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Ambiente

Il "paradosso dell’estinzione": capirlo è fondamentale per comprendere gli incendi di Los Angeles (e anche quelli mediterranei)

Le immagini dei devastanti incendi che hanno colpito Los Angeles continuano a impressionare e far riflettere, ponendo interrogativi validi anche per i nostri territori. A differenza di molti politici, come Donald Trump, che ha attaccato il sistema di lotta della California, gli esperti di incendi invitano a porre l'attenzione sul tema della prevenzione a scala di paesaggio. “Occorre cambiare la cultura della gestione del rischio” sottolinea il Centro Euro Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, “​passando da un approccio basato sulla risposta a strategie basate sulla prevenzione e sulla preparazione del territorio e delle comunità”

di
Luigi Torreggiani
20 gennaio | 06:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Le immagini dei devastanti incendi che hanno colpito Los Angeles, provocando almeno 27 morti e migliaia di case e infrastrutture distrutte, continuano a impressionare e far riflettere, ponendo interrogativi validi anche per i nostri territori. Recentemente il Centro Euro Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici - CMCC Foudation, ha pubblicato sul proprio profilo Linkedin alcune considerazioni assai degne di nota in questo senso.

 

“Gli incendi boschivi che stanno devastando Los Angeles sono un ulteriore esempio di come la frequenza e l'intensità degli incendi incontrollati siano in aumento a causa di una combinazione di cambiamenti climatici e di uso del territorio”, spiega il CMCC nella nota, sottolineando come la regione Mediterranea sia l'area più colpita dagli incendi in Europa, con tre delle peggiori (e mai registrate) stagioni per gli incendi concentrate negli ultimi sei anni.

 

Quando accade qualcosa di sconvolgente come ciò che è avvenuto a Los Angeles viene immediatamente da puntare l’attenzione ai sistemi di lotta agli incendi, pensando a qualche falla organizzativa del sistema. È successo anche negli Stati Uniti, dove la speculazione politica del neopresidente Donald Trump contro il Governo della California - uno Stato storicamente in mano ai Democratici - ha puntato il dito proprio contro l'organizzazione (a suo avviso inadatta) del sistema di lotta, che in realtà è uno dei più avanzati al mondo. Ancora in pochi, purtroppo, si concentrano sul tema della prevenzione, su cui invece, da ormai molto tempo, i maggiori esperti di incendi chiedono di porre più attenzione (e investimenti).

 

“La politica di concentrarsi in modo sproporzionato sulla lotta agli incendi non funziona, perché i tipi di incendi a cui assistiamo oggi non sono più controllabili”, spiegano Costantino Sirca (CMCC) e Valentina Bacciu (CNR-IBE), “le cause sono spesso una combinazione di vegetazione e clima, che rendono zone come il Mediterraneo, la California e l’Australia, ad esempio, particolarmente predisposte agli incendi”.

 

Spesso questa “predisposizione” deriva paradossalmente proprio dalla bravura dei sistemi di lotta, e non dal contrario. Capire quello che viene definito il “paradosso dell’estinzione” è quindi fondamentale per comprendere che, come sottolinea il CMCC, la chiave di volta va trovata: “Nel cambiare la cultura della gestione del rischio, passando da un approccio basato sulla risposta a strategie basate sulla prevenzione e sulla preparazione del territorio e delle comunità”.

Il “paradosso dell'estinzione” è stato spiegato magistralmente a L'AltraMontagna da Giuseppe Mariano Delogu, in un'interessante intervista realizzata la scorsa estate.

 

“Il mondo occidentale, soprattutto dalla seconda metà del secolo scorso, ha ritenuto di poter eliminare il problema degli incendi con una strategia di stampo quasi "militare": un attacco contundente sui primi focolai, per evitare che si espandano”, ci aveva spiegato Delogu, “così ha sviluppato potenti strutture terrestri ed aeree che sono in grado di intervenire efficacemente sul 90% degli eventi nelle giornate a meteorologia "tranquilla", dove le fiamme di ogni singolo evento vengono domate in fretta, limitando i danni a piccole superfici”.

 

Il vero problema sono però le "giornate estreme", che purtroppo in molte estati, in ambiente mediterraneo, sono oggi la normalità, con temperature maggiori di 35°C, umidità relativa minore del 15-20% e venti forti e variabili. “Quando gli incendi partono in queste condizioni meteorologiche”, continuava Delogu, “il sistema collassa, non essendo più in grado di intervenire efficacemente. Così pochi, singoli eventi si trasformano rapidamente, diventando ampi e devastanti. Il cosiddetto paradosso dell'estinzione è questo: quanto più abili si è diventati a spegnere i primi focolai nelle giornate tranquille, tanto più si è inermi nelle giornate e nei luoghi critici”.

