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Cultura

Forbice, carta, sassi soprattutto: ritagliare la sagoma del territorio feltrino

di
Dalle vette feltrine
25 febbraio | 19:00

Come attività propedeutica alla stesura dei testi per questo blog ho pensato che potesse risultare interessante ritagliare da una cartina la sagoma del territorio feltrino. Non mi sbagliavo, anzi non potevo immaginare quanto sarebbe stato istruttivo.

 

Ero abbastanza preoccupato di identificare i confini soprattutto nel settore meridionale, per la scarsa dimestichezza che ho col massiccio del Grappa, pertanto avevo pensato di partire dalle creste nord delle Vette e procedere in senso orario partendo da Cima Dodici. Mi rendevo conto che sarebbe stato un’operazione assolutamente arbitraria, visto che non intendevo affidarmi a nessun'altra motivazione che la mia percezione dei luoghi; peraltro il mio taglio non avrebbe comportato nessun effetto pratico, avrei potuto in ogni momento bruciare carta e ritagli e riporre le forbici senza nessuna conseguenza. Nessun testimone avrebbe potuto svelare il fallimento. Il giochino si preannunciava dilettevole.

 

Non avevo considerato che la cialtronaggine, dettata dalla scarsa considerazione che nutro per ogni certezza, che esibisco spesso in pubblico, si trasforma in fredda ferocia quando devo rispondere solo a me stesso. Tagliare quella carta, soprattutto in corrispondenza delle zone che frequento spesso, mi ha impressionato intensamente, come se quel mio banalissimo atto potesse comportare qualche effetto in ogni valletta o pendio o sfasciume di sassi preso in carico al feltrino o abbandonato al dominio straniero.

 

Finalmente una sera mi ha visto seduto su un tappeto con un paio di forbici e una carta in scala 1:50000. Via a tagliare subito ampi tratti di territorio assolutamente non-feltrini: sinistra orografica del Piave, versante vicentino del Grappa, destra del Brenta...molto bene, la forbice taglia preciso e già la parte che resta si maneggia più confidente. Con soddisfatta precisione incido da nord, il naso a due dita dalla carta e la punta della lingua che sporge dalle labbra, un perfetto scolaretto diligente, e mi fermo dove l'accatastarsi fitto delle isoipse si placa: mi par di sentire l'acciaio sgramolare l'orribile baratro di rocce marce e precipizi che le nostre Vette mostrano ai trentini. Gli lascio volentieri quegli sfasciumi e il paio di viadi che li percorrono, avventurosi fin che si vuole ma pusterni. Per qualche istante, incidendo la carta, mi par di percorrere quel filo di creste, scavalcando mughe e concentrandomi ad ogni passo, no, ad ogni minima pressione delle dita sull'impugnatura di plastica celeste. Godendomi questa dolce rêverie nell'aria leggera dei duemila metri, raggiungo il passo Finestra, e mi coglie lo sgomento.

 

Ora c'è da puntare a nord, visto che sicuramente Neva e il Sass de Mura non san da strudel e canederli ma da polenta e sopressa: ma dove tagliare esattamente? Poso le forbici e visualizzo quei posti. Da queste parti il confine tra regioni l'ho imparato ai tempi del Covid, quando ho scoperto che il sentiero che raggiunge in rifugio Boz si inoltra per un breve tratto nel territorio della provincia di Trento per poi tornare in Veneto. Per peggiorare la situazione il rifugio è in territorio del comune di Cesiomaggiore, quindi feltrino, vieppiù vien gestito dalla sezione Cai di Feltre, ma è di proprietà del trentinissimo comune di Mezzano.

 

Quando si trattò di raggiungerlo in barba alle restrizioni, per quanto poco potessero importare in quei posti, il problema non mi causò null'altro che una vaga soddisfazione di delinquere. Ora mi blocco e cerco consolazione nella certezza che il Col di San Piero, che Francesco mi aveva consigliato per godermi un rientro panoramico scendendo da Neva verso il Rifugio Fonteghi, lo lascio ai trentini, noioso e interminabile, che si prendano pure Francesco… Ma poi proprio lui mi ricompare sul Piz de Sagron: guardiam giù assieme verso nord mentre le campane di mezzogiorno ci salutano da Sagron e ci dividiamo una scatoletta di sgombro e mi ripiglia la certezza che lì sì che so bene dove tagliare. Ma vado oltre e vedo tutto quel bosco infinito che da Tisèr si vede colmare valloni interi verso Agnellezze e poi verso la Morsecca e mi sembra che non possa essere altro che di sè stesso. Riprendo a sforbiciare sicuro giù per la valle del Mis, sicuro poi lungo il Cordevole e il Piave, ma non provo più nessun piacere. Risalgo cercando di identificare la cresta est del Tomatico, cerco il percorso della via degli Eroi, ma non mi sento per nulla convinto che cima Grappa possa essere considerata feltrina.

 

Mi coglie una sincera vertigine poi quando, ripedalando nel ricordo la salita in bicicletta fino in Celado, cerco di capire dove si possa far finire il feltrino chiedendolo pure al sapore del formaggio dei panini del Cacciatore, alla birra alla spina (hanno la Forst? Allora sì che siamo in trentino). Per poi capitolare definitivamente di fronte all'evidenza che Lamon è di Lamon e che pure Arsiè non so quanto abbia voglia di sentirsi di altri. L'operazione l'ho abbandonata deluso, i pezzi staccati appallottolati son finiti nella stufa e l'obbrobrio ritagliato lo strascino in giro per casa senza decidermi a buttarlo.

 

Una cosa sola importante ho imparato: vicino a Mellame c'è la Croce di Gian a 1279 metri di altitudine che si chiama come mi chiamano affettuosamente i miei cari e che non posso non voler raggiungere. E visto che ci sono vi racconto l'unica cosa certa, ovvero che il feltrino si sviluppa nei dintorni della città di Feltre. Che non si può pensare che Feltre non sia una città, per quanto piccola, visto per quante persone dei paesi vicini è un riferimento e per come gli abitanti di essa si comportano da cittadini. Mi scuso per lo scarso succo che potrete cavare da queste righe, affranto mi scuso, certo la prossima volta mi comporterò da persona seria. Da vero feltrino!

l'autore
Dalle vette feltrine

Dalle Vette Feltrine è uno spazio, curato da Gianugo Tonet e Giuseppe Gris, che si occupa di Feltre e del suo territorio dalla prospettiva del vivere in montagna o nel passo appena prima di essa. Un belvedere, quello offerto allo sguardo che si apre dalle Vette, anche per il pensiero ed il racconto, perché vivere la montagna non è qualcosa di diverso, come spesso si pensa, dal raccontare la montagna. Da studiarla, cercarla, scalarla e, perché no, anche inventarla.

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