“Altri Parchi in Altre Montagne”? Si accende il dibattito sul futuro delle Aree protette nelle Terre Alte. Il parere del Direttore del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Andrea Gennai
Dopo l'uscita di un recente articolo contenente un'intervista ad Enzo Valbonesi, primo Presidente del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna e autore di un interessante volume intitolato "Il futuro dei Parchi", auspicavamo l'apertura di un dibattito. L'articolo era infatti ricco di spunti ma anche di provocazioni. A rispondere con un primo commento, altrettanto interessante, è Andrea Gennai, attuale direttore dello stesso Parco che fu presieduto da Valbonesi
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Al termine di un recente articolo dedicato al futuro dei Parchi di montagna - incentrato su un’intervista al primo storico Presidente del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, Enzo Valbonesi - auspicavamo la nascita di un dibattito sul tema. Si tratta infatti di un argomento centrale per chi, come noi, pensa che le Terre Alte, nel prossimo futuro, possano rivelarsi “un laboratorio socio-ambientale per sperimentare buone pratiche”, trasformandosi così “da luogo dei vinti a luogo di autorinnovamento” (dal Manifesto de L’AltraMontagna).
Come speravamo, il dibattito si è immediatamente acceso, grazie ad un commento di Andrea Gennai, attuale Direttore dello stesso Parco che fu presieduto da Valbonesi. Il parere di Gennai è altrettanto interessante da leggere, poiché ribalta completamente il punto di vista.
“Tra i personaggi dai quali ho avuto il privilegio di imparare molte cose metto senz'altro anche Enzo Valbonesi, che è stato mio Presidente per molti anni”, spiega Gennai, “oggi però la sua visione del bicchiere mezzo vuoto, applicata sia alla Legge quadro che ai Parchi nazionali, non la trovo oggettiva, mentre magari potrei concordare su altre categorie di aree protette più in difficoltà, come diversi Parchi Regionali e molte Aree Marine Protette”.
Per avvalorare la sua tesi Gennai cita vari studi, tra cui uno di Unioncamere (“un soggetto economico nazionale competente ed imparziale, non del mondo ambientalista”, tiene a sottolineare), “che ha certificato, dati alla mano, come i Parchi abbiano saputo coniugare la conservazione, il coinvolgimento delle popolazioni locali e un'economia che è addirittura diventata molto spesso funzionale alla conservazione”.
Il Direttore Gennai, insomma, vede indubbiamente il bicchiere come mezzo pieno.
“Il riconoscimento nella Green List dell'IUCN, di cui anche il nostro parco gode, è basato anche su indicatori che valutano il coinvolgimento dei residenti e l'attivazione di economie legate alla conservazione. Non lo avremmo ricevuto, altrimenti”, spiega il Direttore, “ovviamente ci sono categorie economiche, forse quella forestale è tra queste, che sono state un po’ più compresse dalle finalità di conservazione (eppure in un Parco come il nostro si estraggono ancora quantità considerevoli di legname ogni anno, regolarmente autorizzate), ma il giudizio va dato nel complesso, non per singoli settori”.
A Gennai, in particolare, non è piaciuta l’esortazione di Valbonesi (ripresa anche nel titolo dell’articolo) che invitava i Parchi di montagna “a sporcarsi maggiormente le mani”.
“Dire che i Parchi non si sono sporcati le mani con l'economia è una valutazione priva di fondamento”, attacca Gennai, “ma su questo aspetto servirebbe un ulteriore convegno sui mille progetti di sviluppo dei Parchi, che però uno come Valbonesi conosce benissimo. Fare conservazione nei Parchi Nazionali, che sono solo il 5% del territorio italiano, significa anche fare una scelta di priorità. Se incrementare la conservazione delle foreste comporta un beneficio in termini economici in altri settori (e non parlo solo di quello turistico), il bilancio complessivo è comunque positivo. Dal punto di vista strettamente economico (facendo per un attimo finta che i Parchi siano operatori economici), le scelte industriali comportano sempre l'individuazione di obiettivi specifici: nessun operatore commerciale decide di vendere tutto a tutti, ma punta su una sua specificità e su quella raggiunge l'eccellenza. Perché mai le aree protette, sempre dal punto di vista meramente economico, dovrebbero invece essere sempre generaliste, aprendo le porte a qualsiasi tipologia di attività economica e finendo per scontentare tutti i clienti?”
Gennai propone così una metafora interessante: “Se apro una pizzeria devo fare la pizza ottima e non mi metterò a fare anche i primi di pesce, i dolci speciali, le bistecche alla fiorentina, la gastronomia messicana o che so io. Altrimenti, finisce che faccio tante cose e tutte mediocri. Le bistecche le lascio fare ad altri, altrove”.
“Se un Parco deve eccellere”, chiosa Andrea Gennai, “è nell'offrire esperienze e progetti dove la conservazione è frutto di una economia che è essa stessa strumento di conservazione. Un esempio è l'allevamento bovino, che è positivo perché permette di mantenere le praterie. Perché mai dovrei comunque aprire ad ogni altra attività economica se non ha questa capacità di fare conservazione? La Legge sulle Aree protette, a cominciare dal piano triennale cui anche l'articolo fa riferimento, andrebbe solo applicata e molte questioni si risolverebbero. In ogni caso, oggettivamente, il bicchiere è mezzo pieno, su questo non c'è dubbio”.
Crediamo che l’interessante commento di Andrea Gennai, che ringraziamo, possa stimolare ulteriormente il dibattito. Per questo, se avete commenti o idee da proporre sull'argomento, che riteniamo davvero centrale nel dibattito sul futuro delle “Altre Montagne”, vi invitiamo a scriverci.
Per contestualizzare al meglio il tema per chi non lo mastica ogni giorno è importante conoscere la Legge 394 del 1991, su cui da anni si discute e che probabilmente sarà al centro, nelle prossime settimane, di una nuova proposta di modifica presentata in Parlamento.
Questa Legge, all’Articolo 3, spiega così le quattro finalità delle Aree protette:
- a) conservazione di specie animali o vegetali, di associazioni vegetali o forestali, di singolarità geologiche, di formazioni paleontologiche, di comunità biologiche, di biotopi, di valori scenici e panoramici, di processi naturali, di equilibri idraulici e idrogeologici, di equilibri ecologici;
- b) applicazione di metodi di gestione o di restauro ambientale idonei a realizzare una integrazione tra uomo e ambiente naturale, anche mediante la salvaguardia dei valori antropologici, archeologici, storici e architettonici e delle attività agro-silvo-pastorali e tradizionali;
- c) promozione di attività di educazione, di formazione e di ricerca scientifica, anche interdisciplinare, nonché di attività ricreative compatibili;
- d) difesa e ricostituzione degli equilibri idraulici e idrogeologici.
Utilizzando l’efficace metafora di Gennai dedicata alla ristorazione... rilanciamo il dibattito con queste domande: i Parchi di montagna del futuro dovrebbero puntare ad essere le “pizzerie gourmet della conservazione”? Oppure dovrebbero accontentarsi di essere delle “discrete pizzerie” capaci però anche di proporre qualche piatto di carne e di pesce, laddove essi rappresentino un “valore antropologico”, una “attività tradizionale”, una “integrazione tra uomo e ambiente naturale”?
Il “bicchiere dei Parchi italiani” è mezzo vuoto o mezzo pieno? Si sta riempiendo o si sta svuotando? E perché?
...alla prossima puntata!