Contenuto sponsorizzato
Ambiente

“I Parchi di montagna devono sporcarsi le mani: non solo tutela, ma anche promozione dell’economia locale”. Un nuovo libro apre riflessioni sul futuro delle Aree protette

L'uscita di un interessante saggio, intitolato “Il futuro dei Parchi”, apre numerose idee e riflessioni sulle Aree protette di montagna nel contesto socio-economico-ambientale attuale e dei prossimi decenni. Questo articolo-intervista con uno dei due co-Autori, Enzo Valbonesi (primo Presidente del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, nonché uno dei fondatori di Federparchi), si propone come primo passo per un dibattito aperto su questo tema centrale per le Terre Alte

di
Luigi Torreggiani
07 giugno | 18:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Da poco più di un anno il Parco Nazionale del Gran Paradiso e il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise hanno festeggiato il loro primo secolo di vita. Un traguardo importante, che tuttavia è arrivato in un momento di stasi per i Parchi italiani. Dopo una stagione di grande interesse politico e sociale verso questi strumenti, culminata con la Legge quadro 394 del 1991, l’Italia è arrivata ad avere 24 Parchi Nazionali, 148 Parchi Regionali e 29 Aree marine protette. Ma dai primi anni del nuovo millennio questo processo si è sostanzialmente arrestato e, anche nel discorso pubblico, l’idea stessa dell’istituzione di un Parco non genera più entusiasmo e dibattito come tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso.

 

Con l’obiettivo di analizzare questo particolare momento storico e riflettere su nuove visioni, è da pochi mesi uscito per Il Ponte Vecchio un libro molto interessante, intitolato “Il futuro dei Parchi”, scritto a quattro mani da Enzo Valbonesi e Oscar Bandini.

 

Enzo Valbonesi è un’istituzione per chi si occupa di Parchi in Italia, uno dei protagonisti di quella stagione così fertile che ha visto la nascita di molte Aree protette nel nostro Paese. Valbonesi, infatti, è stato il primo Presidente del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, nonché uno dei fondatori di Federparchi (la Federazione dei Parchi italiani), prima di essere stato nominato Responsabile del Servizio Parchi e Risorse forestali della Regione Emilia-Romagna.

 

Lo abbiamo contattato per affrontare insieme questo tema ampio e complesso, chiedendogli innanzitutto come mai un libro che ha “futuro” nel titolo... in realtà parte dal passato.

 

“Il libro è innanzitutto finalizzato a fissare gli eventi politico-amministrativi che nel versante Romagnolo hanno preceduto l’istituzione del Parco, prima regionale e poi nazionale”, ci ha raccontato Valbonesi, “ne descrive le tappe per ricordare una storia che altrimenti rischiava di disperdersi. Del resto, conoscere i temi del dibattito, i suoi principali protagonisti e le ragioni dei contrasti che hanno contrassegnato quegli anni può servirci a riflettere meglio, oggi, sul futuro di quel Parco, da intendere non tanto o non solo come un soggetto istituzionale con proprie e distinte finalità, bensì come uno strumento nuovo per gestire un territorio speciale nell’epoca della perdita della biodiversità e della crisi climatica”.

 

Dal passato al futuro quindi, ripercorrendo quella che Valbonesi descrive come “un’avventura iniziata lungo un percorso inedito” ma che, nella sua visione, ha sempre concepito il Parco come “uno strumento-processo in continuo divenire che cammina sulle gambe delle comunità”.

Comunità è una parola chiave del libro. Di quel periodo che ha preceduto la creazione del Parco di cui è stato Presidente, infatti, secondo Valbonesi andrebbero oggi rispolverate proprio la speranza e il protagonismo locale che erano alla base del progetto. Un progetto che puntava a mettere a valore le risorse naturali, senza alterarle, ma puntando al tempo stesso a migliorare la qualità della vita delle popolazioni, promuovendo quindi un rilancio economico e sociale del territorio appenninico.

