valdagnese Maurizio Dal Lago nel volume Gino Soldà e il suo tempo. Un protagonista dell’alpinismo e la storia del Novecento (Cierre, 2008), vide Soldà e Arnaldi insieme per portare in salvo due ufficiali alleati, il tenente inglese James Riccomini e il tenente australiano Harold A. Peterson. Con loro era presente anche la sorella di Arnaldi, Mary, staffetta partigiana decorata di medaglia di bronzo al V.M., che raccontò allo storico l’episodio.

I viaggi per gli ebrei cessarono nella primavera del 1944, a causa dei rastrellamenti e delle deportazioni per mano nazista. Ma proseguì l’opera di protezione: molti perseguitati, singole persone e intere famiglie, furono ospitati e nascosti in tutto il Veneto, rimanendo al sicuro fino alla Liberazione.

 

Quella dei Klein e dei Landmann è una vicenda a lieto fine. Entrambe le famiglie trovarono infatti la salvezza in Svizzera e da qui presero strade diverse: i Landmann emigrarono in Inghilterra, i Klein negli Stati Uniti, dove Oscar fece strada nel mondo della musica, diventando un celebre trombettista jazz.

 

A questa storia è ispirato Oscar,  film del 2016 del regista vicentino Denis Dellai. Non è però che una delle tante storie che coinvolsero famiglie ebree presenti nel Veneto, in particolare in provincia di Vicenza, le quali riuscirono a salvarsi grazie alla rete messa in piedi da Fraccon assieme a tanti altri, religiosi e laici, donne e uomini giusti, storie che a partire dai primi anni Duemila sono state riscoperte e studiate e sono oggi raccontate in vario modo, a partire dagli studi di due storici del territorio, Paolo Tagini, autore del saggio Le poche cose. Gli internati ebrei nella provincia di Vicenza 1941-1945 (Cierre, 2006), e Antonio Spinelli, curatore, fra l’altro, del sito www.internamentoveneto.it, che raccoglie informazioni tanto sui perseguitati quanto su coloro che operarono per salvarli, a rischio della loro stessa vita. Purtroppo il destino non fu altrettanto generoso con Fraccon e Arnaldi, il primo arrestato e deportato col figlio Franco a Mauthausen, dove entrambi trovarono la morte, il secondo caduto in combattimento contro i tedeschi a Granezza, sull’Altipiano dei Sette Comuni, il 6 settembre 1944.

 

Torquato Fraccon e Rinaldo Arnaldi sono oggi riconosciuti Giusti fra le nazioni da Yad Vashem, l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah di Gerusalemme. Con loro il ricordo e la riconoscenza vanno a Soldà, a Massignan, che pure subì la deportazione a Mauthausen, e a tutte e tutti coloro che in tempi bui, a rischio della loro stessa vita, non esitarono a collaborare per nascondere e salvare le tante vite in fuga dal nazifascismo.

 

Storie a lieto fine che, se non cancellano l’onta del male perpetrato, rappresentano per noi oggi una speranza e un monito, giacché, come recita un versetto del Talmud reso celebre dal finale del film Schindler’s list, «chi salva una vita, salva il mondo intero».

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