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Sport

Scialpinismo alle Olimpiadi? "È una vergogna chiamarlo così". Il format non piace agli atleti: "Dovrebbero chiamarlo in un altro modo"

Lo scorso weekend, durante i Campionati del Mondo di Sci Alpinismo in Andorra, l'atleta francese William Bon Mardion, una leggenda della disciplina è rimasto immobile sulla linea di partenza, con le braccia incrociate sulla testa, mentre gli altri atleti partivano. Un gesto simbolico e forte, che ha dato il via a un'ondata di reazioni sui social media, sotto l'hashtag #SaveSkimo

di
Sofia Farina
30 gennaio | 06:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Lo scorso weekend, durante i Campionati del Mondo di Sci Alpinismo in Andorra, l'atleta francese William Bon Mardion, una leggenda della disciplina è rimasto immobile sulla linea di partenza, con le braccia incrociate sulla testa, mentre gli altri atleti partivano. Un gesto simbolico e forte, che ha dato il via a un'ondata di reazioni sui social media, sotto l'hashtag #SaveSkimo.

 

Le critiche degli atleti convergono su due temi principali: da un lato, il cambiamento climatico che rende sempre più difficile garantire percorsi autentici e fuori pista; dall'altro, la trasformazione dello scialpinismo per adattarsi al format delle Olimpiadi Invernali di Milano-Cortina 2026. La combinazione di questi fattori sta portando a competizioni che poco hanno a che fare con la vera essenza dello sport, snaturando la sua tradizione e il suo legame con la montagna.

 

Molti atleti hanno espresso il loro disagio nel vedere lo scialpinismo ridotto a una versione semplificata, pensata più per la televisione che per la montagna. Xavier Gachet, classe '89, noto e fortissimo membro della nazionale francese, ha descritto la gara di Andorra come un "circuito di piste da sci fresate", con discese segnate da cancelli e percorsi a piedi resi artificialmente più facili. "Se c'è neve, si sale con gli sci; se è troppo ripido, si sale a piedi. Niente di più semplice" ha detto, criticando la tendenza a modificare artificialmente i percorsi. Ed è proprio Gachet che, in poche parole, trova il modo di comunicare il paradosso della situazione corrente anche a chi non conosce molto questo ambiente: "Avete mai visto un nuotatore fare rana in una piscina vuota?".

Nelle parole degli atleti si coglie una nostalgia profonda, che non si sforzano di nascondere o velare. La ginnasta-skialper Rea Kolbl, cresciuta allenandosi nelle palestre slovene e poi innamoratasi dello sport in montagna durante i suoi anni statunitensi, ha ricordato il momento in cui, alla sua prima Coppa del Mondo, rimase affascinata da un ripido canalone naturale, simbolo della vera essenza dello scialpinismo: "Da allora, la neve è diminuita e le Olimpiadi sono entrate nella conversazione. Ma vedere che anche la disciplina individuale segue un percorso così artificiale mi rattrista".

 

 

 

 

 

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Il tema della spettacolarizzazione forzata dello sport, a discapito della sua tradizione, è il fil rouge di questa protesta interna alla disciplina, e si lega direttamente al fatto che questa sarà per la prima volta alle Olimpiadi Invernali l'anno prossimo, nell'edizione italiana: l'idea di un circuito olimpico pensato per essere più televisivo, con percorsi brevi e semplici, preoccupa molti. "Abbiamo festeggiato quando lo scialpinismo è stato annunciato come disciplina olimpica. Ma il risultato è che né gli atleti né i tifosi riconoscono più questo sport" si legge in uno dei post che contengono l'hashtag #saveskimo.

 

Emelie Forsberg, una delle atlete più conosciute e rispettate nel mondo dello scialpinismo, ha dichiarato: "Lo sport che sta andando alle Olimpiadi è una vergogna per il nome dello scialpinismo. Dovrebbero chiamarlo in un altro modo, perché non ha più nulla a che fare con il vero skialp." Anche Martina Valmassoi,  trailrunner e scialpinista italiana, detentrice del record di dislivello positivo fatto con gli sci in 24 ore, ha espresso il timore che i giovani atleti crescano con una visione distorta dello sport: "Mi rattrista vedere che i nuovi atleti guardano a questo modello e pensano che sia normale. Lo scialpinismo è altro."

 

Anche Axelle Mollaret, altro leggendario volto della disciplina e vincitrice della gara in Andorra, ha ammesso di non aver provato nessuna soddisfazione dopo il traguardo: "Sette anni fa, alla mia prima vittoria, mi sentivo entusiasta. Oggi mi chiedo cosa possiamo fare per salvare il nostro sport".

 

 

 

 

 

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Evidentemente, il cambiamento climatico è un fattore determinante in questo lento declino dello scialpinismo tradizionale: le nevicate scarse e imprevedibili rendono difficile l'organizzazione delle gare su dei percorsi adeguati. Tuttavia, molti atleti ritengono che la soluzione non sia spostare le competizioni sulle piste battute. La forte e rispettata Katia Tomatis, ha ricordato che gli scialpinisti si allenano in ambienti naturali e imparano a leggere la montagna: "La conoscenza della neve e del terreno era parte fondamentale dello sport. Ora sembra che tutto questo non conti più".

 

C'è anche chi, come Lorna Bonnelle, ha evidenziato che si tratti anche di un tema di volontà di impegnarsi a tutelare un certo modello di sport e competizione. Infatti, l'alteta ha commentato la vicenda dicendo che anche in Andorra c'erano zone di neve sufficiente per tracciare percorsi fuori pista, ma la scelta degli organizzatori è andata in un'altra direzione: "Non era una questione di sicurezza, era una questione di scelta. Una scelta sbagliata".

 

 

 

 

 

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Un post condiviso da Xavier Gachet (@xavier_gachet)

In sostanza, gli atleti chiedono che lo scialpinismo venga salvaguardato nella sua essenza: c'è chi suggerisce che il modello delle Olimpiadi si ispirari a gare iconiche come il Trofeo Mezzalama o l'Adamello Ski Raid, che mantengono il legame con la montagna, e chi, come Emelie Forsberg, propone di separare le due discipline: "Forse lo scialpinismo esisterà ancora nella sua forma originale, e questa nuova disciplina olimpica potrà avere un altro nome".

 

Il messaggio degli atleti è chiaro: lo scialpinismo non può essere ridotto a uno sport da stadio, snaturato dalla televisione e dalle esigenze olimpiche. William Bon Mardion ha acceso la miccia di una protesta che sta raccogliendo sempre più consensi. Il suo gesto ha dato voce a una comunità che non vuole arrendersi e che continua a lottare per preservare la vera anima dello skialp. Resta da vedere se la federazione ascolterà questo grido d'allarme o se il futuro dello sport sarà deciso solo da logiche di spettacolo e business.

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