 

“Quelle speranze si sono oggi molto affievolite, perché l’istituzione del Parco, già a soli pochi anni dalla sua nascita, è stata interpretata come un punto d’arrivo e non come un punto di partenza”, spiega Valbonesi con dispiacere, entrando nel cuore dei contenuti del saggio, un libro che porta con sé anche riflessioni molto amare, ma necessarie. “Dopo il primo periodo, caratterizzato dalla strutturazione delle attività, non si è sentito il bisogno di intraprendere la fatica più dura e più complicata: quella per promuovere lo sviluppo sostenibile e, con esso, costruirne il profilo identitario, mettendo al centro l’animazione dello sviluppo locale, in un rapporto fecondo con le popolazioni dei comuni coinvolti, in particolare con le forze imprenditoriali e con i giovani”.

 

Sono temi, quelli appena sollevati, ovviamente molto sentiti da noi de L’AltraMontagna, che siamo rimasti assai colpiti anche da un altro tema chiave affrontato nel libro: l’autoreferenzialità. In un contesto storico molto differente da quello di altri Paesi, i Parchi italiani hanno costruito, secondo Valbonesi, “un’identità a macchia di leopardo”, senza una regia coordinata tra Stato centrale e Regioni a cui ha cercato di supplire, ma riuscendovi solo in parte, proprio Federparchi.

 

“I Parchi, loro malgrado, hanno finito inevitabilmente per rifluire in uno stato di isolamento che li ha spinti ad una sorta di autoreferenzialità”, spiega l’Autore con disappunto, “e non c’è cosa peggiore, per dei soggetti come i Parchi, di chiudersi in sé stessi. Una tendenza, quella dell’isolamento, che è un po’ insita nella natura di questo istituto speciale per la gestione del territorio, che si fonda da un lato sulla sua specialità e, dall’altro, sulla logica del dentro e del fuori. Doveva essere compito della politica nazionale imprimere un’impostazione che superasse la logica dei Parchi come tante "fortezze assediate", per farli sentire invece parte di una rete, in cui ognuno esalta sì le proprie specificità, ma all’interno di una strategia più generale”.

 

E invece, soprattutto a seguito della riforma del titolo V della Costituzione, sono stati aboliti gli strumenti nati con la legge del 1991 per dare continuità ed organicità al dialogo interistituzionale, come il Comitato paritetico per le Aree protette e, di conseguenza, i programmi triennali a favore dei Parchi. “Da quel momento ognuno ha fatto per sé”, sottolinea l’Autore, e il tema dell’autoreferenzialità, da qui derivato, è diventato uno dei grandi problemi dell’attualità.

“Nel libro parliamo di autoreferenzialità in riferimento alla tendenza che si è affermata nella gestione dei Parchi da parte dei singoli Enti, soprattutto quelli nazionali, per moto proprio”, spiega Valbonesi, “si sta imponendo, purtroppo, una concezione quasi proprietaria da parte di alcuni Direttori e Presidenti, che affidano la loro legittimazione non tanto al dialogo e al rapporto continuo con le istituzioni locali, bensì su una sorta di "delega in bianco" da parte Ministeriale. Così si determina l’allontanamento di molti Parchi dalle aspettative e dai fermenti delle comunità locali, che in molti casi vivono gli Enti gestori con indifferenza, o peggio, con diffidenza e distacco”.

 

Occorre ricordare che i Parchi, in alcune aree interne del Paese piene di enormi problemi sociali, erano stati visti, almeno da una parte della popolazione, come occasioni di rinascita. “Spesso le popolazioni locali non percepivano più l’importanza delle loro foreste, della ricchezza faunistica o del paesaggio”, evidenzia infatti Valbonesi, “ecco che, a mio avviso, occorreva far percepire i Parchi come soggetti veramente innovativi ed utili per perseguire la tutela come modalità anche di valorizzazione, attraverso un binomio di azioni indissolubile e sinergico per il successo dei Parchi montani italiani. Questo solo in pochi casi si è determinato concretamente, anche per il venire meno di politiche nazionali verso le aree montane che avrebbero dovuto rimarcare una specificità particolare rivolta a quei territori che ospitano le Aree protette”.

