Abusi e molestie sessuali, per le donne l'alpinismo è anche questo. Ma qualcosa sta cambiando: da #SafeOutside alla testimonianza di Lotta Hintsa
Un articolo pubblicato dal New York Times (e prontamente condiviso su tutte le piattaforme da atleti noti in tutto il globo) e contenente un'intervista all'alpinista professionista Lotta Hintsa fa luce su un problema che spesso trova poco spazio nella narrativa del mondo dell'alpinismo: quello degli abusi e delle molestie sessuali
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Il New York Times ha recentemente pubblicato un articolo che ha fatto scalpore all'interno della comunità degli alpinisti, venendo ripreso e ricondiviso sulle pagine social di atleti molto famosi, e dedicato al tema dei rischi che le donne si trovano a correre nel corso di imprese alpinistiche, che non risiede solamente nel contesto ambientale inospitale.
Come riporta il New York Times, in una biografia pubblicata a dicembre, l'alpinista professionista Lotta Hintsa ha descritto brevemente un incidente sconvolgente con un “alpinista maschio molto famoso” di cui non ha fatto il nome. Secondo il racconto, durante una discussione d'affari nel marzo 2023 nella suite d'albergo dell'uomo a Kathmandu, in Nepal, egli “baciò Lotta completamente senza preavviso" dando origine a una “situazione era assurda, irreale e sgradevole”.
Il peggio però, deve ancora venire, infatti intervistata dalla testata statunitense, Hintsa ha raccontato come la sua esperienza sia stata più ben inquietante di quella descritta nel libro e come la sua storia in realtà metta in luce una preoccupazione di cui le donne nel mondo dell'alpinismo stanno iniziando a parlare più apertamente.
Hintsa ha aggiunto particolari al racconto e raccontato che l'uomo citato nel libro era il famossissimo Nirmal Purja, noto per l'impresa del 2019 di scalare tutte le 14 vette di 8.000 metri del mondo in un tempo record, che tramite i propri legali, ha rifiutato le richieste di intervista e "negato inequivocabilmente le accuse di illecito. Queste accuse sono false e diffamatorie”.
Con la popolarità dell'alpinismo d'alta quota, le donne sono diventate sempre più presenti in uno sport ancora largamente dominato dagli uomini. Le statistiche del Monte Everest testimoniano questa tendenza: l'anno scorso, 65 donne hanno raggiunto la vetta - circa il 10% degli scalatori che hanno raggiunto la cima - rispetto alle 45 del 2013 e alle sole 10 del 2003, secondo l'Himalayan Database.
Tuttavia, come spiega l'articolo, negli ultimi anni, i membri della comunità alpinistica in generale hanno riconosciuto che questo sport comporta anche dei rischi invisibili e sempre più di esse si fanno avanti per raccontare le proprie esperienze, tanto che nel 2019, un gruppo di arrampicatrici professioniste ha aperto un account Instagram “per parlare dei messaggi, delle foto e delle sollecitazioni ridicole e inappropriate" ricevute nel tempo. L'account, ora chiuso da parte della stessa piattaforma, condivideva schermate di messaggi molesti inviati alle donne che praticano questo sport (alcuni si possono trovare qui).
A febbraio, un alpinista di 39 anni di nome Charles Barrett è stato condannato per tre capi d'accusa di abuso sessuale per aver aggredito ripetutamente una donna che stava visitando lo Yosemite National Park per un'escursione di un fine settimana. Secondo la nota del procuratore "il signor Barrett aveva usato la sua fama e la sua presenza fisica come scalatore per adescare e intimidire le vittime che facevano parte della comunità degli scalatori".
Nelle interviste rilasciate al Times, Hintsa e un'altra donna, ex cliente della compagnia di guide d'alta quota del signor Purja, hanno descritto le esperienze degli ultimi anni in cui il signor Barrett le ha baciate senza consenso, ha fatto loro avances aggressive o le ha toccate sessualmente contro la loro volontà. Hanno detto di essersi sentite impotenti e di aver temuto di far arrabbiare il signor Purja.
Il mondo dell'outdoor, con il tempo, ha iniziato ad affrontare il tema degli abusi e delle molestie sessuali, tant'è che in risposta al movimento #MeToo, nel 2018 i membri della comunità di arrampicata degli Stati Uniti hanno creato un'iniziativa chiamata #SafeOutside per studiare la portata del problema. Intervistando più di 5.000 scalatori provenienti da oltre 60 Paesi, i promotori dell'iniziativa hanno scoperto che il 47% delle donne e il 16% degli uomini hanno dichiarato di aver subito comportamenti sessuali indesiderati durante l'arrampicata. Qualche mese fa, The Mountaineers, un gruppo ricreativo all'aperto del Pacifico nord-occidentale, ha creato un comitato consultivo per la prevenzione delle molestie sessuali e delle aggressioni per affrontare il rischio tra i suoi 15.000 membri.
“È la posizione più vulnerabile che possa immaginare”, ha dichiarato Alison Levine, capitano della prima spedizione americana femminile sull'Everest nel 2002, che ha raccontato di aver subito abusi verbali e comportamenti minacciosi da parte di una guida durante il viaggio. Levine ha continuato: “La cosa più impegnativa, più spaventosa e che ha prodotto più ansia e paura su quella montagna è stata causata da un essere umano, non dall'ambiente”. Non è tornata sulle grandi montagne per altri cinque anni, poi è tornata sull'Everest nel 2010 e ha raggiunto la vetta.
“Il rischio intrinseco all'ambiente stesso è molto elevato”, ha dichiarato l'autrice. “Quando si aggiunge il rischio derivante dalle relazioni interpersonali, la cosa diventa ancora più spaventosa”.