 

A confermare la visione di Delogu è anche un'importante voce statunitense, quella di Stephen Pyne, scienziato che ha dedicato l'intera carriera allo studio degli incendi, che in un articolo apparso sul sito della Forest History Society ha spiegato: “La fusione tra paesaggi urbani e naturali ha compromesso la protezione antincendio nella sua stessa essenza. Se i focolai più lievi vengono immediatamente spenti, il combustibile non bruciato alimenta incendi devastanti. Se ogni incendio urbano che viene spento è considerato un problema risolto, tanti incendi boschivi spenti sono di fatto altrettanti problemi rinviati”.

Tanti incendi boschivi spenti sono di fatto altrettanti problemi rinviati: ecco il paradosso. Più siamo bravi a spegnere in fretta, più la biomassa aumenta in modo incontrollato. E in assenza di una gestione attiva di questa vegetazione nelle aree a rischio, la natura lasciata incontrollata prepara, anno dopo anno, una bomba pronta ad esplodere. È esattamente così che nascono i cosiddetti “megafires”, i nuovi grandi incendi, quelli più temuti nell’epoca odierna, caratterizzata soprattutto in ambiente mediterraneo dal combinato disposto di abbandono dei territori rurali da un lato e crisi climatica dall'altro. Anche da noi, come a Los Angeles, c'è sempre meno spazio tra boschi e case, il paesaggio è sempre meno variegato e così le fiamme, in quei giorni critici che mandano in crisi i sistemi di lotta, corrono veloci, avvicinandosi sempre più a paesi e città, proprio come sta accadendo in California. 

 

Delogu sintetizzava la sua “ricetta”, condivisa dalla stragrande maggioranza degli esperti del tema, con queste parole: “Occorre passare dal solo approccio militare, che rischia di fallire nel paradosso dell’estinzione, a una gestione del territorio a tutto tondo, fatta di interventi di selvicoltura preventiva nelle aree forestali e basata su una progettazione complessiva di paesaggi agro-silvo-pastorali più variegati e perciò più resistenti e resilienti. Occorre reintrodurre, ove possibile, il fuoco prescritto e il pascolo prescritto, per ridurre il combustibile e la sua continuità nello spazio. Occorre potenziare le fasce parafuoco ai margini degli insediamenti urbani, magari attraverso fasce attive agricole (vigneti, orti urbani, prati), per disegnare un mosaico di biodiversità e di economie, anche tradizionali. Occorre investire nella percezione del rischio da parte delle persone e nella formazione tecnica sull'uso responsabile del fuoco”.


Manutenzione di un viale parafuoco mediante la tecnica del fuoco prescritto (foto Luca Tonarelli)

“Eppure le riforme stanno avanzando”, spiega nel suo articolo Stephen Pyne riferendosi alla California, “sono state mappate le aree a rischio incendi. Sono stati introdotti codici edilizi per rendere le strutture più resistenti alle scintille e alle fiamme. Le nuove comunità tendono ad essere meno vulnerabili agli incendi rispetto alle vecchie. Si stanno reintroducendo gli incendi controllati e i progettisti del paesaggio stanno esplorando soluzioni per le aree di interfaccia urbano-foresta. Tuttavia, la questione cruciale riguarda la velocità e la scala: i rischi si stanno espandendo e intensificando più velocemente delle risposte della società”.

 

“Sempre più, la California è come il resto del mondo moderno, ma amplificata”, chiosa l’esperto statunitense, “I megafires sono diventati una patologia dei paesi sviluppati. In America il problema è spesso legato all'espansione degli insediamenti in aree a rischio; in Europa, all'abbandono delle terre. Ma la causa comune risiede nel modo in cui la modernità, sostenuta dai combustibili fossili, ha modellato la vita umana”. 

 

Lo scorso 13 gennaio, a Padova, è stato organizzato un importante convegno sul tema delle “comunità FireWise”. Si tratta di un approccio innovativo, nato proprio negli Stati Uniti, dove i cittadini di paesi e città a rischio incendi sono coinvolti direttamente nella gestione delle attività di prevenzione, per fare in modo che ciascuno assuma piena consapevolezza del livello di rischio presente sul proprio territorio mettendosi al tempo stesso a disposizione per aiutare ad abbassarlo il più possibile. Si tratta di una delle strategie fondamentali da mettere in atto urgentemente, assieme alla pianificazione che sta alla base delle attività agro-silvo-pastorali di prevenzione a scala territoriale.

 

Solo ripartendo dalla gestione attiva dei territori e dalle comunità, quindi contrastandone l'abbandono, riusciremo ad adattarci ai nuovi incendi amplificati dalla crisi climatica, superando quel paradosso dell’estinzione che a Los Angeles, come in Australia e nell’area mediterranea, ci sta mettendo di fronte, in modo lampante, alla necessità di un netto cambio di paradigma. 

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