 

Il tema del possibile equilibrio tra tutela e sviluppo è ovviamente centrale, ma per perseguirlo bisogna passare da innumerevoli e inevitabili conflitti. Valbonesi su questo non ha dubbi: “Per ridurre al minimo i conflitti serve un’azione preventiva, da sviluppare in un giusto mix di normative regolative e di attività dimostrative che proprio il Parco deve mettere in campo, offrendo all’imprenditoria privata delle opportunità tali da indirizzare il loro operato verso la sostenibilità e puntando sulla qualità. Un esempio potrebbe essere quello di valorizzare piccole filiere del legno locale, accompagnando i proprietari verso forme moderne di associazionismo e un utilizzo razionale delle proprie foreste. Si esce dall’autoreferenzialità solo sporcandosi le mani! Costruendo la propria accettabilità andando oltre una logica unicamente protezionistica che, per chi gestisce, è spesso un comodo rifugio”.

In particolare, Valbonesi ci tiene a rimarcare che questo approccio sarebbe auspicabile proprio nelle Aree protette delle zone montane: “A mio avviso i Parchi, in questi contesti territoriali, non devono soltanto regolare, controllare e al massimo promuovere la cultura dell’educazione e della conoscenza della natura. Queste possono essere le missioni prevalenti dei Parchi costieri, delle isole o dei Parchi fluviali, ma non certo le uniche finalità dei Parchi di montagna”.

 

La stragrande maggioranza dei Parchi italiani, oltre il 70%, interessano aree montane fortemente segnate dai problemi dello spopolamento, dell’invecchiamento della popolazione, dell’emigrazione dei giovani, della rarefazione dei servizi e delle imprese. Non dappertutto, per fortuna, la situazione è quella descritta da Valbonesi: generalizzare è sempre sbagliato ed è importante conoscere e raccontare anche le esperienze positive maturate in alcuni territori. Detto questo, però, gli “Altri Parchi” immaginati e descritti da Enzo Valbonesi e Oscar Bandini potrebbero davvero essere un obiettivo a cui tendere nelle “Altre Montagne” del futuro. Ricostruire una governance che vada in questo senso, a partire da una revisione della Legge 394/1991 in chiave moderna, potrebbe rappresentare una linea d'azione comune a cui lavorare creando sinergie tra più sensibilità, visioni e interessi.  

 

Senza voler trovare una “ricetta preconfezionata” - azione sempre limitante in territori diversificati e complessi - auspichiamo che, a partire da questo articolo e da questo libro, possa svilupparsi un interessante dibattito sulle nostre pagine proprio attorno al tema delle Aree protette di montagna. Si tratta infatti di un argomento centrale per chi, come noi, pensa che le Terre Alte, nel prossimo futuro, possano rivelarsi “un laboratorio socio-ambientale per sperimentare buone pratiche”, trasformandosi così “da luogo dei vinti a luogo di autorinnovamento” (dal Manifesto de L’AltraMontagna).

 

I Parchi potrebbero, forse dovrebbero, essere parte integrante di questo processo.

 

Foto di Giordano Giacomini (Wikimedia Commons) e Luigi Torreggiani

SOSTIENICI CON
UNA DONAZIONE
Contenuto sponsorizzato
recenti
Attualità
| 22 gennaio | 19:45
A New Orleans si è verificata una tra le nevicate più importanti di sempre. "Il sistema climatico è complesso, non possiamo aspettarci che risponda in modo semplice e lineare. In un mondo sempre più caldo non è assurdo che si verifichino locali e temporanei eventi freddi con una frequenza addirittura più alta che in passato"
Attualità
| 22 gennaio | 18:00
La piana del Fucino, in Abruzzo, è uno dei principali poli spaziali europei. L'area è finita sotto i riflettori dei media perché ospiterà il centro di controllo del progetto "Iris2", una delle più importanti iniziative finanziate dall'Unione Europea per sviluppare una rete di satelliti dedicati a fornire connessioni internet sicure ai cittadini europei
Sport
| 22 gennaio | 13:00
Donato al Museo etnografico Dolomiti, è stato esposto dopo un’accurata ripulitura e manutenzione che lo ha portato all'originario splendore
Contenuto sponsorizzato