Una famiglia sempre in viaggio: la madre gli impose un disegno al giorno per documentare i luoghi visitati. Così nacque il talento dell'artista John Singer Sargent
L'anniversario della nascita offre l'occasione di ripercorrere l’itinerario artistico di uno dei più dotati talenti pittorici della seconda metà dell’Ottocento. Conferiva alla scena quell’eleganza che andava praticando nella vita
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Come tatuate sulla pelle, le nostre origini rimangono in noi anche quando le circostanze della vita e una maggiore consapevolezza culturale apriranno percorsi inediti, conducendoci dove mai avremmo immaginato di andare. Il tempo trascorso in famiglia, le prime frequentazioni e i luoghi dell'infanzia, ancor oggi, contribuiscono a definire ciò che siamo.
Qualcosa di quel che è stato rimane, dunque. Questo lo si vede bene in chi produce arte e quando non accade significa che l’artista, in un mondo che si va globalizzando, per convenienza ha preferito agganciarsi agli umori del tempo, così da mascherare, all’interno del flusso creativo, la propria “identità originaria”.
Una premessa che trova ora modo di rafforzarsi ripercorrendo l’itinerario artistico di uno dei più dotati talenti pittorici della seconda metà dell’Ottocento, John Singer Sargent, nato a Firenze, in una casa non lontana da Ponte Vecchio, il 12 gennaio 1856. Il padre, chirurgo molto stimato, dopo la perdita della figlia primogenita di soli due anni, lasciò Filadelfia per l’Italia, assecondando il desiderio della moglie che, reagendo a quel dolore, aveva ritrovato nella memoria le tracce ancora fresche del viaggio fatto nel nostro paese quando era bambina. Intellettualmente molto vivace, oltre che curiosa e insofferente ai dettami del tempo, fu lei a segnare le tappe di quello che si rivelerà un viaggio definitivo: Firenze, ma anche Bologna, Napoli, Capri, Venezia, il Garda, il Tirolo.
Una famiglia senza fissa dimora, come si direbbe oggi, vissuta tra Italia, Francia e Inghilterra, con ripetuti soggiorni in Svizzera, Germania, Spagna, Olanda, persino Marocco. Sargent stesso di sé amava dire che era “un americano nato in Italia, istruito in Francia, che sembra un tedesco, parla come un inglese e dipinge come uno spagnolo”. Però, è difficile dar conto della sua crescita artistica senza porre in primo piano il ruolo svolto dalla madre, la quale impose a quel ragazzo estremamente dotato ma non ancora quattordicenne, per forza di cose libero da ogni impegno scolastico, di realizzare almeno un disegno al giorno per documentare i luoghi visitati. Un impegno quotidiano al quale egli non si sottrasse, esibendo una velocità esecutiva a dir poco sorprendente. Alla pittura arrivò successivamente, per compilare quei “diari”, scelse l’acquarello, tecnica mai abbandonata e di cui divenne maestro.
Nel maggio 1870, in fuga dopo due settimane da una Venezia rovente - giusto il tempo per capire la grandezza di Tintoretto, per Sargent “secondo solo a Tiziano e a Michelangelo” – raggiunse la fresca Svizzera: qui interi album iniziarono a riempirsi per documentare le Alpi bernesi: scorci boschivi, crepacci, montagne e ghiacciai. Ecco allora lo Schreckhorn e l’Eismeer, talvolta raffigurati in primo piano, altri posti in lontananza, per inserire nella composizione anche la vegetazione presente nelle quote più basse; qualche uccello, alcune figure o i caratteristici chalet, già presenti in quei luoghi.
Al rientro, suo padre, in una lettera indirizzata alla propria madre, scrisse: “Mio figlio John manifesta il forte desiderio di intraprendere la carriera artistica di pittore, dimostra chiaramente di possedere talento ed è tale il piacere che trae nel coltivarlo che siamo giunti alla decisione di assecondarlo e di considerare seriamente questa possibilità per il suo futuro percorso di studi”. In realtà trascorse un po’ di tempo, sin tanto che i Sargent non giunsero a Parigi. L’anno era il 1874, proprio in coincidenza con la prima mostra degli Impressionisti organizzata nello studio del fotografo Nadar. Il futuro di John Singer Sargent è segnato. Con immensa ammirazione inizia a guardare soprattutto Claude Monet, tanto che, successivamente, riuscirà ad acquistare un suo quadro e a diventargli amico. Non meno, rimane affascinato dalla lucentezza timbrica presente nelle opere di Edouard Manet.
Quando gli si presenta l’occasione, entra come allievo nelle lezioni di pittura tenute da Carolus-Duran, ritrattista celebre in tutta Parigi: in lui ritrova sia Monet che Manet. Stilisticamente vicino al secondo, egli però invitava i suoi allievi a dipingere “au premier coup”, con energiche pennellate, senza quadrettare la tela o impostarla con precisi disegni preparatori.
Il primo viaggio verso l’America di John Singer Sargent avviene nel 1876, data successiva a quella di Parigi e di tante altre località europee. Altre volte vi tornò, per eseguire ritratti, organizzare esposizioni o per cercare nuovi spunti. Come quando, nel 1916, si avventurò nel Parco Nazionale dei Ghiacciai nel Montana e in quelli istituiti a ridosso delle Montagne Rocciose canadesi.
Nel 1876 aveva vent’anni. Eppure, prima di allora, la sua terra, non ancora visitata e, tanto meno, raffigurata, era già presente in ciò che andava dipingendo. Fece di tutto per immergersi nel clima artistico europeo, costeggiando da vicino l’arte francese (senza nutrirsi di solo Impressionismo), quella spagnola cercando di carpire qualche segreto dalla tavolozza di Velazquez in particolare; guardò i Macchiaioli italiani, la stordente andatura di Boldini e il Verismo di Antonio Mancini. In Olanda, Franz Hals, poi la grande tradizione della pittura inglese, studiata da vicino a Londra (città nella quale morirà nel 1925). Nonostante tutto ciò, Sargent non volle o non fu mai in grado di sollevare dai suoi dipinti quella pellicola impermeabile che, pur permettendo alla luce di filtrare, già separava il modo di intendere l’arte. La sua base percettiva della realtà, infatti, è differente, non solo perché rimane legata al particolare, colto con destrezza e grande precisione - questa minuzia è infatti possibile ritrovarla anche in molti pittori del nostro Ottocento - diversa nei suoi dipinti è l’atmosfera e il modo di porre il soggetto. Tenendo lontano ogni interrogativo esistenziale, egli conferisce alla scena quell’eleganza che andava praticando nella vita.